Il lavoro è un appiglio per non cadere in povertà
Il Secolo XIX 21 febbraio 2011 – Le denunce della Direzione Provinciale del Lavoro riportano al centro dell’attenzione il grande problema, da troppo tempo sottaciuto, del lavoro e della sua dignità calpestata. Tutto ciò che riguarda il lavoro non viene quasi mai considerato importante: è il frutto della grande controriforma politica e culturale degli ultimi trent’anni. Ma non si può non riflettere su quello che è emerso a Spezia: contratti capestro, senza le ferie e i turni di riposo previsti dal contratto nazionale, in molte ditte di pulizia; il 53% delle imprese dell’edilizia non a norma; 526 lavoratori in nero su 2500 controllati; 13 minorenni costretti a lavorare, nei bar ma anche nei cantieri edili. Il lavoro non è per tanti uno status sociale, la via maestra per la realizzazione della persona, ma un appiglio per non precipitare nella povertà, sotto i colpi dei mutui o degli affitti da pagare, dei costi per i figli da far studiare o per i familiari anziani da curare. Un appiglio a cui aggrapparsi anche a costo di subire sfruttamento e violazione dei diritti. Sono gli effetti della globalizzazione liberista e della sua crisi: aziende che riducono i margini di redditività , lavoratori costretti ad accettare salari troppo bassi e carichi di lavoro troppo pesanti.
E’ una realtà che ha messo in grande difficoltà il sindacato. C’è chi teorizza lo scambio tra la perdita della capacità di intervento sulla condizione dei lavoratori e un accrescimento del ruolo istituzionale del sindacato, nell’impresa e nella società. C’è invece chi si oppone e vuole tornare ad essere protagonista, a partire dalla valorizzazione del conflitto sociale. La vicenda Fiat ha messo a nudo la differenza profonda tra queste due concezioni, che rende oggi lontana l’idea dell’unità sindacale. Così come è lontana l’idea che la soluzione del problema venga dalla politica: la destra è liberista, mentre la crisi delle due sinistre, riformista e radicale, ha portato a un deserto, in cui nessuno o quasi si occupa più del lavoro. Ma allora, senza l’unità sindacale e in attesa del Big Bang che cambi radicalmente la sinistra, che si può fare?
Nei giorni scorsi, a Genova, Pippo Delbono ha portato a teatro “La menzogna”, uno spettacolo sulla tragedia della Thyssen Krupp. In un incontro ha detto: “bisogna <stare lì>, conoscere la fabbrica, partire dal suo dolore”. Un sindacalista di un tempo avrebbe detto: “bisogna fare l’inchiesta”, cioè comprendere e condividere la vita dei lavoratori. Ecco, ora la cosa più importante è dare forza alla soggettività critica che c’è nel mondo del lavoro, <stare lì>, a fianco degli operai e dei lavoratori, occuparsi della loro vita. Bisognerebbe che tutti, quelli che erano con la Fiom e quelli che erano contro, riconoscessero la grandezza degli operai che, a Pomigliano e a Mirafiori, hanno saputo dire di no, e mostrare che “si può”. Erano guidati da quel sentimento di dignità che unifica oggi iniziative diverse tra loro, come quella delle donne. Senza quegli operai tutti i sindacati e tutta la sinistra sarebbero ancora più deboli. La gravità delle denunce spinge a Spezia i sindacati e la sinistra a sostenere chi ha il compito delle ispezioni e dei controlli. E soprattutto a battersi di più per garantire i diritti di tutti i lavoratori.
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