Dalla Resistenza al destino del Paese
Il Secolo XIX – 25 aprile 2010 – Il 25 aprile suscita riflessioni sulla politica, oggi così drammaticamente in crisi. Essa potrà recuperare il suo posto fondamentale nella vita del Paese e nella coscienza dei cittadini se saprà superare ogni meschinità ed esprimere moralità e cultura, arricchendosi di nuove motivazioni ideali. Tra esse, quella della costruzione di una memoria e di un’identità condivise, come fattore vitale di continuità nel succedersi di diverse alleanze politiche al governo del Paese. Memoria e identità condivise che sono possibili solo ritrovandosi nel riconoscimento del significato della Resistenza come riconquista della libertà e dell’indipendenza e della dignità dell’Italia.
Il problema della condivisione dei valori fondanti della Repubblica da parte dei principali schieramenti politici è ancora aperto. Non si risolve con l’attenuazione delle differenze. Una democrazia vive male senza un confronto politico chiaro su progetti di società. Ma un Paese si può dividere sulle scelte politiche senza rischiare di perdersi come comunità solo se tutti gli schieramenti sentono con forza il vincolo dell’identità nazionale. Se sono consapevoli, pur nel contrasto politico, che il “destino” degli italiani è uno solo. Ma perché è difficile ritrovarsi tutti, oggi, nei valori della Resistenza e della Costituzione? Perché ci sono due diverse idee di democrazia. C’è l’idea repubblicana di democrazia costituzionale, che si riconosce nello Stato moderno e nella divisione tra poteri. E c’è l’idea di una democrazia plebiscitaria e populista, meno incline alle regole.
Il problema si può risolvere solo con un confronto reale sui temi cruciali della Resistenza e della Costituzione, così come il Presidente della Repubblica li ha reinterpretati in questi anni. Serve una discussione sul nesso tra patria e Resistenza. Chi legge le “Lettere di condannati a morte della Resistenza Italiana” resta profondamente colpito dal peso che il riferimento alla “patria”, come colei a cui tutto si deve sacrificare per poter uscire dalla dittatura fascista, ha in moltissime di queste lettere. Il nucleo del patriottismo repubblicano emerge con una forza istintiva, elementare: davvero la Resistenza fu guerra, oltre che civile e sociale, “patriottica”.
Ho ricordato due domeniche fa i partigiani morti a Valmozzola al grido “Viva l’Italia”. Oggi ricordo le testimonianze raccolte dal Museo Audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo, importantissimo strumento di conservazione ed elaborazione della memoria, che coniuga l’antica tradizione del racconto orale con le più moderne tecniche comunicative. Fortemente voluto da Paolino Ranieri, che seppe raccogliere i finanziamenti coinvolgendo le Province di Spezia e Massa – Carrara e i Comuni di Massa, Carrara, Fosdinovo, Sarzana e Spezia, il Museo fu inaugurato nel giugno 2000. Ci tramanda la memoria della Resistenza dei partigiani e degli oppositori politici ma anche delle popolazioni civili contro la guerra, la fame, i bombardamenti, le stragi. Viene in mente il bellissimo film di Giorgio Diritti “L’uomo che verrà”, che racconta Marzabotto mettendo in scena non tanto i partigiani quanto gli altri “eroi”, le donne, i bambini, i contadini, i sacerdoti. “Il bene più prezioso che abbiamo incontrato lassù tra i monti”, come mi diceva Varese Antoni. Il Museo va visitato. I racconti che lì si rivivono ci fanno capire che la riconquista della patria fu una cosa sola con la riconquista della libertà, della democrazia e dell’eguaglianza.
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