L’energia, l’industria e l’economia del mare
Il Secolo XIX – 16 novembre 2008 – Gli studi recenti hanno messo in rilievo la competitività del sistema industriale del Centro Nord. E’ un punto di forza del Paese: dopo i crac bancari il baricentro delle attività economiche tornerà a spostarsi a favore della produzione di beni reali. La finanziarizzazione del capitalismo ha toccato il limite, e assisteremo a una rivalutazione della vocazione manifatturiera.
Spezia, città di tradizione industriale, ha quindi chances da giocare. Ma a patto che l’ industria si modernizzi investendo nella ricerca e nell’innovazione tecnologica. Dobbiamo rivisitare le vocazioni storiche del territorio come basi su cui costruire nuove potenzialità produttive. La nostra ” identità” industriale va portata nel futuro, le vocazioni del passato vanno rilanciate in termini moderni.
Ma qual è la nostra tradizione? E’ innanzitutto quella della nave. Oggi lo sviluppo tecnologico ha fatto crescere la complessità del sistema nave e della sua componente elettronica: la nostra industria del futuro sarà soprattutto quella della base navale riqualificata, dell’industria nautica, del distretto delle tecnologie marine, dell’università come “politecnico delle scienze e tecnologie marine”. Una compenetrazione tra imprese e centri di ricerca che faccia di Spezia la “capitale” dell’economia del mare.
Abbiamo poi una tradizione più recente, risalente agli anni ’60: quella degli impianti energetici, Enel e Snam. Anche questa è una vocazione da portare nel futuro? E, se sì, come? E’ la riflessione strategica più importante che deve fare una provincia che, oltre che sull’industria ad alta tecnologia, punta sempre più su turismo, ambiente e cultura. I nostri impianti energetici sono compatibili con questa nuova vocazione? Il ragionamento da fare è sulla missione di Spezia, sul destino che noi vogliamo. Non solo sulle politiche energetiche necessarie al Paese, e sul nostro contributo ad esse. E’ giusto, prima ancora che possibile, porsi l’obiettivo di dismettere o ricollocare questi impianti, ora che stanno per essere ammortizzati i costi degli investimenti o per scadere le concessioni, e di liberare aree per un nuovo sviluppo? Oppure è preferibile trattare per migliorare impatti ambientali e paesaggistici e richiedere compensazioni o risarcimenti che dir si voglia? Con l’Enel già lo fece il sindaco Rosaia, con buoni risultati: riduzione dell’inquinamento, aree, finanziamenti. Si deve proseguire con questa impostazione, pretendendo ancor di più? O c’è un bene più grande che questa volta si può raggiungere? Discutere se bruciare o no il Cdr nell’Enel significa partire dalla coda: prima serve una riflessione strategica, che coinvolga e unisca il più possibile istituzioni, forze sociali, la comunità tutta.
Parliamo, infine, delle politiche energetiche del Paese: la soluzione basata sul risparmio e le fonti rinnovabili è di medio e lungo periodo, ma se vogliamo diminuire le emissioni di gas serra per salvare il pianeta e iniziare la terza rivoluzione industriale dobbiamo mettere al centro da subito il solare, l’eolico, le biomasse. E redigere Piani energetico- climatici in Provincia e nei Comuni che si propongano di raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione europea per il 2020: a Spezia 130 milioni di Kw prodotti con fonti rinnovabili. Siamo appena a 8: portare la nostra vocazione industriale nel futuro significa fare anche questo. Non capirlo vorrebbe dire essere tagliati fuori dall’economia del ventunesimo secolo.
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