Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Alla Carispe serve del nuovo personale

a cura di in data 6 Settembre 2010 – 12:32
Il  Secolo  XIX – 6 settembre 2010 – Nei giorni scorsi Cariparma ha annunciato l’acquisizione dell’80% della Cassa di Risparmio spezzina (il 20% rimane della Fondazione Carispe) e di altre 96 filiali dal gruppo Intesa Sanpaolo. In questo modo il gruppo Cariparma Friuladria (la banca friulana fu acquisita nel 2007) si dota di oltre 180 filiali in più e rafforza il suo posizionamento competitivo nazionale: oltre 900 filiali nelle aree più ricche del Paese (settimo posto in Italia) e una forte solidità patrimoniale e finanziaria.
E ora che succederà a Carispe? Riacquisirà le funzioni tipiche della banca del territorio, vicina alla famiglie e alle imprese, cadute così in basso negli ultimi anni? La risposta non è semplice. Quando le Casse erano istituti di credito autonomi e radicati nel territorio, il loro scopo era appunto lo sviluppo del territorio su cui operavano. Poi è cambiato tutto: le Casse sono diventate società per azioni, e sono nate le Fondazioni, che hanno ricevuto in dote le azioni della spa. Le attività, da pubbliche, sono diventate di impresa. Le banche sono guidate da logiche aziendali: fare utili, risparmiare sul personale, aggregarsi in grandi gruppi per ridurre i costi. Prima l’efficienza era spesso mediocre -ricordiamo tutti la crisi di Carispe, e che dovette intervenire Cariplo a salvarla- ma c’era una prossimità con l’economia locale che è andata perduta. Dopo Cariplo Carispe passò a Intesa, poi riuscì a sfuggire al pericolo della Bpl di Fiorani, che pure aveva potenti sponsor locali, e fu ceduta a Carifirenze, che fu a sua volta acquisita da Intesa Sanpaolo. Ricominciò così la nostra dipendenza da Milano, fino -è storia di oggi- al punto più basso di autonomia, cioè l’impossibilità di gestire la leva essenziale per una banca, l’erogazione del credito. Carispe è una rete di sportelli, che applica modelli imposti dall’alto.
Con Cariparma le cose potrebbero cambiare. Il suo è un modello “federale”, che riconosce le entità locali e concede loro una relativa autonomia. A Carispe dovrebbero quindi essere assegnate precise competenze creditizie e commerciali, con i relativi uffici (per questo servirebbe nuovo personale, anche di qualità, dopo anni di vacche magre per l’occupazione). Ma tutto questo va inserito in un ragionamento di fondo: è la forza economica di un territorio, e quindi l’assenza del rischio potenziale del credito, che evita lo spostamento delle funzioni verso il “centro” e garantisce l’entità locale della banca. Nel contempo questa forza economica dipende anche dalla quantità e dalla qualità del credito. Il territorio è quindi un unicum: imprese e banche sono più che mai parte integrante dello stesso sistema. Valorizzarlo è il compito delle istituzioni e delle forze economiche della città..
Il sociologo Aldo Bonomi, rispetto alla dialettica tra i flussi della globalizzazione e i luoghi, parla di tre concezioni del territorio: l’ideologia localistica che teorizza il rinchiudersi nel campanile, quella mercatista che fa scomparire il territorio consegnandolo ai grandi gruppi esterni, infine l’ideologia della società aperta, che intende il territorio come spazio a cui rimanere ancorati e da cui partire per andare verso il mondo e i flussi globali. La città deve fare questa terza scelta. Sempre, e tanto più nella vicenda Carispe.
lontanoevicino@gmail.com

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