Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

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Presentazione di “Un autunno d’agosto” di Agnese Pini, alla Serra 30 Ottobre 2023 – Intervento di Giorgio Pagano

a cura di in data 10 Aprile 2024 – 21:05

Presentazione di “Un autunno d’agosto” di Agnese Pini
30 ottobre 2023, Circolo Arci La Serra
Intervento di Giorgio Pagano

Agnese Pini, giornalista, da agosto 2019 è direttrice de La Nazione, prima donna ad aver ricoperto questo ruolo nella storia del quotidiano.
Da luglio 2022 ha assunto anche la direzione de il Resto del Carlino, Il Giorno e Quotidiano nazionale.
Questo è il suo primo libro.
“Un autunno d’agosto” è un bellissimo romanzo civile sull’eccidio nazifascista di San Terenzo Monti del 19 agosto 1944. C’è la grande storia, a partire dalla microstoria della famiglia di Agnese. I personaggi della storia diventano personaggi di un romanzo, grazie alla forza della narrazione. La scrittura è intensa, non è quella dello storico ma del romanziere, o meglio del raccontatore di storie. Che fa una indagine storica, un’inchiesta e un racconto insieme. Agnese Pini è una raccontatrice di storie, con una capacità di scrittura molto viva, aggraziata e potente insieme. Scrive:
“Ho provato a immaginare, a intrecciare i racconti e le memorie e le letture che mi si erano sovrapposti nella testa, le carte delle inchieste, le testimonianze dei sopravvissuti”.
La narratrice in prima persona tiene insieme, intreccia tutto questo.
“Un autunno d’agosto” è un romanzo morale, guidato dall’etica: racconta l’etica delle vittime e l’assoluta mancanza di etica dei carnefici.
Sono storie del passato che ci parlano ancora, storie anche del presente.

“Un autunno d’agosto” è la scritta scavata nel marmo dell’altare, nel cimitero di San Terenzo Monti, dedicato alle vittime dell’eccidio nazifascista del 19 agosto 1944.
In autunno cadono le foglie, il 19 agosto 1944 a San Terenzo Monti caddero vite innocenti: 159, in prevalenza donne e bambini. Tra loro la bisnonna di Agnese, Palmira. Tra loro Enia Valtriani.
Ecco come la ricorda Agnese nel libro:
“C’era una ragazza che si chiamava Enia Valtriani e che era sfollata da Lerici. Da quando era arrivata a San Terenzo, qualche mese prima, per scappare ai bombardamenti, si era allevata una gallina, una bella gallina grassoccia, con tutte le piume bianche, e la portava sempre con sé. La gallina la seguiva dappertutto, come fosse un cagnolino, Enia le voleva bene, la sua mamma la guardava e scuoteva la testa dicendo: ‘Se vai avanti così, finisce che te la porti anche nel letto’. Enia era rimasta sola a Valla, non c’era la sua mamma e non c’era il suo fratellino Franco: erano in paese, a San Terenzo. Enia aveva solo la gallina con lei, se la teneva forte tra le braccia”.
E ancora:
“Durante la notte, dopo Mario Oligeri, dopo Renato Terenzoni, arrivò a Valla anche la mamma di Enia Valtriani e trovò la figlia a pancia in giù, con la faccia riversa nel campo: la riconobbe per via della gonna che portava, la sua bella gonna ampia a quadri bianchi e azzurri. Si avvicinò, la girò, mentre la girava vide volare via la gallina bianca che Enia si era tenuta sotto la pancia per tutto quel tempo. Quando raccontava quella storia la mamma diceva sempre: ‘Vedendo la gallina bianca, ho pensato che quella era l’anima di Enia che volava via’”.
Enia aveva 21 anni. Faceva teatro, le piaceva leggere. Le sue lettere dimostrano attitudine alla lettura e alla scrittura. Una lettera alla nonna scomparsa è molto tenera, è un ricordo molto bello. La mia meta, dice, sarà il sole che tu segnavi. Che importa se dovrò lottare, soffrire…
Il padre è prigioniero degli Alleati, in Francia. Ritornerà solo nel settembre 1944, senza nulla sapere della tragedia. Il fratello Loris è partigiano nella Brigata Lunense. La mamma è sola con Enia e con il fratello più piccolo, Franco, sei anni. Franco è ammalato di pleurite, deve nutrirsi, a Lerici non può farlo. E allora la famiglia sfolla a San Terenzo Monti, in casa di Iole Faccini Piccioli, una conoscente di Lerici. Il caso, la combinazione…
Enia va a Valla, poco fuori dal paese, a nascondere le poche cose di casa, per paura dei tedeschi. Ma i tedeschi vedono tutto dal basso, a Valla non ci sarà scampo. Franco vuole andare con lei, ma lei gli dice di stare con la mamma. Il caso, la combinazione…
In una lettera agli zii Enia aveva scritto, qualche tempo prima:
“Franco non potete immaginare come sta bene, ed è anche per lui che ci fermiamo”.
Franco si interrogherà tutta la vita su questo. Ma fu il caso, la combinazione. E soprattutto la ferocia nazifascista.

Agnese nel libro torna la bambina che ascoltava i discorsi degli adulti, non considerata. Andavano a finire inevitabilmente sul 19 agosto 1944. A lei non sfuggiva lo sgomento negli occhi della nonna Jolanda, la figlia di Palmira che dopo il matrimonio si era trasferita alla Serra e da lì era sfollata a San Terenzo Monti per sfuggire ai bombardamenti sul golfo: non aveva mai superato la paura e non sopportava di sentir parlare tedesco. Per una “combinazione di scelta e caso” morì Palmira e non Jolanda, e da Jolanda nacque la madre di Agnese. Se Adriano Pini avesse fatto altre scelte – era un sacerdote che dopo il Sessantotto si spretò e sposò la figlia di Jolanda, come ha raccontato nella testimonianza pubblicata nel mio libro “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”…
Poi ci fu il distacco di Agnese. Poi ancora la fatica del tornare a San Terenzo Monti, fino a scrivere un libro.
La bambina, il distacco, la fatica del tornare… E il ruolo di Roberto Oligeri, che la spinse a tornare e a scrivere.

Nel ricordo di Agnese c’è anche Angelo, il marito di Palmira: un ciabattino che suonava il violino. Dante Castellucci “Facio” suonava il violino. Tommaso Lupi suonava il violino. Dino Grassi suonava il violino. Mi sono tante volte imbattuto, nelle storie che ho raccontato, in personaggi che suonavano il violino… Angelo era sempre stato antifascista, costretto a bere l’olio di ricino.
Già nel 1856 lo storico francese Sensfelder scriveva:
“Il calzolaio e il ciabattino sono gai, perfino vivaci, con una canzone sempre sulle labbra… Nonostante la semplicità dei loro gusti, coloro che lavorano scarpe vecchie o nuove si distinguono sempre per lo spirito irrequieto”.

Nel libro c’è la comprensione del dolore della nonna. Ma, scrive Agnese, “non potevo darle ragione” quando diceva: “se non ci fossero stati i partigiani. Non ci hanno difeso”.
La Brigata Muccini al comando di Alfredo Contri era un gigante di circa 700 uomini, costituitasi il 7 agosto a Tenerano. Era minata dalle rivalità e dagli autonomismi delle bande componenti, e del tutto incapace di opporsi alle stragi nazifasciste. Dopo le stragi di agosto si squagliò.
Ne faceva parte la Ulivi, comandata da Alessandro Brucellaria “il Memo”, scalpellino comunista di Carrara. La Ulivi intervenne su pressione di alcuni abitanti di Bardine, esasperati: “dovete fare qualcosa contro le razzie di bestiame”. I morti tedeschi furono 16, un morto tra i partigiani. Con Alfredo Contri non ci fu nessun confronto.
Agnese fa dire a “il Memo”: “Stiamo facendo una boiata”. Forse non si pose il problema della rappresaglia perché veniva da un’esperienza gappista contro i fascisti a Carrara che non aveva portato a rappresaglie.
Ebbe l’aiuto della banda sarzanese di “Fiumi”, Bruno Caleo.
Ecco il ricordo di Giuseppe Scargioli “Sgancia”, partigiano caro a tutti noi lericini, tratto da una testimonianza pubblicata nel mio libro “Eppur bisogna ardir. La Spezia partigiana 1943-1945”:
“I tedeschi stavano portando via tutto, le donne chiedevano aiuto, il comandante temeva che, se avessimo reagito, i tedeschi avrebbero ucciso tutti… abbiamo dovuto reagire, ci sono stati 16 morti tedeschi… i tedeschi diventarono belve, ho visto i morti uccisi a raffiche di mitra, c’era una donna con un bimbo di pochi mesi sul petto… e i corpi appesi ai pali lungo la strada per Fosdinovo, con un cartello che impediva di dar loro sepoltura, pena la morte”.

“Sgancia” non mancava mai alla cerimonia a San Terenzo Monti, negli ultimi anni, quando non c’era più l’astio verso i partigiani.
All’inizio i partigiani non li volevano. “Il Memo” continuò sempre ad andare a San Terenzo, ogni 19 agosto, unico tra i partigiani. Arrivava con la bandiera e si metteva nell’ultima fila, con la testa bassa. Fino all’ultima volta, l’anno prima che morisse. Un anziano del paese, che tanto lo aveva avversato, lo vide tutto solo. Non ce la faceva più. L’anziano lo prese a braccetto.
I “vendicatori di San Terenzo” erano un gruppo autonomo che si formò dopo la strage. Ragazzi del posto: uno di loro una volta venne ai ferri corti con “il Memo”.
Forse “il Memo” fece una boiata. Ma certamente era dalla parte giusta della Storia.

L’eccidio.
Nel corso di una riunione a Fosdinovo, il colonnello dell’ufficio informazioni della 16a “Reichsführer SS” Helmut Looss pianificò l’operazione di rappresaglia assegnando al maggiore Walter Reder il comando operativo.
Il 19 agosto i tedeschi tornarono sul luogo dello scontro con 53 prigionieri prelevati a Nozzano (Lucca), in massima parte arrestati nel corso del rastrellamento di Valdicastello (Pietrasanta – Lucca) del 12 agosto, ma anche invalidi ed elementi sospetti. Vennero legati ad alberi, pali, tralci di vite e alla camionetta incendiata dai partigiani due giorni prima, e uccisi con armi da fuoco alla testa. Sulla scena vennero affissi cartelli in riferimento all’attacco partigiano.
Le fotografie di Almo Baracchini che vedete scorrere sullo schermo ci mostrano l’orrore della strage.
Gli uomini di Reder rastrellarono davanti a Bardine diverse persone.
“La spinta a non restare soli, tenera e umanissima, condannò il paese al suo destino”, scrive Agnese. A Valla sorpresero 106 persone, per lo più vecchi, donne e bambini, obbligandoli a marciare su e giù lungo la strada che porta verso San Terenzo. Qui vennero catturate altre persone mentre il parroco don Rabino fu ucciso. Nella tarda mattina un gruppo di ufficiali, tra cui Reder, occupò la trattoria del paese e qui firmarono l’ordine di uccisione dei rastrellati a Valla. I soldati li fecero uscire dagli edifici dove li tenevano prigionieri e li uccisero a colpi di mitragliatrice. Al suono dell’organetto. Li fecero danzare: Tanzen, Tanzen!
Delle 106 persone Alba Terenzoni e la figlia Adelitta di tre anni riuscirono a fuggire. Clara Cecchini di  sette anni sopravvisse nonostante fosse ferita, mentre le SS passavano vicino ai corpi per finire eventuali sopravvissuti. Le vittime alla fine risultarono 159.
Agnese parla di “crudeltà scientifica “.

Carlo Gentile ha scritto di tre diverse guerre condotte dai nazisti: contro gli eserciti alleati, “combattuta quasi senza eccezioni secondo i canoni del diritto di guerra” (da noi ci furono eccezioni: l’eccidio di 15 soldati americani a Punta Bianca); antipartigiana, “combattuta con estrema durezza e scarso rispetto del diritto bellico”; contro la popolazione civile, “condotta con modalità in larga prevalenza criminali”.
Si puntava a declassare una nazione, a controllarla totalmente.
Lino Delle Piane, il frate di Soliera, disse: “E’ mai possibile che un uomo arrivi a fare tanto?”.
Erano soldati che avevano fatto esperienza sul fronte orientale, addestrati all’uso della violenza estrema, disciplinata; e giovanissimi fanatici invasati dalla propaganda di Goebbels. Una miscela esplosiva.
Non tutto nasce l’8 settembre. Bisogna ampliare cronologie e geografie.
Certo, dopo l’8 settembre gli italiani subirono una degradazione etnica: erano traditori, incapaci di combattere. Il Procuratore Militare Marco De Paolis, nel libro, ricorda il disprezzo dei vecchi nazisti.
Ci furono i fascisti che aiutarono i nazisti. Come Lodovici, il carrarino. Come il fascista che cercava le quattro persone da scambiare. Ne trovò due, con l’inganno.
La violenza emerge come tratto identitario del fascismo: lo squadrismo degli inizi si trasferisce nella Milizia, vive in Africa e nei Balcani, arriva fino alla RSI. Non tutto nasce l’8 settembre.
Per molti anni non ci sono stati i colpevoli. Quasi nessuno ha pagato.
Nel 1950 nelle carceri italiane c’erano solo cinque ufficiali tedeschi, che scontavano pene miti.
il Comune e la città della Spezia furono in prima fila nella battaglia per i processi ai responsabili delle stragi naziste, perché alla Spezia aveva sede la Procura dove erano stati trasferiti ben 214 fascicoli dell’”armadio della vergogna”. Affiancammo alla difesa delle parti civili un legale di fiducia e organizzammo il convegno nazionale “Dall’armadio della vergogna ai processi: il cammino della verità”. E oggi la città si candida ad ospitare, a fini di studio e di ricerca, tutta la documentazione dei processi.
Dice De Paolis ad Agnese:
“Furono due i principali motivi di quell’archiviazione. Ragioni di Stato: bisognava mantenere buoni rapporti con la Repubblica federale di Germania, come argine contro l’avanzata sovietica. Da qui la decisione di fermare i processi contro i responsabili tedeschi delle stragi. E poi, una questione tutta italiana: mettere una pietra tombale sui processi contro i nazisti in Italia serviva a salvare quei soldati italiani a loro volta accusati di atrocità e violenze in Albania, in Grecia, in Jugoslavia, in Etiopia. Dunque: si salvavano i criminali tedeschi per salvare i criminali italiani”.
Nel libro c’è la storia del processo, e di quel che accadde dopo.
Reder fu l’unica SS ad aver scontato il carcere. Poi venne l’amnistia di Craxi, e la frase del 1986:
“Non ho bisogno di giustificarmi di niente”.
La negazione della verità distrugge la storia.
Le vittime di San Terenzo furono due volte vittime.
L’assenza della giustizia, della verità, della storia porta i neofascisti di oggi a dire: i morti e i combattenti sono tutti sullo stesso piano.
La responsabilità non fu solo dei comandanti. Fu certamente di Looss e di Reder. Fu di Hitler (per gli ordini del 1942) e di Kesselring (per le misure del 17 giugno 1944 e l’ordine del primo luglio). Ma si può sempre dire no.
Come si sopravvive? Facendo ognuno la propria parte.
Il libro è dedicato agli ultimi, “perché su di loro si è costruita l’ossatura forte e imperfetta di tutto il nostro presente, dunque anche del mio”.
Lo storico Leonardo Paggi ha scritto:
“Il nuovo Pantheon di cui oggi sentiamo il bisogno non dovrebbe essere fatto per i grandi uomini, ma per la gente comune, in primo luogo per tutti quegli italiani che, spesso indipendentemente dalla loro appartenenza politica, sono caduti vittime delle forze che hanno cercato ininterrottamente di ostacolare lo sviluppo della nostra democrazia”
“Un autunno d’agosto” è una storia d’amore mentre la guerra torna a fare paura.
Riemergono dal fondo della storia forze brutali e imprevedibili delle quali si era persa memoria. La pace si è dimostrata una chimera, il sogno europeo non ha mantenuto le sue promesse. Si tratta di un processo cominciato da tempo e per capirlo occorre alzare lo sguardo oltre l’Europa stessa.
In Siria ci sono stati 400 mila morti e sei milioni di esuli. Senza nessun nostro coinvolgimento.
Ricordo le manifestazioni di fine 2003… C’era ancora forte la coscienza dell’orrore della guerra, maturata da più di una generazione che sapeva capire il valore della pace. Poi è sopraggiunta un’assuefazione al conflitto.
Francesco ha detto:
“La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”.
Si è riabilitata la guerra. Sembrava che la guerra fosse diventata tecnologica, molto meno sporca. L’Ucraina e Gaza ci dimostrano che non è così. E’ sempre la guerra di una volta. Dobbiamo riacquistare con urgenza il senso della pace.

Giorgio Pagano

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