Le tute blu in piazza e l’SOS – diseguaglianze
Il Secolo XIX – 14 dicembre 2008 – Venerdì, per lo sciopero della Cgil, si sono rivisti i lavoratori e gli operai. Erano portatori di una richiesta molto chiara: più giustizia sociale.
In questi anni la nostra società, assuefatta all’enorme crescita delle disuguaglianze di reddito, aveva archiviato come retrogrado il concetto di giustizia sociale. Ma ora il vento è mutato: la predicazione del rischio come virtù per realizzare il mito dell’uomo flessibile è andata incontro al fallimento, e la crisi mondiale morde là dove non pensavamo sarebbe mai giunta. Si coglie che tutto ciò è figlio del fallimento del neoliberismo e che la sfida è cercare di coniugare l’interesse generale con quello della difesa del mondo del lavoro, di salari e pensioni che non arrivano a fine mese. Serve una politica di redistribuzione del reddito: lo sta capendo la sinistra, le cui parole non hanno più senso se non parlano dell’ingiustizia, ma dovrebbe capirlo anche la destra, perché l’economia può ripartire solo sostenendo i consumi.
La situazione dei lavoratori e degli operai avrebbe dovuto essere chiara a tutti già da molto tempo. Nei mesi scorsi, per esempio, la Fiom ha condotto un’inchiesta sul lavoro e la vita dei metalmeccanici. I risultati fotografavano una condizione già allora drammatica: bassi salari, lavoro monotono, ripetitivo e parcellizzato, impianti obsoleti, rischi per la salute molto alti, incertezza per il futuro.
Ma vediamo i dati che riguardano i metalmeccanici spezzini. Il salario medio di operai e impiegati è di 1313 euro al mese. Il 60% degli operai non supera i 1200 euro. Il 51% degli impiegati è sotto i 1300 euro. Le donne guadagnano mediamente 100 euro in meno degli uomini. Il 20% degli operai, e il 38% degli impiegati, lavora oltre le 40 ore settimanali. Ma il 63% degli intervistati dice che vorrebbe lavorare meno ore. Circa la metà degli operai e degli impiegati dice di svolgere un lavoro ripetitivo, con ritmi e scadenze elevate. Gli impianti espongono in larga misura chi vi lavora a rumori forti e vibrazioni, vapori, fumi, polveri. Il 47% degli operai, ma anche il 34% degli impiegati, pensa che il lavoro abbia compromesso la sua salute. Soltanto il 50% ritiene che il proprio posto di lavoro sia dotato delle misure per lavorare in sicurezza. Pochissime sono le opportunità di formazione, soprattutto per gli operai, ma anche per gli impiegati. Infine già allora il 36% di operai e impiegati (il 46% delle donne) pensava di poter perdere il posto di lavoro nei prossimi due anni.
L’inchiesta smentisce gran parte dei luoghi comuni che hanno impedito di vedere e capire le reali condizioni di lavoro, a Spezia come in Italia. Ogni tanto queste emergono, nei momenti estremi come la strage della ThyssenKrupp. Ma questi squarci di realtà non infrangono un’ideologia che si è affermata in questi anni e che considera le asprezze della condizione dei lavoratori come elementi residuali. Invece la svalutazione del lavoro c’è e deve preoccuparci perché il risultato è una società più disuguale e ingiusta: il lavoro come nient’altro che fatica (mal) remunerata per molti, deprofessionalizzato, depauperato di diritti; e il lavoro come professione gratificante per pochi (spesso grazie a favoritismi). L’effetto è devastante non solo per chi è incatenato a questo destino, ma per l’intera società, perché i meriti di chi lavora e l’utilità del lavoro diventano fattori sempre più irrilevanti e arbitrari.
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