Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Ricostruire la sinistra

a cura di in data 12 Ottobre 2014 – 21:28

“Pagine on line” e “Per una comune uscita di sicurezza” 8 ottobre 2014 – La redazione di “Pagine on line”, nel numero di lunedì, ci ha offerto un intervento di riflessione sulla manifestazione organizzata sabato a Roma da Sinistra Ecologia Libertà, nella quale sono intervenuti esponenti di tante anime della sinistra, e ci ha invitati al confronto. L’intervento apprezza la proposta alla base della manifestazione: “lavorare per una coalizione dei diritti e del lavoro, che abbia la capacità di rendere sempre più stretto il legame tra i diritti sociali e i diritti civili”, per dirla con Nichi Vendola sul “Manifesto”. Che ha aggiunto: è “l’inizio di un percorso con un futuro più lungo”, e ha chiesto “a tutti di fare una battaglia vera, di portarla fino in fondo”. Condivido il giudizio della redazione: è questo il modo per “ridare spazio alla speranza”. La speranza di ricostruire la sinistra italiana, andando oltre Sel, il Prc e le altre forze in campo. Facendo tesoro della lista Tsipras, che ha avuto il merito, nelle elezioni europee, di mobilitare energie esterne ai partiti, soprattutto giovanili, e di resistere alla “cannibalizzazione” da parte del Pd di Renzi delle forze a esso elettoralmente più vicine. Ma andando oltre anche questa esperienza, per costruire un campo più aperto, capace di essere punto di incontro anche per forze che non si riconoscono nella “mutazione genetica” in corso nel Pd e nell’impotenza sterile del populismo del M5S.

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Gianni Borgna ha previsto, nel libro scritto prima di lasciarci, Senza sinistra, che “le componenti moderate del Pd e del Ncd di Alfano alla lunga finiranno con l’incontrarsi” e che “a quel punto sarà inevitabile che il resto del Pd si unisca ad altre forze della sinistra, creando a sua volta un partito realmente, e non a parole, socialista e riformista”. Quella dell’unità delle componenti moderate o di centro è un’ipotesi verosimile, che potrebbe coinvolgere anche parte di Forza Italia. Il Pd può evolvere cioè verso il “partito unico articolato” tipico delle “larghe intese permanenti”: è infatti nella più radicata tradizione delle classi dirigenti italiane la scelta di avvalersi di un “partito unico” di governo. Da Monti a Letta a Renzi abbiamo visto operare, in forme diverse, questo schema. Gli schieramenti possono essere di volta in volta diversi, ma comunque agiscono sempre all’interno dello schema, valoriale e programmatico, tracciato dal “partito unico”. Così è oggi, per esempio, nella battaglia sull’articolo 18: Renzi, Sacconi e Berlusconi sono uniti nel considerare il lavoro un fatto privato, regolato dal mercato e non dalla legge, dallo Stato. La politica diventa solo una tecnica, subalterna al mercato; e si fa essa stessa mercato, scambio di favori e di convenienze reciproche. Il ceto politico diventa sostanzialmente interscambiabile. Se andassero avanti questi processi, molto evidenti anche nei territori, la “mutazione genetica” del Pd terminerebbe il suo corso.

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E’ un’ipotesi verosimile, e auspicabile, anche quella che forze di sinistra provenienti dal Pd si ritrovino in una nuova forza della sinistra italiana, che non sia un mero assemblaggio di forze sconfitte ma, appunto, una forza completamente nuova. Che caratteri dovrà avere questo “nuovo partito” della sinistra? Dovrà essere una forza non minoritaria, non semplicemente “a sinistra del Pd”, ma portatrice di un punto di vista autonomo e di un disegno di società. Una forza insieme politica e sociale. Il percorso di Alexis Tsipras e di Syriza in Grecia è senz’altro un punto di riferimento, innanzitutto perché Syriza è una forza unitaria frutto di un intenso lavoro tra gli strati più deboli della società, che si è costruita come un soggetto al contempo politico e sociale. Syriza non ha solamente proposto una linea e dei contenuti politici, si è anche insediata nella società e ha promosso esperienze di mutualismo e di welfare territoriale. Questo è un punto di fondo: il “nuovo partito” della sinistra potrà sorgere solo da un’osmosi permanente tra politico e sociale. Io sono critico nei confronti dell’idea del primato dei partiti e dell’autonomia della politica: perché i partiti hanno bisogno del sociale e perché anche i movimenti sociali hanno contenuti politici. Nel contempo sono critico anche dell’idea del primato dei movimenti e dell’autonomia del sociale: perché i movimenti hanno bisogno del politico e perché i partiti devono essere essi stessi società. La sinistra politica esiste in quanto si ricostruisce una sinistra sociale; ma quest’ultima non può essere lasciata a se stessa, avulsa dai partiti. Il lavoro politico non può non essere insieme un lavoro sociale, di radicamento nella società, di costruzione della capacità di rappresentanza sociale: la politica senza rappresentanza diventa solo il campo della competizione per il potere. Il lavoro sociale a sua volta non può non essere insieme un lavoro politico, non può disertare la politica né pensare di sostituirsi alla politica, ma deve ambire a ridefinirne lo spazio, introducendovi nuovi attori e procedure di democrazia partecipativa. Il “nuovo partito” dovrà essere l’esito dell’apertura dello spazio della politica alle pratiche di partecipazione dal basso di associazioni e movimenti: proprio ciò che era contenuto in nuce, pur tra tante contraddizioni, nella “polifonia” alla base dell’esperienza della lista “L’Altra Europa con Tsipras”.

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La sorgente sociale dei movimenti non è più solo il lavoro: la loro esperienza critica matura dentro e fuori dal lavoro. Essi raccolgono forze e sollecitazioni che attraversano tutta la società. Il blocco sociale e culturale post liberista alla base del “nuovo partito” della sinistra e del suo programma di riformismo radicale dovrà avere più protagonisti: le comunità locali attente ai loro territori e a un nuovo modello di sviluppo; il terzo settore, l’economia solidale, il mondo della solidarietà sociale; la parte più vitale e socialmente responsabile della piccola impresa; i movimenti pacifisti e ambientalisti. Ma il lavoro non ha cessato di essere un’esperienza centrale della vita delle persone: è ancora il punto di partenza per la costruzione del blocco sociale e culturale post liberista. Certo, il lavoro è oggi segmentato e lacerato -si pensi soprattutto alle nuove soggettività sociali “non garantite”- e appare come un insieme di interessi non più riconducibile all’unità. Ma nella storia le differenziazioni ci sono sempre state, in misura più o meno marcata, e l’unità è sempre stata “il risultato di una costruzione culturale e politica, non una confluenza spontanea” (Salvatore Biasco, Ripensando il capitalismo). Ricomporre i diversi tasselli del mosaico è il grande compito della sinistra, politica e sindacale, anche in questa fase: un compito che va esercitato nel vivo del grande conflitto in corso su “chi paga” la crisi e su “come uscirne”. La sinistra, politica e sindacale, non può limitarsi solo alla conservazione dell’esistente ma deve inserire la sacrosanta battaglia difensiva in una prospettiva nuova, con al centro il reddito minimo per tutti, i diritti per tutti.

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Il “nuovo partito” della sinistra non dovrà essere un partito personale, dove contano solo i capi o addirittura solo il capo. Nella personalizzazione del potere non sono le idee a fare la politica ma il leader-attore in uno spazio pubblico che è sempre più spazio pubblicitario. Ho conosciuto il partito vero, organismo collettivo. Ricordo che fui eletto segretario provinciale prima del Pci e poi del Pds a larghissima maggioranza e a voto segreto, pur facendo parte di un’area politico-culturale di minoranza: contava il merito, e c’era la voglia di cooperare tra persone diverse. Quando lasciai, nel 2007, era già cambiato tutto: al posto del merito la fedeltà alla fazione, al posto della cooperazione la competizione per il potere. Dopo aver fatto il Sindaco sarei dovuto diventare uno dei capi bastone del Pd, con un mio ”potentato”. Lasciai perché avevo nuove passioni e perché non credevo nel Pd. Ma lasciai anche per il degrado del partito: figuriamoci, non mi ero nemmeno mai occupato in passato di come i miei principali collaboratori si schierassero nei congressi… Immaginavo il futuro, anche se non così in basso. Per me partito e sinistra sono sempre stati due concetti storicamente e teoricamente connessi: non ho cambiato idea. Riformare radicalmente i partiti è dunque un imperativo categorico. Bisogna tornare al merito e alla cooperazione, in un organismo collettivo. Che sia molto più democratico, inclusivo, orizzontale rispetto al passato. In cui si aprano continuamente canali di comunicazione e di partecipazione con gli iscritti, con gli elettori, con la rete variegata dell’associazionismo. Che si basi sulla “mobilitazione cognitiva” di cui ha parlato Fabrizio Barca (La traversata. Una nuova idea di partito e di governo). “Il potere è come la droga… nasce la dipendenza e la necessità di dosi sempre più alte; nasce il rifiuto della realtà e il ritorno di segni infantili di onnipotenza” (Primo Levi, I sommersi e i salvati). L’antidoto alla tossicità del potere è la sua democratizzazione e socializzazione, è il partito non verticalizzato e gerarchizzato.

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Il “nuovo partito” della sinistra dovrà essere nuovo nei valori, nei programmi, nel modo di essere: un progetto in costante divenire, non la cristallizzazione di vecchie certezze. Ma “tra innovazione e tradizione c’è e deve esserci tensione, nella quale alla prima spetta tagliare i rami secchi e alla seconda conservare quelli vitali… La tabula rasa è un’illusione infantile, perché nessuno ricomincia mai davvero da capo” (Gustavo Zagrebelsky, Chi ha tradito l’antico patto tra padri e figli, “La Repubblica”, 24 maggio 2014). La lunga storia di emancipazione delle classi subalterne ha lasciato tracce profonde: resta un deposito di energie da cui attingere. Certamente non basta, ma il futuro non è nelle mani di chi è senza storia. Come nel famoso quadro di Paul Klee, Angelus Novus, dobbiamo essere consapevoli del fatto che noi procediamo verso il futuro, nella bufera, con il volto che guarda all’indietro, rivolto al passato.

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L’attuale configurazione del sistema politico ha un carattere aleatorio. Renzi non è un leader stabile: potrebbe presto cominciare la caccia a un nuovo salvatore… E Grillo ha sì occupato lo spazio lasciato vuoto dalla sinistra che inseguiva Monti, ma lo ha fatto per mantenerlo vuoto: nel senso che la sua non è una politica di sinistra. La sinistra ha quindi le sue chances, ha una prospettiva, malgrado tutto, ancora aperta. Gli elettori di sinistra non sapevano che votando Grillo votavano per una protesta “sfascista”, e che votando Pd votavano per dare certezza di licenziamento agli imprenditori. Ma la sinistra, per incontrare questi elettori, deve fare una grande politica: deve quindi avere un grande progetto. Sui valori e sui programmi non partiamo da zero: bisogna mettere insieme in un disegno coerente i tanti segmenti vitali di cui disponiamo. Mentre le radici sociali della sinistra non sono state del tutto divelte. Certo, abbiamo alle spalle le “macerie”: la progettualità strategica ha bisogno di tempi lunghi. Però le classi subalterne e il Paese non aspettano, dobbiamo provare a incidere da subito, muovendoci per tentativi, con un progetto di alternativa convincente e credibile all’austerity neoliberista. Serve un sussulto. Come quello avviato, forse, sabato scorso in piazza Santi Apostoli a Roma. Dobbiamo sentire i nostri doveri verso le classi subalterne e verso il Paese. Sel e il Prc, la lista Tsipras, le persone e le forze di sinistra che sono nel Pd, le persone e le forze di sinistra che sono nel M5S, le tante energie del mondo della cultura, le associazioni nazionali e locali… siamo tutti chiamati, dentro, fuori e oltre i partiti, all’impegno per innescare il processo di ricostruzione della sinistra italiana. Un processo che nasca sia dall’alto che dal basso, che viva con il metodo della democrazia partecipativa e che ritrovi un popolo. Bisogna mettere da parte i vecchi mali dell’egoismo di parte, dell’indisponibilità ai compromessi e del settarismo per tornare al confronto e all’unità. Dobbiamo saper stare insieme, saper unire le forze, senza pensare di avere sempre la verità in tasca. E’ faticoso, lo so, ma è un obbligo e alla fine ci farà star bene: “Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice” (Albert Camus, Il mito di Sisifo).

Giorgio Pagano
Presidente dell’Associazione Culturale Mediterraneo

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