Presentazione del libro di Antonio Floridia “PD un partito da rifare? Le ragioni di una crisi” – Lunedì 23 gennaio – Intervento di Giorgio Pagano
Presentazione del libro di Antonio Floridia “PD un partito da rifare? Le ragioni di una crisi”
Lunedì 23 gennaio
Intervento di Giorgio Pagano
La presentazione del libro di Antonio Floridia è la prima iniziativa del ciclo “Socialismo e democrazia, uguaglianza e libertà. Storie, riflessioni, speranze”, organizzato dall’Associazione Culturale Mediterraneo e dal Circolo Pertini. Provo a spiegarne il significato dal punto di vista dell’associazione che presiedo.
Rispetto a quindici anni fa – Mediterraneo è stata fondata nel 2008 – molto è cambiato: l’idea del mercato e della competizione è entrata anche nelle nostre vite, ed è molto più difficile dare un senso ai percorsi di vita rendendoli convergenti su obbiettivi che riguardino l’intera società per renderla più giusta. La sinistra, già allora in crisi, ha subito nel frattempo una sconfitta storica, che è stata culturale prima ancora che politica. La frattura tra cultura e politica è l’elemento di fondo per capire la sconfitta. L’incontro con gli amici del Circolo Pertini è avvenuto su questo punto: occorrono luoghi di elaborazione e trasmissione di un pensiero critico sul presente e di rilancio di un’idea alternativa di società. Noi questo vorremmo essere, non altro.
Oggi discutiamo del Pd: un partito in cui la questione della cultura, della visione, del progetto è la questione chiave. Non ha retto l’idea iniziale di un partito post ideologico: un partito non può non avere una cornice comune di idee e di principi.
Senza questa cornice esplode la questione morale. La politica senza visione non può che portare ad altro. Se affievolisce la critica ai valori dominanti aumenta la sua permeabilità all’incursione affaristica. Qui sta la differenza rispetto a Berlinguer: la questione morale non è frutto dell’invadenza della politica ma dell’assenza della politica. Senza visione, il mestiere del politico è finito.
Discutiamo, oggi e in tutto il ciclo, del socialismo (lo abbiamo già fatto, nei mesi scorsi, presentando i libri di Salvatore Biasco e di Rino Genovese)
Il compianto Salvatore Biasco ci ha dato un’indicazione preziosa: si dà una prospettiva alle fratture sociali e culturali e si batte la destra con il socialismo, con una nuova moralità e un nuovo senso della vita, attorno a una ritrovata cultura critica e passione sociale.
Il socialismo è la politica che disciplina il mercato, che forza la logica del capitalismo.
Va restituito l’onore alle esperienze socialdemocratiche, che hanno conseguito risultati importanti, in Scandinavia più che altrove, dando vita allo Stato sociale e ai diritti sociali, abbandonati con troppo disinvoltura dai loro eredi (anche se emerge qua e là la capacità di contrastare il declino: in Spagna come in Scandinavia). Ma va superato lo statalismo e va operata una correzione in senso libertario (come ci ha indicato Genovese), fondata sulla convinzione che, come diceva Vittorio Foa, politica non è solo comando, è anche resistenza al comando, che politica non è solo governo della gente, è anche aiutare la gente a governarsi da sé.
Quindi socialismo e democrazia, socialismo e libertà.
Uguaglianza e libertà. Sono i temi, in particolare, degli incontri che terremo con Carlo Trigilia e con Fabrizio Barca.
Temi decisivi per battere la destra.
La destra detesta l’uguaglianza, come la detestò il fascismo.
Concepisce solo l’uguaglianza tra gli uguali, non tra i diversi.
La disuguaglianza antropologica degli esseri umani è l’aspetto saliente dei fascismi vecchi e nuovi.
Una convinzione diffusa anche nel liberalismo: pensiamo alla meritocrazia, al mito del governo dei competenti.
Solo un cenno sulla destra. Nella destra c’è qualcosa di nuovo. Non sono solo conservatori. C’è il fascismo eterno, la mentalità di cui parlava Eco, ma non solo. Va studiata. Ha punti di forza e di debolezza.
Non bisogna concentrarsi solo sul Pd e sulla sinistra. C’è una fragilità congenita del sistema politico e c’è il suo disancoraggio complessivo dalle contraddizioni sociali. La questione riguarda anche la destra: la modifica in senso presidenzialista della Costituzione è pericolosa, e non serve a proteggere le persone, come dice la destra. Non si risponde all’insicurezza sociale, alle sue ragioni profonde solo così. Né solo con il senso identitario chiuso, che alimenta nuove paure e incertezze.
La crisi è di sistema, va esaminato tutto il quadro.
Anche perché sta cambiando il mondo: dalla globalizzazione aperta al tentativo di tornare ai blocchi (e di far coincidere Europa e Nato: il che complica molto le cose per una forza socialista).
Solo un cenno all’attore società civile.
La società civile ha testimoniato ma non è stata ascoltata.
Anche da qui quelle reazioni, quelle fratture intercettate dalla destra.
Ora è forse difficile dire che la società è, come un tempo, davanti alla politica.
Siamo più soli e più deboli. Ma nonostante tutto c’è una ricchezza, una vitalità. A Spezia lo dimostra la costituzione, appena avvenuta o in corso, di tre reti: quella di tutte le associazioni, quella antifascista, quella pacifista.
C’è la CGIL, c’è il mondo cattolico, c’è l’ambientalismo: un intreccio, una saldatura tra questi mondi, che è di grande interesse. Confluiscono vari impulsi: un mix che sta facendo da crogiolo a una nuova cultura, all’insegna della giustizia sociale e ambientale, dell’uguaglianza e della libertà.
C’è qualcosa nella società che bisogna interpretare politicamente.
Il libro di Floridia è di grande interesse, è molto stimolante.
Scrive l’autore:
“Il Pd appare un ‘partito in gabbia’, intrappolato nel suo stesso impianto originario, avvolto in una spirale che lo rende incapace di avviare un qualche processo di rinnovamento, se qualcuno o qualcosa, dall’esterno, o la forza delle cose e degli eventi, non imponesse una radicale rottura della continuità”.
Un partito “sbagliato” e “in gabbia”, a causa anche delle premesse del 2008 (sugli effetti perversi delle premesse insiste anche Trigilia, come vedremo).
Sulla base della mia esperienza, penso si possa dire che – dopo quella del 1989 – l’altra grande occasione perduta sia stata quella dell’inizio del secolo: Porto Alegre, l’altermondialismo. Il riformismo doveva rinnovarsi interpretando e facendo sua quella critica alla globalizzazione liberista. Ricordo che, al mio ritorno da Porto Alegre, l’ex sindaco Giacché mi invitò a discuterne in piazza. Anche qualcuno della “vecchia guardia amendoliana” aveva capito… Invece D’Alema e Veltroni sposarono un blairismo già declinante e sconfitto.
Concordo con Floridia sui due fondamentali fattori del declino del Pd: l’essere partito non di parte, che non rappresenta gli interessi sociali del mondo del lavoro, l’essere “partito della nazione” o, meglio, dell’establishment; la mancanza di identità chiara, se non quella – in fin dei conti – liberaldemocratica-liberista. Comunque un partito con contraddizioni. Senza una cornice di principi chiari che lo tenga unito.
Ancora oggi emergono due anime: un nuovo Manifesto dei valori affianca quello vecchio.
Siamo passati dal partito di classe all’astensionismo di classe.
Anche se il classismo del PCI non era rigido, corporativo.
Andrea Orlando ha parlato in questi giorni di “partito del lavoro”.
Meglio ancora dei lavoratori, dei proletari. Quelli che Hollande definiva gli “sdentati” e la Clinton gli “spregevoli”. Per dire cosa è stata la “terza via”.
Il tema è enorme. Lo è stato nella storia, lo è oggi, lo sarà domani. Il mondo del lavoro è cambiato e cambierà profondamente. Ci sarà una grande varietà di forme di impiego, di livelli retributivi, di orari, di configurazione di luoghi di lavoro, di situazioni assicurative e pensionistiche. Lavoratori della conoscenza e operai. L’appagamento di chi sta in alto e la sofferenza psichica di chi sta in basso e sente di valere poco. E che per questo in politica cerca sempre il nuovo. L’unità di questo mondo non può che essere, come sempre nella storia, una costruzione culturale, sociale, politica. Con l’obiettivo di dare valore economico e sociale a tutti i lavori, di accelerare il processo di valorizzazione del lavoro umano. Un percorso di libertà del lavoro, direbbe Bruno Trentin.
Floridia insiste, a ragione, sull’importanza dell’organizzazione del Pd: ha accelerato la sua involuzione.
Le liste bloccate, l’assenza del voto di preferenza: “primarie aperte per i piani alti e primarie chiuse per i piani bassi”. L’esaltazione della struttura correntizia, il partito feudalizzato. Sono i candidati segretari che fanno eleggere gli organismi dirigenti, non il contrario. Un meccanismo plebiscitario che rende le correnti un fatto organico, che non si può superare.
Questa elezione diretta doveva garantire una leadership forte: ma ciò si è rivelato una favola.
Che dire sull’oggi? L’elezione diretta del segretario non è mai stata una sede di confronto politico.
Nel partito finora non si è discusso o quasi. La prova che le primarie svalorizzano una seria partecipazione.
Vedremo se qualcosa accadrà.
Quale futuro?
Il Pd è certamente parte essenziale di una coalizione di centrosinistra, anche se dovesse rimanere, come oggi, il partito dei soli “protetti”, di coloro che vivono con una certa tranquillità economica.
Scrive Floridia:
“Quanti esprimono giudizi definitivi, quasi metafisici, sulla natura del Pd, devono considerare come questo elettorato, con questo profilo culturale e socio-economico, non può non essere considerato parte essenziale di una qualsiasi coalizione sociale che sostenga un progetto di società che si ispiri ai valori della sinistra. Certo, il Pd deve prendere atto del totale fallimento della sua idea originaria di partito catch-all: non è stato così, ed è assai dubbio che si possa tornare indietro”.
L’operazione è fallita, il Pd non può non avere una strategia di alleanze sia sociali che politiche.
Il Pd deve scegliere, non sciogliersi. Così non regge.
Floridia scrive di una sempre più probabile “separazione consensuale” nel partito, forse la auspica: tra la componente liberaldemocratica e quella socialdemocratica-ambientalista.
Domenico De Masi ha parlato di tre sinistre: quella moderata rappresentata dal Pd, quella legata al mondo del lavoro rappresentata dal M5S, quella radicale. Tesi non coincidente con quella del “partito del lavoro” o della “separazione consensuale”.
Certo, il M5S è una realtà con cui fare i conti. Non è un partito di sinistra, ma fa molte cose di sinistra e ha ormai un elettorato di sinistra.
Sento che non dobbiamo essere troppo rigidi. Un solo partito è una follia. La flessibilità che utilizza la destra è più adatta a questi tempi. Forse la forma organizzativa che meglio si adatta ai nuovi partiti e movimenti della sinistra di oggi e di domani è il federalismo della Prima Internazionale, agli antipodi del centralismo gerarchico della Seconda e della Terza. Federare, fare incontrare e dialogare esperienze diverse, costruire una coalizione sociale e politica è il compito dell’oggi.
Giorgio Pagano
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