La Resistenza delle donne nei nostri territori – La Spezia, Favaro 20 aprile 2024 – Intervento di Giorgio Pagano
La Resistenza delle donne nei nostri territori
26 aprile 2024, La Spezia – Favaro
Intervento di Giorgio Pagano
L’antifascismo fu un intreccio tra antifascismo dei politici e antifascismo morale ed esistenziale della generazione più giovane. Potremmo dire tra pubblico e privato.
Nella vita delle donne che parteciparono alla Resistenza si intravede il principio di un percorso di partecipazione che trasforma la propria vita: per tante di loro quei giorni furono “vissuti veramente da me”, per usare le parole di Leletta D’Isola nel libro di Giovanni De Luna La Resistenza perfetta.
In un passo di una testimonianza Paolino Ranieri spiega che ci sono tanti modi di arrivare alla Resistenza e distingue tra il suo antifascismo – “ero un ribelle già da dieci anni” – da quello “spontaneo” dei più giovani.
Le donne esemplificano bene l’antifascismo morale ed esistenziale.
Leggiamo la testimonianza di Vega Gori rilasciata all’Istituto Storico della Resistenza in Liguria:
L’entusiasmo ci portava a fare certe stupidaggini: mia madre aveva della seta… celeste e io le avevo detto “Mamma, tingimela di rosso”… passavo davanti alla questura come a volerla sfidare… con la camicetta rossa.
In Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in iv Zona operativa, tra La Spezia e Lunigiana Anna Maria Vignolini racconta:
Il 25 luglio, quando tutta Sarzana esultò per la caduta del fascismo, presi parte alla manifestazione che si svolse nelle vie cittadine: fu la prima esperienza attiva alla quale partecipai. Dopo l’8 settembre e lo sfacelo dell’esercito aiutammo i giovani militari sbandati. Fu quella la svolta. Anche noi ragazze ci davamo da fare, non parlavamo più di ballo o di ragazzi. Andavamo in bicicletta al fiume in costume, per dare la sensazione di essere innocui bagnanti, invece facevamo riunioni politiche. Cantavamo “Bandiera rossa” e l’”Internazionale” sul fiume o nel Campo dei Cappuccini, dove ora c’è lo stadio. Prima ero timida, riservata e un po’ paurosa, di svenimento facile, poi il lavoro clandestino mi diede coraggio. Gli ideali portano a osare cose inimmaginabili.
L’incontro tra i due antifascismi, tra “politici” e “partigiani”, non fu semplice, e non fu fecondo in tutti i momenti.
Consideriamo l’antifascismo spontaneo operaio: marzo 1944 fu uno dei momenti dell’incontro fecondo con la politica, in primo luogo quella del Partito comunista. A gennaio 1944 non era accaduto.
Nel marzo 1944 il ruolo delle donne operaie fu importante.
Lina Fratoni, il 29 luglio 1943, fu una delle prime vittime della Resistenza spezzina.
Leggiamo, in Sebben che siamo donne, le testimonianze di Giuseppina Cogliolo e di Delfina Betti, operaia dello Jutificio:
Eravamo a Spezia, c’era una manifestazione di giubilo per la caduta del fascismo. E questa ragazzina, Lina Fratoni, aveva pochi mesi più di me, no, meno di me. Adesso, io non la conoscevo, lei era un’operaia di Motosi e forse in quel momento non si rendeva nemmeno conto del momento storico che passavamo, vero? Perché a quell’età lì quasi quasi non ce ne rendiamo conto. Era in corteo e noi tutti in corteo, tutti dietro, insomma, era un corteo immenso.
Quando siamo nei pressi… dove adesso c’è… la scuola 2 Giugno, allora lì c’era il Ventunesimo, il famigerato Ventunesimo dove han trovato dei partigiani che non l’han nemmeno riconosciuti dalle torture che facevano, c’era ancora la milizia fascista e ha cominciato a sparare. Non so se ha sparato in aria, conclusione questa ragazza qui è rimasta ferita gravemente, l’han portata all’ospedale, è morta. Allora la Questura, ricordo, ha vietato il funerale e me, in quel momento, forse sarà una cosa che m’è venuta dopo, è parso quasi che mi lanciasse un messaggio, non so, io l’ho sempre detto che la spinta iniziale è stata quella.
Lo sciopero fu compatto fin dal primo giorno; ognuno ne aveva piena consapevolezza. Evidentemente la compattezza e la durata dello sciopero avevano messo i dirigenti di fronte a un fatto più grosso di loro; l’ultimo giorno i fascisti della fabbrica non seppero fare di meglio che fare intervenire la X MAS. Questi ultimi entrarono nei reparti, Direttore in testa; tentarono di obbligare le operaie a mandare le macchine credendo di spaventarci. Nessuna cedette; per nulla intimorite tenemmo duro; le macchine le mandammo sì, ma solo quando lo sciopero terminò.
… Ricordo che vennero alla mia macchina il Direttore con due ufficialoni grossi grossi, mi dissero di mandare la macchina ma non ebbi paura; avevo capito che erano loro ad avere paura, perciò volli provare la soddisfazione di vederli andare via senza obbedire.
Delle nove operaie dello Jutificio arrestate, sette tornarono in fabbrica nei giorni successivi. Le due sorelle Dora ed Elvira Fidolfi furono invece deportate in Germania. Elvira non tornò più.
Le donne – non va dimenticato – furono volontarie a pieno titolo. Non dovevano scappare dalla leva repubblichina, come tanti giovani diventati partigiani per non farsi arrestare.
Furono soprattutto partigiane della Resistenza civile e sociale: aiutarono, assistettero, nascosero. Curarono i corpi. Odiarono la guerra.
Nel Programma dei GDD – Gruppi Difesa della Donna – del novembre 1943 era scritto:
L’Italia redenta dall’invasore straniero, l’Italia redenta dall’oppressione fascista, deve essere la Patria del popolo che l’abita, che vi lavora e vi costruisce. Il popolo la vuole prospera e pacifista, vuole che sia alleviata ogni pena, libera ogni gioia.
Un’Italia umana, pacifica e pacifista, serena e gioiosa.
La Resistenza, e poi la Costituzione, possono essere interpretate come cesura per quanto riguarda la sconfitta del mito della guerra come esperienza umana fondativa. Interrompono la spirale della morte e della valorizzazione della morte che avevano caratterizzato i decenni precedenti, e che oggi sono riemerse prepotentemente dalle viscere della storia.
Ancora: colpisce il fatto che nessuna donna tradì. Non solo tra le contadine della Resistenza civile e sociale. Anche tra le staffette, anche tra le donne in armi, comprese le donne gappiste.
Ma torniamo alla Resistenza civile e sociale: Anna Bravo e Anna Maria Bruzzone parlano di “maternage di massa”, cioè della disponibilità femminile ad offrire sostegno agli uomini bisognosi, che nel momento della difficoltà si rivolgono alla donna come madre: l’unico modo concesso alle donne di mostrarsi più forti dell’uomo.
Ha ragione Leonardo Paggi ad auspicare una concezione della Resistenza “in cui la madre non abbia uno spazio minore del partigiano”.
Significa che tutti e tutte, anche i più deboli, e in ogni occasione, possono fare qualcosa.
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