Exodus, se la pietà alla fine svanisce
Il Secolo XIX – 10 maggio 2009 – L’8 maggio di 63 anni fa La Spezia diventava la città di Exodus, la porta di Sion, come ancora oggi è ricordata in Israele. Alle 10 salparono dal molo di Pagliari le navi Fede e Fenice, con a bordo 1014 profughi diretti in Palestina. Erano ebrei sopravvissuti alla Shoà. Alla Spezia rimasero un mese, nel corso del quale ci fu un grande e generoso contributo della comunità in una città distrutta e stremata dalla guerra. Da quel momento diventammo la base per la partenza di oltre 23.000 superstiti dei lager: una storia di straordinaria umanità che ci fece assegnare, nel 2006, la Medagliad’oro al merito civile.
Ogni tanto vado a trovare l’amico Giulio Negroni, il partigiano Squalo della brigata Vanni, poi provetto modellista dell’Arsenale e scrittore autodidatta di piccoli romanzi di storia umana che con genuinità e capacità di arrivare dritti al cuore ripercorrono i tratti fondamentali della nostra identità di città: la Resistenza, la solidarietà, il lavoro. Come “Il borgo di Fossamastra”, dove Giulio è nato ed è sempre vissuto. Nei giorni scorsi abbiamo ripercorso le vicende di Exodus, a cui il libro dedica pagine molto belle: l’iniziale timore degli ex partigiani che si trattasse di fascisti, i racconti degli ebrei sui campi di sterminio, il superamento della diffidenza degli abitanti di Pagliari e Fossamastra, che ospitarono i profughi nelle loro case (alcuni dormirono nei balconi) e raccolsero viveri per sfamarli. Giulio ospitò tre ebrei, e si commuove ancora quando mi mostra la lettera di ringraziamento che arrivò insiemea un pacco contenente latte e altre cose utili al bambino che sua moglie aveva in grembo, o quando ricorda la partita di calcio tra gli ebrei e la squadra del Limone o la grande festa sul molo due giorni prima della partenza, con i canti accompagnati dalla fisarmonica fino a notte, e il pane “azzimo” offerto dagli ebrei.
E’ una pagina di storia di cui dobbiamo essere orgogliosi. Lucia Annunziata, sulla Stampa, l’ha ricordata e ha ammonito: “gli illegali di oggi con la pelle nera sono i nuovi ebrei che scappano dall’Olocausto nascosto della globalizzazione”, e meritano la stessa umanità. Ma è così? L’emigrazione sulle carrette del mare, una tragedia senza fine, ci commuove o suscita distacco e ripulsa? La politica ci aiuta a comprendere ciò che accade e a contrastare le paure o, invece, le enfatizza e fa svanire la pietà? L’anniversario di Exodus è un’occasione per riflettere su un evento doloroso e complesso come l’emigrazione, per non perdere occhi e cuore. Per rammentare ciò che ci insegna la storia del Novecento: che indurire l’animo di fronte alla sorte degli “altri” più sfortunati non aiuta a migliorare la propria.
Una donna di Pagliari, ricorda Negroni, preoccupata di ospitare dei clandestini, chiese consiglio al parroco, Don Mario Scarpato, che la incoraggiò dicendole: “quando un essere umano ha bisogno di aiuto ed ha fame, indipendentemente dal colore della sua pelle e dalla sua religione, bisogna accoglierlo, aprirgli la porta e sfamarlo”. Così oggi: la Chiesa sta a fianco dei migranti respinti in Libia e accusa: “L’Italia viola i diritti umani”.
Exodus, elemento della nostra identità, ci spinge a rafforzare la funzione di città porta di pace e centro di dialogo e convivenza tra le civiltà del Mediterraneo. E a stare dalla parte degli uomini senza passato e senza futuro. Come ha fatto, a nome di tutti noi, il sindaco nei giorni scorsi, andando nel campo profughi di Jenin in Palestina.
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