Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Prefazione a Umili e ribelli

a cura di in data 20 Aprile 2019 – 09:28

PREFAZIONE di GIORGIO PAGANO
a UMILI E RIBELLI
Memorie di guerra in Lunigiana
di LUIGI LEONARDI
Mursia Editore – 2018

Aurelio Gallo, nato nel 1900 a Raveo, in provincia di Udine, era una figura atipica nel fascismo spezzino. Fu autista prima di un imprenditore marittimo, poi dei Fasci Femminili, quindi del Vescovo della Diocesi di Luni, Costantini. Perse l’incarico per le sue continue molestie agli adolescenti: fu bollato come “pederasta”, oggi diremmo “pedofilo”. Fece poi l’autista per la Federazione Fascista e per il locale comando delle SS. Si era iscritto al Partito Nazionale Fascista relativamente tardi (nel 1933), rimanendo all’interno del partito locale una figura assolutamente secondaria. Dopo l’8 settembre 1943, pur non avendo nessun grado e incarico ufficiale, diventò però uno dei confidenti e dei collaboratori più fidati dei nazisti, favorito sia dalla sua conoscenza del tedesco sia dalla sua offerta di disponibilità per individuare e fare arrestare i partigiani spezzini. Diventò una spia dell’OVRA, la polizia segreta fascista, e i comandi tedeschi si fidarono sempre più di lui. La sua uniforme fuori ordinanza nera e senza nessuna insegna di grado -pantaloni alla cavallerizza, giaccone, stivali, berretto- diventò presto nota alla popolazione spezzina, dato che Gallo non solo partecipava ai rastrellamenti contro i partigiani, ma conduceva anche con ferocia e sadismo gli interrogatori dei prigionieri. Dalla sua rete di delatori raccoglieva notizie, spesso inventate, per arrestare e torturare anche persone innocenti.
Nella sentenza a suo carico si fa riferimento a “torture… praticate con raffinata, medievale barbarie”: percosse con bastoni, calci di pistola e fruste appesantite dal piombo, distorsione delle dita, asportazione delle unghie, applicazione di corrente elettrica ai genitali e altre sevizie.
Della famigerata banda Gallo facevano parte Emilio Battisti, trentino, Achille Morelli, di Fabiano, il migliarinese Matteo Guerra con la madre e la sorella, Aldo Capitani, anche lui di Migliarina. E don Rinaldo Stretti, che, come Guerra e Capitani, prima era stato vittima di Gallo, per poi diventare suo complice e a sua volta aguzzino.
Se ripercorriamo la storia della Resistenza nella IV Zona Operativa, in quasi tutte le uccisioni e i rastrellamenti Gallo e la sua banda furono protagonisti: a Calice il 30 dicembre 1943; a Chiusola il 5 aprile 1944, quando fu ucciso Piero Borrotzu; a Migliarina il 19 settembre 1944 nella casa di Isolina Boeri, che fu talmente torturata da perdere la ragione (finì la sua vita nel manicomio di Volterra); a Migliarina il 1° ottobre 1944, con l’arresto dei fratelli Ruggia, uno fucilato, l’altro deportato a Mauthausen, dove morì.
E poi il grande, terribile, rastrellamento a Migliarina del 21 e 22 novembre 1944, nel quale furono arrestate oltre 350 persone. Alcuni morirono durante gli interrogatori all’ex XXI Reggimento Fanteria e nel carcere di Marassi a Genova, altri si tolsero la vita. Anche a Marassi operò la banda Gallo. Circa 250 persone furono inviate a Bolzano e da lì verso i campi di sterminio in Germania. Solo la distruzione da parte degli Alleati della linea ferroviaria del Brennero il 25 febbraio 1945 impedì la deportazione in Germania di tutti i prigionieri spezzini. Tutta l’operazione avvenne con l’appoggio dei tedeschi, ma la sua esecuzione fu lasciata in buona parte ai fascisti; anzi, i tedeschi manifestarono qualche critica al carattere troppo violento e indiscriminato del rastrellamento.
Gallo fu protagonista anche del rastrellamento di Vezzano Ligure, nel quale furono uccisi due giovani innocenti e furono arrestati, orrendamente torturati e poi fucilati i partigiani Enrico Bucchioni e Pierino Andreani. Altri arrestati furono deportati in Germania.

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La Spezia fu zona di scontro feroce in entrambe le “guerre civili” che nel Novecento si combatterono nell’Italia centrosettentrionale. Prima nella lotta tra fascisti e antifascisti negli anni Venti, che si concluse con la vittoria dello squadrismo, poi nella lotta tra fascisti e antifascisti nel periodo 1943-1945.
Claudio Pavone, in “La guerra civile”, afferma che, scorrendo i documenti resistenziali più diretti e spontanei, “sembra prevalente l’odio contro i fascisti rispetto a quello contro i tedeschi”. Sul campo, furono più spesso i tedeschi a mediare con la popolazione che non i fascisti. E i tedeschi a volte riuscirono anche a dirottare contro i fascisti la rabbia partigiana.
Nell’Introduzione al mio libro “Eppur bisogna ardir. La Spezia partigiana 1943-1945” ho scritto che “alla Spezia il carattere antifascista della guerra partigiana fu molto netto” e che questo dato “emerge con forza dalle testimonianze di tutti coloro che raccontano che cosa fu l’ex XXI Reggimento Fanteria: la caserma, occupata dalle Brigate Nere, fu trasformata in comando-carcere e in luogo di terribili torture”. Aggiungevo: “La stessa memoria spezzina della deportazione è fortemente antifascista, non solo antinazista: dall’ex XXI partivano infatti i prigionieri condannati ai campi di concentramento in Germania”.
Il carattere antifascista della guerra partigiana riemerse con nettezza anche dopo la guerra, al tempo dei processi contro i crimini fascisti, che rivelarono una vera e propria galleria degli orrori. La Corte d’Assise straordinaria della Spezia (composta da un Presidente e da quattro giudici popolari, scelti dal Presidente del Tribunale su un elenco compilato dal CLN) nel periodo che va dal giugno 1945 al maggio 1947 emise tutta una serie di sentenze, delle quali ben 21 alla pena capitale (ma tre soltanto, come vedremo, furono eseguite), mentre altre pene dello stesso tipo o a trent’anni furono emanate da Corti di altre città italiane per fatti commessi anche nel nostro territorio. I fascisti spezzini, catturati e concentrati nel campo di prigionia di Coltano (Pisa), erano stati prelevati e tradotti in carcere a Spezia, “scortati” da centinaia di antifascisti.

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Le pagine di Luigi Leonardi ben ricostruiscono queste vicende: l’arresto di Gallo e dei suoi complici, il processo, la condanna a morte. Così Renato Jacopini, il partigiano “Marcello” nominato Questore dopo la Liberazione, racconta in “Lunense” il clima di quei giorni: “Aurelio Gallo sparì… qualche giorno prima della Liberazione. Tutta la città era ansiosa di sapere che fine avesse fatto, o meglio dove era fuggito o dove si era nascosto. Il popolo, se l’avesse trovato, era pronto al linciaggio. La fantasia popolare era accesa a tal punto che tutti vedevano il Gallo in ogni luogo”. Gallo fu arrestato in Carnia la notte del 19 dicembre 1945, riuscì a scappare ma fu riacciuffato e condotto nel carcere spezzino di Villa Andreini. Gli altri componenti della banda erano già stati tutti arrestati.
Il processo iniziò il 6 maggio 1946 e terminò il 14 maggio. Fu celebrato nella palestra del complesso scolastico di via Napoli, causa l’inagibilità del Tribunale spezzino. La tensione era fortissima. Due giorni prima dell’inizio del processo il Prefetto della Spezia richiese a Roma l’invio di 200 carabinieri. I familiari delle vittime, in gran parte donne di Migliarina vestite a lutto e con al collo grandi medaglioni con le fotografie dei loro cari scomparsi, presenziarono in aula, mentre una grande folla era assiepata all’esterno. Testimoniarono contro gli imputati, tra le grida indignate del pubblico, oltre 120 torturati, che raccontarono le sevizie subite mostrando piaghe e mutilazioni, e deportati o familiari dei deportati nei campi di sterminio. Tra i testimoni ci fu don Mario Devoto, parroco di San Terenzo. Il libro “Sacerdoti cattolici nella Resistenza” documenta, pubblicando diari dell’Archivio della Curia vescovile, la vicenda dei due sacerdoti arrestati a Sarzana e deportati in Germania e dei nove sacerdoti rastrellati a Migliarina il 21 novembre 1944, e le loro inumane sofferenze vissute da prigionieri, torturati dalla banda Gallo nell’ex XXI Reggimento Fanteria e nel carcere di Marassi. Testimoniò anche lo scrittore Gino Patroni, che era stato deportato in un campo di sterminio.
Il 14 maggio la Corte Straordinaria d’Assise spezzina condannò Gallo, Battisti, Morelli, Guerra e Capitani alla pena di morte, e don Stretti a 30 anni di reclusione. Il Prefetto telegrafò a Roma per chiedere di non ritardare la sentenza della Cassazione e l’esame della domanda di grazia, onde evitare che il popolo realizzasse il suo proposito di “impadronirsi condannati assaltando carceri”. Dopo l’amnistia del giugno 1946, la cui applicazione avrebbe permesso a molti fascisti già condannati di uscire da carcere, la tensione si acuì. Il 19 settembre la Corte spezzina emanò un’altra condanna a morte, contro il brigatista nero Mario Passalacqua: la folla invase l’aula e ferì gravemente il condannato. Era un segno della diffidenza popolare per la mancata esecuzione delle sentenze capitali per la banda Gallo. Il 22 novembre la Cassazione respinse le richieste di Gallo, Battisti e Morelli, mentre rinviò Guerra e Capitani alla Corte d’Assise di Genova. Il 23 gennaio 1947 si tenne una grande manifestazione popolare in piazza Verdi. Il 26 febbraio la domanda di grazia non fu accettata. All’alba del 5 marzo, al forte Bastia di Vezzano Ligure, la sentenza fu eseguita. I corpi dei tre torturatori furono trasportati al cimitero della Spezia. La mattina del 6 maggio i parenti delle vittime si recarono al cimitero per sincerarsi dell’identità delle vittime. Per evitare gravi incidenti la bara di Gallo fu riaperta, alla presenza del Sindaco Osvaldo Prosperi, ed esposta alla vista di una folla enorme che sfilava.
“Dopo questo macabro ma simbolico rituale di riconoscimento -ha scritto lo storico Maurizio Fiorillo in “La Spezia tra guerra e dopoguerra 1940-1948”- la tensione si dissolse rapidamente. La più sentita delle ferite subite dalla popolazione della Spezia durante la guerra cominciò a rimarginarsi”.
Certamente le pagine di storia rievocate da Luigi Leonardi impressionano per la violenza dei tempi. In “La guerra civile” Claudio Pavone ha scritto che in quegli anni “l’esercizio della violenza apparve come lo sbocco di un’accumulazione di lunga data” e che questo “rese la violenza da una parte più ovvia, dall’altra più spietata; ma preparò allo stesso tempo il passaggio a una riconsiderazione dei limiti del ricorso a essa e della possibilità di un suo uso contingente per renderla nel futuro impossibile”.
Il 9 dicembre 1947 Guerra e Capitani furono condannati dalla Corte d’Assise di Genova a 30 anni, di cui 10 condonati. L’11 gennaio 1949 la Corte di Cassazione determinò una pena residua di 8 anni. Il 4 febbraio 1950 venne condonato un altro anno. Il 10 luglio 1956 la Corte d’Appello di Genova riabilitò Guerra. Il 12 luglio 1947 la Corte di Appello di Genova dichiarò estinta la condanna di don Stretti per sopraggiunta amnistia. Il sacerdote riprese la sua funzione nelle Marche e in Toscana, fino alla morte avvenuta il 4 marzo 1990. Il 2 luglio 2011 il Comune di Uzzano Castello gli dedicò un piccolo parco pubblico, intitolato “Corte don Rinaldo Stretti”.
Per ciò che riguarda Genova, furono emanate sentenze per venticinque pene capitali, di cui cinque eseguite. Solo uno su dieci dei condannati delle Corti d’Assise speciale e straordinaria scontò davvero la pena. E anche in questo caso, per di più, si trattò quasi sempre di pene di entità minori.
In un bilancio della fase giudiziaria straordinaria di quegli anni, si può dire che giustizia non fu fatta.
In quel generale colpo di spugna la condanna di Gallo, Battisti e Morelli fu un’eccezione. Il motivo emerge con chiarezza dalle pagine di questo libro: la “sovranità” del popolo spezzino si impose e prevalse.

Giorgio Pagano
autore di “Eppur bisogna ardir. La Spezia partigiana 1943-1945” e di “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana”.

Su Aurelio Gallo e la sua banda e sul processo si vedano:
Marcello Jacopini, “Lunense”, Tipografia Moderna, 1975
Associazione Partigiani Cristiani F.I.V.L, “Sacerdoti cattolici nella Resistenza”, Zappa, 1979
Antonio Bianchi, “La guerra fredda in una regione italiana. La Spezia e Lunigiana 1945-1953”, Franco Angeli, 1991
AAVV, “Migliarina ricorda, testimonianze sulla Resistenza e deportazione ’43-’45”, Daniela Piazza Editore, 1996
Laura Lotti, “Attilio e gli altri”, Lunaria, 1996
Maurizio Fiorillo, “La Spezia tra guerra e dopoguerra 1940-1948”, tesi di laurea discussa presso l’Università di Pisa, relatore Gabriele Ranzato, a. a. 1998-99
Antonio Bianchi, “La Spezia e Lunigiana – Società e politica dal 1861 al 1945”, Franco Angeli, 1999
Maurizio Fiorillo, “Uomini alla macchia, partigiani, sbandati, renitenti, banditi e popolazione nella Lunigiana storica 1943-1945”, tesi di dottorato discussa presso l’Università di Pisa, relatore Gabriele Ranzato, a. a. 2005
Andrea Casazza, “La beffa dei vinti”, Il melangolo, 2010
Vincenzo Marangone, Tarcisio Trani, “Polizia e Cittadini nella Resistenza, I martiri dimenticati”, Luna Editore, 2014

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