Migliorato l’ambiente ma stressata l’Acam
Il Secolo XIX – 9 novembre 2008 – Alcuni lettori mi hanno che cosa penso della situazione di Acam.
Nell’ultimo bilancio che ho approvato come azionista, quello del 2005, il debito netto verso le banche era di 162 milioni (215 nel 2003, 156 nel 2004). I sindaci raccomandarono all’azienda di abbassare il debito : più rigore nella spesa e riduzione, se necessaria, degli investimenti. Ora leggo cifre che non vedo come possano essere vere, e che creano allarmismo: 350, 400 milioni…E’ bene che l’azienda spieghi, in modo trasparente, come stanno le cose.
Già allora le ragioni del debito erano chiare: gli investimenti nel ciclo delle acque. Dal ’97 sono stati investiti 110 milioni, e sono aumentati di 90.000 gli abitanti serviti da un idoneo sistema fognario-depurativo. Se il mare e i fiumi sono più puliti, se i Comuni hanno conquistato bandiere blu e certificazioni ambientali è anche per questi indici di investimento, doppi rispetto alla media nazionale e superiori alla media ligure. Mentre le tariffe sono in linea, e non superiori, alla media nazionale e ligure.
La verità è che abbiamo migliorato l’ambiente ma abbiamo “stressato” l’azienda chiedendole troppi investimenti senza aumentare troppo le tariffe. E’ accaduto in un’Italia in cui lo Stato da anni non investe quasi più, e che è scivolata in fondo alle classifiche internazionali delle infrastrutture. I Comuni, attraverso Acam, hanno realizzato le infrastrutture ambientali, mentre finanziavano con risorse proprie le scuole, i nidi, le strutture sociali e, a Spezia, anche i musei e l’università.
Può essere utile, allora, riaccorpare alcune società nella capogruppo e trasformarle in divisioni. Così come va fatta chiarezza su ciò che si legge: Comuni che non pagano debiti all’azienda, troppe consulenze… Sono polemiche che vanno chiuse pubblicando i dati e operando con il massimo di rigore se ciò si dimostrasse vero.
Ma per incidere efficacemente sui conti di Acam servono interventi più radicali: in primo luogo rivedere il piano degli investimenti se non si vuole, come non si vuole, aumentare troppo le tariffe. In secondo luogo ricapitalizzare, facendo alleanze con altre aziende. Nel 2004 ci fu una discussione accesa: c’era l’interesse di Amga (Genova) e Acea (Roma), ma prevalse la scelta di continuare a stare da soli e di cedere il 49% del gas a Italgas. L’opinione del Comune di Spezia, favorevole alle alleanze, non trovò il consenso degli altri soci e dell’azienda. Ora le aggregazioni, come hanno scritto i sindaci di Spezia e di Sarzana, sono davvero ineludibili. Nessuno può più stare da solo: con la liberalizzazione dei servizi voluta dall’Unione europea in Italia sono arrivati i players del resto d’Europa. O le nostre aziende si mettono insieme o le alleanze si faranno con gli stranieri.
A chi teme che Acam diventi ”una succursale di aziende più grandi” vanno ricordati i suoi punti di forza, che il dibattito ( o gioco al massacro?) di questi mesi ha quasi dimenticato: il fatturato (180 milioni), la redditività operativa, il patrimonio, 300.000 clienti, il posizionamento strategico di cerniera tra Liguria ed Emilia, la professionalità dei dipendenti. Punti di forza per mantenere occupazione, radicamento territoriale, centri decisionali.
Ma serve anche altro: la coesione della città e il riconoscimento di un terreno comune tra proprietà, azienda, lavoratori, utenti. La fiducia e il capitale sociale sono la vera risorsa contro le difficoltà di Acam.
Lontanoevicino@gmail.com
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