Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

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Quando il Cile entrò nelle nostre case. A cinquant’anni dal golpe dell’11 settembre 1973

a cura di in data 12 Febbraio 2024 – 07:30

Luis Sepulveda, Gino Strada e Giorgio Pagano alla Spezia, 3 dicembre 2002

Città della Spezia 11 settembre 2023

Nella memoria della mia generazione l’11 settembre 1973, cinquant’anni fa, è una data fatale, non dimenticabile. Così l’ho ricordata in “Un mondo nuovo, una speranza appena nata”:
“La generazione del Sessantotto conobbe, fin da subito, le sconfitte. Chi scrive era troppo giovane per poter ricordare bene la morte del Che, nel 1967. Ma ha impresso nella mente l’orrore per la “noche triste” di Città del Messico e per la strage di piazza Fontana. Nel suo ‘pantheon del dolore’ c’è soprattutto l’11 settembre 1973: la sconfitta del governo di Unidad Popular in Cile ad opera dei golpisti e il martirio del Presidente Salvador Allende. Però il suo sacrificio, per la generazione del Sessantotto, non era vano. Il lutto era, allora, inseparabile dalla speranza”.
Nel mondo non ancora interconnesso ma internazionalista come ora non è più, un’ampia parte della popolazione fu immediatamente coinvolta nell’accoglienza degli esuli cileni. Il mondo e la sua violenza ci entrarono nelle case, e noi le aprimmo. Già giovedì 13 settembre molte migliaia di persone scesero in piazza, in una manifestazione convocata dal Comitato Unitario della Resistenza. I giovani erano tantissimi. Solo il MSI, il partito della fiamma tricolore, applaudì il golpe, con una nota del federale Giuseppe De Natale:
“I patrioti in divisa hanno scelto la strada della nazione contro quella del cedimento”.
Ma il MSI allora era un piccolo partito isolato da tutti. Noi ragazzi cantavamo l’inno di Unitad Popular, “Venceremos”.
Ma ci illudevamo. L’11 settembre 1973 fu, in realtà, il simbolo della fine di una stagione della storia.
Allende fu l’ultimo protagonista dell’utopia di una via pacifica e riformista (parola che oggi ha completamente perso il suo significato originario) al socialismo. Unidad Popular riuscì a realizzare, in tre anni di governo, la nazionalizzazione del rame, sottraendolo alle multinazionali. Crebbero i salari, la scolarizzazione, l’assistenza all’infanzia, la produzione culturale… Ogni bambino poté avere mezzo litro di latte in polvere.
Quell’originale percorso di trasformazione si scontrò con una reazione fortissima, interna ed esterna al Cile. Il generale golpista Augusto Pinochet vinse sostenuto dalle forze di destra interne, dalle multinazionali, dalla CIA e dal governo americano di Richard Nixon, come hanno documentato gli archivi USA. Dopo i consiglieri militari della CIA e gli istruttori militari del Pentagono arrivarono a Santiago i Chicago Boys, i campioni della scuola iperliberista di Friedrich von Hayek e Milton Friedman, basata sulle privatizzazioni, la flessibilità del lavoro, le diseguaglianze. Quel modello fu dapprima imposto in modo violento – oltre 3.150 morti. Poi, pochi anni dopo, trionfò in America e in Gran Bretagna e via via nel mondo, grazie all’egemonia culturale. “La società è morta, esistono solo gli individui”, diceva Margaret Thatcher. Nell’epoca dell’egoismo consumistico, alla fine tutti saremmo stati meglio, perché qualcosa della ricchezza dei pochi sarebbe prima o poi “sgocciolato” migliorando la vita dei molti più poveri.
Era, secondo i liberisti, la “fine della storia”. Gli errori della sinistra, sempre più subalterna, fecero il resto.
Il vero trionfo dei liberisti cileni è stato cancellare nella memoria che scuole e ospedali fossero pubblici e che potessero tornare ad esserlo. Ora in Italia non siamo molto lontani. I Trenta gloriosi del secolo scorso sono finiti anche da noi, negli anni Ottanta. E da allora è stata tutta una caduta.
Tuttavia anche il neoliberismo ha fallito.
Già nel 1994 il grande storico Eric J. Hobswam nel suo libro “Il secolo breve (1914-1991)”, scriveva:
“Con l’avvicinarsi del terzo millennio, è diventato sempre più chiaro che il compito centrale del nostro tempo non è di esultare dinanzi al cadavere del comunismo sovietico, ma di considerare ancora una volta i difetti intrinseci del capitalismo”: le diseguaglianze e “l’incombente crisi ecologica”.
I partiti di massa non esistono più, un gran numero di cittadini si è ritratto dalla politica e lascia fare alla “classe politica” dei politici di carriera. Ma, proseguiva Hobsbawm, “il ventesimo secolo ha dimostrato che si può governare contro tutto il popolo per qualche tempo […] ma non contro tutto il popolo sempre”. E concludeva: “Il mondo deve cambiare. Se l’umanità deve avere un futuro nel quale riconoscersi, non potrà averlo prolungando il passato o il presente. E il prezzo del fallimento, vale a dire l’alternativa a una società mutata, è il buio”.
Di Salvador Allende, che pure fece molti errori, non ci restano un modello di società o un programma politico. Ma ci parlano ancora l’aspirazione a migliorare il mondo nel segno della giustizia e della libertà e una grande lezione morale. Il suo ultimo discorso alla radio sulle “grandi alamedas”, a bombardamento della Moneda, il palazzo presidenziale, in corso, resta uno dei più alti discorsi politici della Storia:
“Sigan ustedes sabiendo que, mucho más temprano que tarde, de nuevo abrirán las grandes alamedas por donde pase el hombre libre para construir una sociedad mejor.
Viva Chile! ¡Viva el pueblo! ¡Vivan los trabajadores!
Éstas son mis últimas palabras y tengo la certeza de que mi sacrificio no será en vano. Tengo la certeza de que, por lo menos, habrá una lección moral que castigará la felonía, la cobardía y la traición”.
“Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.
Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento”.
Il suo sacrificio fu il suicidio. Luis “Lucho” Sepulveda, che faceva parte della sua guardia presidenziale, una sera mi disse:
“Il suicidio di Allende fu un atto di grandissima generosità, poteva arrendersi ed andare in esilio, ma con la sua morte piantò un seme”.
Fu un gesto di grande coerenza morale.

Post scriptum:
Rimando, sul Cile, a due articoli su “Città della Spezia”:
“Il Cile nel cuore. 11 settembre 1973, la caduta di Allende”, 8 settembre 2013
“Hasta siempre Lucho”, 19 aprile 2020

Giorgio Pagano

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