Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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“Sebben che siamo donne” interviste a Giorgio Pagano e a Maria Cristina Mirabello su Cronaca4, Città della Spezia, SpeziaOggi e TeleLiguriaSud

a cura di in data 17 Febbraio 2018 – 11:25

Cronaca4, 7 febbraio 2018 – Il nuovo libro di Giorgio Pagano, scritto a quattro mani con Maria Cristina Mirabello, si intitola “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana” ed è una novità e un punto fermo nella storiografia sulla Resistenza spezzina. Il libro raccoglie le ultime testimonianze delle protagoniste e/o di chi a stretto contatto con esse ha vissuto: 32 sono i ritratti delle donne partigiane, e un intero capitolo è dedicato alle donne delle campagne e delle montagne, sostenitrici e curatrici dei partigiani. Si legge tutto d’un fiato, e si raccomanda ancheper l’agevole accesso al materiale anche grazie all’indice analitico, per le indicazioni bibliografiche e per la bellissima documentazione fotografica, sia delle ragazze di allora che delle signore anziane di oggi.

Chiediamo a Giorgio Pagano: perché questo titolo?
Il titolo cita il primo verso della famosa canzone “La Lega”, la prima canzone di lotta proletaria al femminile, in cui per la prima volta si dice “paura non abbiamo”. Abbiamo voluto così riallacciare i fili della memoria tra inizi del XX secolo, quando il movimento operaio vide nelle sue file la forte presenza delle mondine, e la fase della Resistenza.

Se dovesse sintetizzare il contenuto del libro e la sua novità che cosa direbbe?
Il libro dimostra che il ruolo delle donne nella Resistenza fu davvero decisivo. Quando il 25 luglio 1943 cadde il fascismo, il 29 luglio, a seguito delle dimostrazioni, ci fu, tra i primi morti, una giovane donna, l’operaia Lina Fratoni. Quando poi l’8 settembre si manifestò drammaticamente la liquefazione dello Stato furono soprattutto le donne a soccorrere i soldati che sbandavano in un Paese occupato, nel nome della solidarietà umanitaria e dell’odio contro la guerra. Donne molto diverse tra loro, in città o in campagna e in montagna, come emerge dalle testimonianze pubblicate: ma per tutte fu il momento della “scelta morale”, dell’assunzione di responsabilità, che si trasformò poi in partecipazione e autonomia.Le donne avrebbero potuto stare a casa, rinchiudersi nel privato, comportarsi come avevano fatto -o meglio erano state costrette a fare per secoli- non accollandosi rischi o comunque evitando di esporsi. Ma così non fu. Le donne innanzitutto nascosero: durante i rastrellamenti nazifascisti furono loro ad occultare e a rendere invisibili gli uomini di fronte alla minaccia della deportazione. E poi tacquero e vigilarono, in una situazione che si fece via via sempre più difficile e drammatica. Resistettero quotidianamente sotto i bombardamenti, con i carretti andarono a cercare cibo, risalendo faticosamente e pericolosamente la Cisa verso Parma.Molte furono deportate, e furono protagoniste della straordinaria “resistenza minimale” nei campi: il non lasciarsi andare, il mantenere una scintilla di umanità.Molte si impegnarono fino a diventare staffette e portaordini: non figure di secondo piano ma vero tessuto connettivo dell’organizzazione clandestina. Fino a partecipare alla lotta armata. Si assunsero insomma rischi altissimi, pagando anche in taluni casi con la vita.Fondamentale fu il ruolo delle donne delle campagne e delle montagne: senza il loro aiuto, variamente declinato tra silenzio, protezione, cura, assistenza -sono straordinarie le testimonianze sulla cura dei corpi degli uccisi-certo il movimento partigiano non avrebbe potuto superare le traversie del durissimo inverno 1944-’45. Avere raccolto le loro testimonianze credo sia la vera novità del libro. Che è coerente con la visione di una Resistenza non solo armata ma anche civile e sociale,in cui la madre non ha uno spazio minore del partigiano. Le madri sono non a caso tra le protagoniste del libro. Ritorna il perché della canzone scelta per il titolo: “Sebben che siamo donne paura non abbiamo, per amor dei nostri figli…”

Il libro presenta molte storie di donne: sono da leggere come materia comunque passata o ci offrono spunti per il presente?
Le storie delle donne resistenti sono una lezione perenne. E’ da qui che dobbiamo ripartire se vogliamo cambiare la politica e il nostro Paese. Dalle donne semplici, dalle ultime, dalle contadine e dalle pastorelle, dalle mamme. Loro sono il nostro Pantheon. Ripartire animati dalla stessa scelta morale, dall’ “ardir”, dal coraggio per il bene, per la cura degli umili e degli oppressi, per la partecipazione civile, per la libertà e la democrazia.Le donne resistenti sono un grande esempio di donne che diventano soggetto e non più oggetto, donne autonome, capaci di autogovernare le proprie vite. Questa concezione della Resistenza resta un potente strumento di trasformazione culturale: perché insegna che tutti e tutte, e quindi anche i più deboli, e in ogni occasione, possono fare qualcosa.

Cosa significa per lei la nomina di Liliana Segre senatrice a vita?
Un regalo inatteso. Il modo migliore per ricordare il settantesimo anniversario dell’entrata in vigore della Carta Costituzionale, in un epoca in cui ritorna il fascismo tingendosi, come nel resto d’Europa, di una forte connotazione razzista. Liliana Segre fu deportata ad Auschwitz a soli 14 anni. Il suo monito è l’antidoto più forte: “A chi mi chiede come tutto questo sia potuto accadere rispondo con una sola parola. Sempre la stessa. Indifferenza. Tutto comincia da quella parola. Gli orrori di ieri, di oggi e di domani fioriscono all’ombra di quella parola”.

A Maria Cristina Mirabello chiediamo: si può parlare di un protagonismo femminile nella Resistenza?
In IV Zona Operativa le donne, dietro ognuna delle quali stavano storie familiari e personali completamente diverse, parteciparono alla Resistenza grazie ad una maturazione personale di scelte e grazie ad una precisa spinta proveniente dalle organizzazioni resistenziali del territorio. Ci fu dunque un misto fecondo di spontaneità e di organizzazione. Furono in genere dattilografe, staffette, porta-ordini, affidatarie di documenti segreti che implicavano per loro un rischio continuo, alcune salirono anche ai monti inquadrandosi nei reparti combattenti. Fu determinante inoltre che le donne delle campagne e delle montagne svolgessero funzioni protettrici, curatrici, rifocillatrici, vigilando, operando o semplicemente tacendo. Ma anche tacere è una grande virtù. Si può affermare quindi con sicurezza che in IV Zona Operativa l’esercito in armi dei partigiani senza questi apporti non avrebbe potuto avere la consistenza e persistenza che ebbe. I numeri delle donne verificabili nel capitolo del libro “Dati e Riflessioni” sono di per sé interessanti, pensando che nelle epoche passate mai si era registrato un’entrata in campo simile da parte del genere femminile, ma avrebbero potuto essere ben più rilevanti se tutte coloro che avevano svolto attività significative nel corso della Resistenza avessero presentato domanda di riconoscimento (e, naturalmente, l’avessero ottenuto). Basti pensare che molte donne fra le intervistate, pur riconoscendo che quella della Resistenza era stata la stagione più importante, a livello di formazione personale, della loro vita, rifluirono poi semplicemente nel privato dove i riconoscimenti pubblici non avevano forse lo stesso profilo che potevano assumere per i coetanei maschi.

Si può parlare di un’onda lunga che parte dalla Resistenza e si riflette sulla Costituzione?
Indubbiamente senza la Resistenza non ci sarebbe stata la Costituzione e gli articoli che sanciscono l’emancipazione e l’eguaglianza femminile. Ma va anche detto che l’onda lunga partita dalla Resistenza si infranse spesso contro la mentalità dell’epoca e contro una legislazione arretrata che impiegò lunghissimi anni per adeguarsi ai cambiamenti previsti dalla Legge fondamentale dello Stato. E se nel tempo la legislazione si è faticosamente adeguata, sulla mentalità e sui comportamenti relativi all’epoca che viviamo, ci sarebbe ancora oggi molto da ridire.


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