La nostra politica, questione di genere
Il Secolo XIX – 7 marzo 2010 – Domani è l’8 marzo, giornata della donna. Caterina Soffici, già redattrice del Giornale, nel suo libro “Ma le donne no” ci ricorda che l’Italia rischia di avere il primato di “Paese più maschilista d’Europa”, dove le donne sono ultime in tutto: in politica, negli uffici, nelle professioni, nei ruoli di comando. A parità di lavoro, le donne italiane guadagnano il 26% in meno dei colleghi maschi. La rappresentanza femminile in Parlamento è tra le più basse d’Europa. Ma una velina può diventare ministro, e dovunque impera la “dittatura della bellezza”.
Marisa Rodano ha altra età e provenienza. Comunista, è stata tra le fondatrici dell’Udi (Unione donne italiane) e presidente nazionale. Ma il suo libro, “Memorie di una che c’era”, ha conclusioni analoghe. Certo, le donne oggi sono più acculturate e maggiormente presenti nel mondo del lavoro. Ma si trovano ancora a dover combattere contro una società sempre più maschilista: disvalori imposti dalla dittatura (termine che ritorna) telecratica, violenza crescente, attacchi all’ autodeterminazione, rischio di perdere per prime il posto di lavoro a causa della crisi economica e dello smantellamento del welfare.
Entrambe, però, non rinunciano a cambiare le cose. La Soffici propone cinque idee: quote rosa, part time a chiunque ne faccia richiesta, padri a casa almeno per sei mesi, una legge per vietare pubblicità e spettacoli sessisti, maggiori pene per i reati sessuali. Mentre per la Rodano non bastano questi pur sacrosanti obbiettivi, e ci si dovrebbe riproporre il problema di un radicale cambiamento sociale e politico.
C’è certamente bisogno di nuove idee. Ma è pur vero che i movimenti delle donne hanno prodotto la rivoluzione più lunga del XX secolo, che ha originato mutamenti duraturi, che hanno ancora qualcosa da dirci. Così come c’è stata una, pur sotterranea, continuità e convergenza tra la lotta per l’emancipazione dell’Udi e il femminismo degli anni ’70, così in futuro i nuovi modi di pensare delle donne si collegheranno a quelle esperienze.
Ne ho discusso, nei giorni scorsi, con Anna, la figlia di Rina Gennaro Bruzzone, la prima presidente dell’Udi spezzina, scomparsa lo scorso anno. Oggi si rischia di dimenticare, purtroppo, coloro che combatterono il fascismo ed edificarono la democrazia. Eppure da Rina, e da tante donne come lei, avremmo tanto da imparare. Donne semplici e illetterate che parteciparono alla lotta di Liberazione e diventarono poi protagoniste della politica e dell’associazionismo femminile, per la prima volta nella storia d’Italia.
Rina divenne antifascista scoprendo il padre posare un garofano rosso sopra la fotografia, nascosta in un cassetto, di Matteotti, appena assassinato. Fu per lei naturale partecipare alla Resistenza come staffetta di collegamento in Liguria. Nelle sue memorie ricorda come sfuggì per caso al rastrellamento di Migliarina e come si salvò quando fu rastrellata ad Arcola: inghiottendo il documento che nascondeva. E il suo viaggio a piedi a Savona, durato undici giorni tra mille pericoli. Poi Rina diresse l’Udi per molti anni, e vi partecipò finché poté. Il fondamento del suo agire fu certo nella collocazione politica nel Pci ma soprattutto nell’appartenenza di sesso. Partire dall’essere donne, dal “genere”, avrebbero teorizzato in seguito le femministe. Lezione valida per il futuro, se è vero, come scrivono sia la Soffici che la Rodano, che oggi spesso la donna entra nella sfera pubblica ma si omologa al modello maschile.
lontanoevicino@gmail.com
Popularity: 10%