Il male oscuro dell’indifferenza
Il Secolo XIX – 31 gennaio 2010 – Mercoledì ero alla celebrazione del Giorno della Memoria in sala Dante, a ricordare il 27 gennaio 1945, quando l’Armata Rossa liberò Auschwitz dai tedeschi. Al di là di quel cancello, oltre la scritta “Il lavoro rende liberi”, apparve l’inferno. E il mondo conobbe per la prima volta lo sterminio in tutta la sua realtà.
Il ricordo più indelebile della mia vita è Auschwitz, l’orrore assoluto: le camere a gas e i forni crematori, le baracche dei prigionieri, i binari dove si fermavano i “treni della morte”.
Gli studenti dell’Istituto Magistrale sono stati davvero bravi: hanno letto testi e suonato brani che ci hanno fatto affacciare ai cancelli di Auschwitz, aiutandoci a ricordare e a capire. Ci hanno dato il senso della consapevolezza di quello che è accaduto e non deve più accadere, e ci hanno fatto riflettere sul presente e sul futuro, sulle ingiustizie e sulle speranze del nostro tempo.
Il Giorno della Memoria, hanno detto, dura 365 giorni all’anno. Istituzioni, società civile, scuola devono essere all’altezza di questa presa di coscienza. L’azione formativa deve evidenziare i meccanismi di creazione degli stereotipi e dei pregiudizi, mettendo al centro il principio di responsabilità personale, che è l’antidoto più efficace per contrastare il razzismo e l’antisemitismo diffusi tra le pieghe della nostra società. Occorre formare personalità libere che non si assoggettino all’omologazione di massa che pervade il nostro tempo e offusca il senso di responsabilità personale. Che combattano l’anestesia emotiva e l’indifferenza, come scriveva il giovane Antonio Gramsci nel 1917, in un bellissimo testo scelto dagli studenti: “Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”. Altrimenti il male diventa “banale”, come scriveva Hannah Arendt, e si propaga in maniera insidiosa.
Anche il Papa ha ricordato che oltre alle colpe dei nazisti ci sono quelle degli indifferenti. E dei complici. Rileggiamo un passo del libro di Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida “Il futuro spezzato: i nazisti contro i bambini”: “I bimbi ebrei sono vittime di un’ulteriore piaga che infuria nei mesi dell’occupazione nazista, quella della delazione: secondo la sentenza emessa dalla corte di assise di Roma nel luglio 1947, un gruppo di sei spie italiane che agiscono nella capitale vendono i bambini ebrei a mille lire l’uno, come l’appuntato dei carabinieri che arresta nel febbraio 1944 alla Spezia Adriana Revere, di nove anni”.
All’indifferenza e alla complicità bisogna opporre la conoscenza e la speranza, hanno detto i ragazzi citando Barack Obama. La speranza è quella forza straordinaria che ha il volto del dolore, e che rinasce anche nei campi di concentramento. La Rai ha trasmesso, mercoledì, il bel film “Mi ricordo di Anna Frank”. Nel suo diario dalla semi-prigionia di Amsterdam Anna scrive della speranza: “Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto. Odo sempre più forte il rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritroveremo l’ordine, la pace e la serenità. Intanto devo conservare intatti i miei ideali; verrà un tempo in cui forse saranno ancora attuabili”. Sono parole che dovremmo tenere a mente, consapevoli che la trasmissione dei valori, delle esperienze e della memoria è un compito che ci mette a dura prova.
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