La Costituzione e la profezia di Ingrao
Il Secolo XIX, 14 agosto 2016 – Anch’io, come Moreno Veschi, ero ad ascoltare Pietro Ingrao in piazza Europa nel 1978, nel trentesimo della Costituzione. Il suo fu un discorso basato sul legame profondo tra Costituzione e dignità del lavoro. Un nucleo di valori che si è rotto in questi anni: il lavoro, sempre più svalutato, è diventato una merce, e la nostra una “Repubblica fondata sull’impresa”. Non è vero, come scrive Veschi, che i valori della prima parte della Costituzione “rimangono intatti”. Non lo sono più da tempo, lo saranno ancor meno con la riforma Renzi-Boschi. Il nesso tra valori sociali della Costituzione e forma di governo è stretto, e lo è molto di più da quando è arrivata la crisi del 2008. La finanza internazionale, responsabile della crisi, si convertì all’austerity neoliberista: fare le “riforme strutturali” contro il lavoro e limitare i poteri dei Parlamenti. Il 28 maggio 2013 J.P. Morgan, la banca protagonista della crisi, chiese il superamento delle Costituzioni antifasciste per i loro eccessi di rappresentatività politica e di contenuto sociale. Il suo programma si sta realizzando: l’obbligo del pareggio di bilancio ridimensiona assai la rimozione degli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana prevista dall’art. 3 della Costituzione.
La riforma Renzi-Boschi si colloca in questa scia: limitare il controllo democratico per limitare i diritti sociali. E’ evidente l’intreccio tra l’Italicum -la nuova legge elettorale- e la riforma costituzionale; e tra queste riforme e la riforma delle pensioni, la soppressione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e il Jobs act. Lo spostamento di poteri verso l’esecutivo è cioè necessario per fare le “riforme strutturali”, alternative alla prima parte della Costituzione. L’attuazione della prima parte presuppone una forma di governo incardinata su un Parlamento rappresentativo e uno Stato decentrato. Esattamente quello che viene scardinato da Italicum e riforma costituzionale, che rafforzano l’esecutivo rispetto al Parlamento e il centralismo statale rispetto ai poteri locali.
Nel ’78 Ingrao pronunciò una frase profetica: “Di fronte a questa storia non può essere compreso che uno possa pensare a decidere da solo, dall’alto, e comandare dicendo: io faccio così”. Rispetto ad allora oggi c’è una forte repulsione verso la politica. Ma certamente non si colma il fossato tra “masse e potere”, direbbe Ingrao, dando tutto il potere al vincitore.
Su un punto, però, sono d’accordo con Veschi: la critica all’Italicum e la proposta di una sua modifica prima del referendum. Mi auguro che anche lui, come molti esponenti della minoranza Pd, decida, in assenza di questa modifica, di schierarsi per il no.
Giorgio Pagano
Cooperante, già Sindaco della Spezia
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