Il potere non è certo per i giovani
Il Secolo XIX 5 luglio 2009 – Nei giorni scorsi ho partecipato a Lerici al convegno dei giovani di Confcommercio sul tema “Ricambio generazionale: una gioventù bruciata? Talento e merito alle basi dello sviluppo”, un titolo che ben sintetizza i rischi della condizione giovanile nel nostro Paese e i rimedi per evitare che una generazione sia “rapinata” (il termine è di Edmondo Berselli).
Molti hanno ricordato che sono i giovani la parte più dinamica della società: rompono schemi obsoleti, leggono la realtà con occhi nuovi, travolgono con spavalderia tradizionali barriere. Ma i giovani italiani vivono in un Paese tra i più squilibrati in termini di rapporti intergenerazionali. Sono pochi, ma la loro scarsità non favorisce la loro ascesa: all’invecchiamento demografico ne corrisponde uno sociale, cioè una perdita di peso e di importanza dei giovani. Il che rende la nostra società più iniqua e sempre più orientata a difendere le rendite del presente e non a costruire il futuro. Meno si investe sui giovani e meno essi potranno giovare al proprio Paese. Non si tratta quindi solamente di fornire a ciascuno i giusti mezzi per realizzare al meglio il proprio destino personale: dal successo individuale nel diventare adulti dipende anche il successo della comunità. La società, per il proprio bene, deve quindi valorizzare i giovani. Quando ciò non avviene significa che si vive in un sistema bloccato che difende solo i privilegi acquisiti.
Siamo, insomma, un Paese gerontocratico. Secondo il rapporto Luiss 2008 oltre il 45% dei leader dell’economia, della politica e della cultura è ultrasettantenne, contro una media del 30% in Occidente.
E Spezia? E’ come il resto d’Italia. Negli ultimi mesi sono state fatte molte nomine nelle istituzioni e nell’economia: sono stati confermati o nominati per la prima volta molti sessantenni, in altri casi è venuto il turno dei cinquantenni. Mai degli under 50, tantomeno dei giovani. Sia chiaro: si tratta di persone capaci. Aggiungo che un certo giovanilismo è sbagliato: le persone più anziane hanno un patrimonio di esperienza che non può essere sprecato a cuor leggero. L’età si porta dietro un capitale umano importante. Nessuna guerra tra generazioni, quindi: ma il problema del ricambio c’è, e va affrontato.
Quando nominai la Giunta, nel ’97, la presenza dei giovani era molto forte. Subii anche critiche. In qualche caso commisi errori. Ma in generale il loro apporto è stato prezioso. Ora molti hanno ruoli di rilievo, non solo in città ma anche a livello nazionale. Oggi, però, la situazione è diversa. Sono uno che ha favorito il ricambio, perché ho cercato di non ridurre la mia vita a una carriera; credo quindi di avere le carte in regola per dire quel che penso senza ipocrisie.
Occorre più coraggio da parte delle generazioni al potere: meno difesa delle posizioni raggiunte e più generosità nel favorire l’avvicendamento. Ma occorre anche più coraggio da parte dei giovani: a camminare con le proprie gambe e a mostrare quel che valgono, rinunciando a farsi cooptare dall’alto.
Due osservazioni, infine, su “talento e merito”, un’ideologia trasversale tanto proclamata ma poco praticata. La prima: servono criteri oggettivi di valutazione del merito, norme condivise e pubblicamente riconoscibili. La seconda: senza la riduzione delle diseguaglianze e una scuola che sostenga i ragazzi dei ceti più deboli il merito diventa un principio al servizio delle elite. Il merito, invece, deve essere la conseguenza di un ordine sociale giusto.
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