De Andrè al Picco emozione di 10 anni fa
Il Secolo XIX – 11 gennaio 2009 – Dieci anni fa, l’11 gennaio 1999, moriva Fabrizio De Andrè. Le sue note e i suoi versi lo hanno consegnato alla storia e lo hanno fatto amare come nessun altro cantante e poeta italiano.
Uno degli ultimi concerti di De Andrè si tenne a Spezia, al Picco, organizzato dal Comune. Era il 7 agosto 1998. Il 24 agosto il tour fu interrotto a Aosta, dove Fabrizio fu ricoverato in ospedale. La tac non lasciò speranza.
Fu un concerto intenso e emozionante. Chi c’era non potrà mai dimenticare. Dava un colpo di tosse alla fine di ogni canzone e non fumava, lui che aveva sempre la sigaretta accesa. Ne fumò una solo dopo il bis.
Cantò molte tra le sue canzoni più belle. “Bocca di rosa”, una delle storie vissute ed ascoltate nei carruggi, quella del trionfo dell’”amor profano” sull’ipocrisia sessuofoba. Le canzoni della “ Buona novella”, quelle che nel ’70 alcuni considerarono anacronistiche: non capivano, diceva Fabrizio, che “Gesù è stato il più grande rivoluzionario di tutti i tempi”. Quando le ascolto penso che De Andrè ha dato una grande mano alle idee dell’uguaglianza, più di tanti che sventolavano bandiere. E poi “Amico fragile”, “la canzone più importante che abbia mai scritto”, come si legge nel manoscritto esposto nella mostra di Palazzo Ducale a Genova: “ho raccontato un artista che sa di essere utile agli altri, eppure fallisce il suo compito quando la gente non si rende più conto di avere bisogno degli artisti”.
Le canzoni, infine, degli ultimi album: “Creuza de mä”, grande sinfonia del Mediterraneo e canto d’amore a Genova e alla Liguria, “Le nuvole”, un disco forte e duro, un atto d’accusa quasi profetico all’ingiustizia sociale, alla svendita della coscienza, alla crisi della politica, e “Anime salve”, un percorso sulla libertà che ha forse più valore oggi che allora, dalla parte delle minoranze, dei diversi, dei rom, di chi nella vita sceglie di andare sempre “in direzione ostinata e contraria”. Fino a “Smisurata preghiera”, l’ultima canzone da lui scritta: un testo durissimo ma pieno di grazia, una preghiera per coloro che ha amato, un’invocazione a Dio perché non si dimentichi “di tutti i servi disobbedienti alle leggi del branco”.
Chi c’era ha sempre pensato che in quel concerto De Andrè fosse consapevole di lasciarci il suo testamento spirituale. Nei testi di “Anime salve” ci sono tanti segni di addio: il desiderio di volare, il vento, quel verso “mi sono visto di spalle che partivo”… Poi li abbiamo interpretati così, come se Fabrizio mostrasse ancora una volta di saper guardare nel futuro.
Delle sue canzoni ci restano la dolcezza e anche la politica, fatta senza i termini tipici della politica ma guardando dentro l’uomo. Restano alla mia generazione, quella che scoprì De Andrè nel ’68 con “La guerra di Piero”, quella dei giovani, cattolici e non, che amavano la “Buona novella”. Restano anche alle generazioni successive e ai ragazzi di oggi. Al Picco ero con mio figlio, che aveva 9 anni. Ricorda bene l’emozione per quelle canzoni, che poi ha sempre amato, come tanti ragazzi della sua età. Un’emozione simile l’abbiamo provata, qualche mese fa, al concerto del cantautore Leonard Cohen, che per Fabrizio fu un maestro. A 73 anni Cohen ci ha detto sorridendo “probabilmente è l’ultima volta che ci vedremo” e ci ha dedicato una grande testimonianza di cinquant’anni di musica e poesia. Compresa Suzanne, la sua canzone che De Andrè aveva tradotto e cantato.
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