Ex Spel, pulsa ancora l’anima industriale
Il Secolo XIX – 23 novembre 2010 – Il racconto dell’ex Spel (ed ex San Giorgio) ci porta lontano nel tempo, alla fase industrialista del nostro modello di sviluppo. Era l’unica fabbrica con la catena di montaggio, e tante operaie. Da dirigente del Pci andavo spesso all’alba a fare volantinaggio, e all’ora di mensa a discutere con i lavoratori. Le lavatrici San Giorgio, simbolo del benessere del dopoguerra, erano più care, ma affidabili. Dietro c’era una “sapienza”, imprenditoriale e operaia, che univa pur nel duro conflitto di classe. Poi, a poco a poco, arrivò la crisi. La vissi da sindaco: tante riunioni in fabbrica, e a Roma… Le cause furono più d’una: la concorrenza nel mondo globale, ma anche la perdita progressiva di quella “sapienza”. La città lottò per mantenere una fabbrica di lavatrici: ci furono tanti tentativi, ma il destino, ormai, era segnato. Ora, finalmente, la svolta. In quest’area l’Asg del gruppo Malacalza costruirà una nuova fabbrica, con 80 lavoratori, per costruire le bobine superconduttrici necessarie all’energia nucleare pulita, quella che non produrrà più le scorie radioattive. In una parte dell’area un imprenditore spezzino capace e innovativo, Osvaldo Borghetti, collocherà Elettromeccanica: un’altra presenza industriale, che assumerà 24 lavoratori. Molti cassintegrati ex San Giorgio saranno riqualificati e impiegati. Il merito è di tanti: sindacati, imprenditori, Comune, Provincia, Regione, Governo.
Ma qual è il significato della vicenda? Che Spezia ha saputo mantenere un apparato industriale notevole e un’”anima meccanica” che producono occupazione e ricchezza, anche se non più il senso di appartenenza di una volta. E che le scelte pianificatorie di questi anni sono state giuste: terziario nell’area ex Ip, parte integrante del nuovo centro urbano, ma reindustrializzazione delle aree ex Oto, ex Enel, ex San Giorgio. Insomma, la riconversione industriale è possibile, come ha dimostrato anche la trasformazione dei vecchi cantieri navali (dove qualcuno voleva l’estensione del porto) in moderni cantieri della nautica. E l’industria è ancora una vocazione del futuro. Che richiede, oggi, la capacità di supportare le piccole imprese perché si consorzino e si aggreghino, per rafforzarsi nei mercati. Partendo da un assunto centrale, che ci suggerisce un’altra vicenda che sta andando sul binario giusto, quella di Acam: il territorio è oggi qualcosa che va emancipato dall’eredità del localismo italico ( e spezzino). Deve fuggire dalle retoriche del “piccolo è bello” e ”all’ombra del campanile si resiste meglio alla crisi”. Al contrario, il territorio deve puntare alle reti e alle alleanze.
E’ vero, però, che il futuro non è solo industria. Il 71% dell’economia italiana è costituito dai servizi. E anche Spezia sta andando in questa direzione. Ma non c’è contraddizione, perché non c’è industria efficiente senza un moderno terziario e viceversa. “Spezia è migliorata, ma serve una scelta netta sul futuro”, ha detto a questo giornale Massimo Ambrosini, spezzino, presidente della Pepsi Cola Italia. Ma la scelta l’abbiamo già fatta: è l’economia della varietà, il mix equilibrato tra industria, porto e turismo. I guai delle monoculture li abbiamo subiti con la crisi drammatica degli anni ’90. Ora dobbiamo promuovere sia la produzione che i servizi.
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