Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

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Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello. Mercoledì 22 Settembre ore 18 a Monterosso

a cura di in data 19 Settembre 2021 – 16:37

Invito

Monterosso – Molo dei pescatori
Mercoledì 22 Settembre, ore 18.00

Il secondo Volume del libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” verrà presentato mercoledì 22 settembre alle ore 18 al Molo dei pescatori, per iniziativa del Comune di Monterosso. Emanuele Moggia, Sindaco di Monterosso, e Roberto Centi, docente e Consigliere regionale, dialogheranno con gli autori.
Il secondo Volume, intitolato “Dalla Primavera di Praga all’Autunno caldo”, si sofferma sulla “grande occupazione” delle scuole del dicembre 1968, che coinvolse tutto il litorale tirrenico, sulle lotte operaie e su tutti gli altri avvenimenti del biennio, dalla notte della Bussola alla strage di piazza Fontana, offrendo un ritratto compiuto della vita politica, sociale e culturale di tutta la provincia e anche, per molti aspetti, di tutto il Paese.
Le Cinque Terre sono tra le protagoniste del libro: furono, in quegli anni, “un’avanguardia sul mare”, meta di intellettuali provenienti da tutto il mondo, che intrecciarono le loro vite con quelle dei giovani del posto.
I testimoni che hanno collaborato al libro sono 341, a cui aggiungere i due autori.
“Caratteristica dell’opera -scrive lo storico Paolo Pezzino nella Prefazione- è lo spettro veramente impressionante degli argomenti trattati: non ci si limita infatti agli aspetti più evidenti delle lotte sindacali degli operai, del movimento degli studenti, dei rapidi mutamenti del mondo politico, ma si prendono in considerazione anche l’evoluzione del costume, della cultura artistica e musicale, dei quadri ideologici, delle pratiche religiose. I due Volumi sono poi corredati da importanti apparati: una cronologia internazionale e nazionale, oltre che locale, appendici documentarie, le schede biografiche dei testimoni, e le fotografie, che fanno parte a pieno titolo dell’interpretazione e della narrazione storiografica. In conclusione un’opera monumentale che restituisce alla Spezia, importante città industriale, il ruolo di primo piano che le spetta nel quadro dei sovvertimenti politico-sociali ed economici degli anni Sessanta”.

Scrivono gli autori nel retro di copertina:
“Negli anni Sessanta prese corpo, fino all’esplosione nel 1968-1969, una ‘rivolta etica’: una lotta antiautoritaria contro autorità a cui non si riconosceva più legittimità. Una contestazione della grande razionalizzazione autoritaria che negava autonomia, autorealizzazione di sé e dignità alla persona umana: allo studente della scuola nozionistica e gerarchica, che ossificava la cultura, come all’operaio della fabbrica fordista, nella quale i calcoli ingegneristici applicati ai tempi di produzione si sposavano con un comando brutale affidato all’onnipotenza ed alla prepotenza dei capi.
Si trattò di un movimento complesso, che aveva alle origini una miscela di sentimenti e di politica, un intreccio tra l’affermarsi di una volontà di autogoverno della propria vita e lo sviluppo di un’azione collettiva ispirata ai valori della libertà, dell’eguaglianza e della fratellanza. Protagoniste furono anche le giovani donne: all’insegna, in questa fase, più dell’emancipazione e della parità che della liberazione e della differenza. E tuttavia anche tali caratteristiche segnavano, per l’ampiezza delle ragazze coinvolte (che, in un certo senso, stimolavano la generazione delle madri), qualcosa di veramente nuovo.
Nel libro si delineano i tratti, riguardanti la cultura -si pensi all’importanza del linguaggio della musica- ma anche gli stili di consumo ed i comportamenti di vita, della comunità giovanile protagonista della ‘rivolta’. ‘Dio è morto’ fu anche il manifesto di questa comunità e della frattura giovani-adulti che si verificò. Era emersa una generazione, per molti aspetti diversa dalla precedente e da essa distinta, insoddisfatta del presente ma anche delle proposte di cambiamento indicate sia dal centrosinistra che dalla ‘sinistra storica’.
Il tentativo di questa generazione di costituire una ‘soggettività politica’ subì uno scacco. Ma le sue pulsioni vitali hanno lasciato segni che ci riguardano ancora”.


Il secondo Volume del libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, intitolato “Dalla Primavera di Praga all’Autunno caldo”, è stato presentato anche a Monterosso, per iniziativa del Comune. Emanuele Moggia, Sindaco di Monterosso, e Roberto Centi, docente e Consigliere regionale, hanno dialogato con Giorgio Pagano su molti dei temi affrontati nel Volume.
Si è discusso del movimento studentesco e del movimento operaio, ma anche della ribellione delle donne:
“La lotta antiautoritaria fu condotta anche in famiglia e sui temi del costume -ha detto Giorgio Pagano-, il Sessantotto fu cioè l’esplosione di tensioni incomprese o represse in diverse sfere della vita. Protagoniste furono anche le giovani donne: all’insegna, in questa fase, più dell’emancipazione e della parità che della liberazione e della differenza. E tuttavia anche tali caratteristiche segnavano, per l’ampiezza delle ragazze coinvolte, qualcosa di veramente nuovo. Nel libro ci sono la lotta contro gli orribili grembiuli verdi o neri, e contro il tailleur, per poter portare la gonna corta o i pantaloni… Ma anche la lotta contro il dispotismo di tante famiglie, e le fughe da casa per poter sposare il ragazzo amato inviso alla famiglia o per poter praticare esperienze politiche osteggiate… E quella contro le discriminazioni sessuali a anche contro certe “richieste” sessuali…”.
Roberto Centi ha chiesto se “l’antiautoritarismo, così necessario allora per lottare contro una società gerarchica, non abbia comportato, in seguito, anche la caduta di ogni autorità”. “La lotta contro ogni gerarchia fu il carattere unificante del Sessantotto -ha risposto Pagano-, ovunque quello che veniva contestato era il binomio comandare e ubbidire per sostituirlo, a partire dalla messa in discussione del proprio ruolo e della propria collocazione, con una pratica paritaria delle attività che vi si svolgevano. I ‘sessantottini’ volevano un’autorità vera, cioè responsabile, coinvolgente, ‘bidirezionale’ e in prospettiva ‘paritaria’. Non erano, salvo eccezioni, contro l’autorità tout court. La crisi attuale dell’autorità dipende dal fatto che chi è investito di autorità tende sempre ad abusarne: è l’autoritarismo, come nel Sessantotto. Ma l’autorità non può mai essere assoluta e arbitraria: deve sempre poter essere sfidata e messa in discussione, come nel Sessantotto. Servono lo scambio dialettico, l’avvicinamento, la mediazione, la sintesi tra posizioni diverse”.
Lo scrittore Danilo Francescano, presente nel pubblico, ha sostenuto che “gli anni Sessanta e il Sessantotto furono anni di speranza e di ottimismo, che si chiusero con la strage di piazza Fontana, il 12 dicembre 1969”. Pagano ha convenuto: “La strage segnò una parabola: dalla politica come etica alla politica come potenza. Ma segnò per molti anche una parabola personale, che separa il tempo della felicità da quello della sua perdita. Cominciò il tempo dell’angoscia e del dolore, per alcuni quello della collera e della violenza. Ma la speranza non muore mai. Il libro è costellato di canzoni. La prima, ‘Dio è morto’ di Francesco Guccini, canzone simbolo della speranza, dà con un suo verso il titolo al libro. L’ultima canzone è una ballata popolare di Lucio Dalla. Scritta nel 1978 e pubblicata nel 1979, ‘L’anno che verrà’ concludeva idealmente gli anni Settanta, raccontando la violenza, la fine dei sogni collettivi, l’ansia dei vinti. Ma anche il grande bisogno di poter ‘continuare a sperare’”.

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