La città multietnica nasce nelle aule
Il Secolo XIX – 20 dicembre 2009 – Non c’è altra strada che quella del dialogo tra le decine di lingue e culture che si incrociano nelle strade e nelle aule italiane. Come negli Usa per gli italo-americani, ci vorrà un po’ di tempo: ma anche da noi ci saranno bambini fieri di essere italo-marocchini o italo-domenicani. E non c’è altro che la scuola per la loro integrazione. E’ lì che si formeranno i “nuovi italiani”: uno spazio decisivo, sempre meno valorizzato. Ma in cui molti insegnanti non si rassegnano e combattono una battaglia di civiltà per evitare lo scontro di civiltà. Sono le insegnanti, molto spesso donne, dell’intercultura.
Se ne è discusso in un convegno dell’Associazione Mediterraneo, che ha messo a confronto insegnanti, genitori, studenti, enti e associazioni. Oltre il 7,5% degli studenti spezzini sono stranieri. Ecco i dati: 399 nel 1999, 2208 nel 2008. 399 frequentano le scuole dell’infanzia, 734 le elementari, 540 le medie, 545 le superiori. Ma solo 98 i licei, gli altri gli istituti tecnici (231) e professionali (216). I più numerosi sono gli albanesi, seguiti dai marocchini e dai domenicani.
La demografa Patrizia Farina, coautrice della ricerca “I nuovi italiani”, li ha descritti come “ragazzi ambiziosi, soprattutto le ragazze, che non pensano di abbandonare gli studi e hanno gli stessi desideri dei loro coetanei italiani”. Semmai hanno “più incertezze”, perché “manca loro una guida autorevole, l’accompagnamento della famiglia, l’aiuto dei genitori nei compiti”. Ecco perché il ruolo del tempo pieno è importante. Sono ragazzi, ha aggiunto, che “percepiscono il razzismo tra noi”.
Le radici del fenomeno le ha spiegate l’antropologo Marco Aime: sta crescendo la tesi per cui “ogni popolo ha la sua cultura e ognuno deve stare a casa sua”, in una ”logica da apartheid”, mentre invece la cultura e l’identità si costruiscono sempre in relazione con l’altro: “chi viene da noi negozia, e noi negoziamo con loro, contaminandoci a vicenda”. Insomma, “tutti noi siamo multiculturali”.
E’ stata poi esaminata la realtà spezzina, con le sue luci e le sue ombre. Grazie al progetto ASSI del Comune, tutti gli studenti della scuola dell’obbligo frequentano corsi di alfabetizzazione di lingua italiana, ma un intervento così capillare manca nella scuola superiore: “se avviene -ha detto un’insegnante- lo è con soldi dell’istituto, che diminuiscono giorno dopo giorno”. La proposta è quella di varare un “accordo di programma” tra Ufficio Scolastico, Prefettura, enti locali, scuole, Asl, associazioni che precisi meglio “chi fa che cosa” e stanzi le risorse necessarie.
Qualche anno fa la ricerca di Richard Florida e Irene Tinagli “L’Italia nell’era creativa” pose Spezia al primo posto nell’inserimento dei bambini stranieri nelle scuole. Già negli anni ’70 fummo all’avanguardia nell’inserimento dei disabili. Anche allora c’era chi temeva che la loro presenza avrebbe rallentato il processo formativo degli altri. Non è stato così, spesso i disabili rappresentano una ricchezza per il resto della classe. Così lo straniero, che non è un freno per la classe: molte scuole di eccellenza sono internazionali. Certo, lo Stato deve intervenire fornendo agli istituti strumenti di lavoro, personale, competenze didattiche, soldi. I bambini stranieri sono l’occasione per riformare la scuola di tutti, per formare i “cittadini del mondo”, che sappiano guardare oltre le frontiere della piccola provincia. Perché nel mondo di oggi serve una formazione cosmopolita, non localista.
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