“Pastasciutta antifascista”, 25 Luglio 2022 – Calice al Cornoviglio. Intervento di Giorgio Pagano
“Pastasciutta antifascista“
25 Luglio 2022
Calice al Cornoviglio
Intervento di Giorgio Pagano
Co-presidente del Comitato provinciale Unitario della Resistenza
Il 1943 si apre con un avvenimento fondamentale: la sconfitta dell’esercito hitleriano a Stalingrado. D’ora in poi comincia la ritirata delle armate tedesche, che si concluderà a Berlino nel 1945.
Ritornano in Italia i reduci dell’ARMIR (Armata italiana in Russia), poche migliaia di superstiti dalla terribile rotta del Don, diffondendo nel Paese l’odio per gli “alleati” tedeschi, che nella ritirata avevano negato agli italiani ogni aiuto.
In Italia crescono i razionamenti alimentari e la fame. I salari si riducono. I bombardamenti anglo-americani sono massicci. Tutto ciò fa accentuare il risveglio delle energie popolari soffocate da lunghi anni di dittatura. Il regime fascista riceve il primo durissimo colpo con gli scioperi di Torino e Milano del marzo 1943, frutto della spontaneità operaia e della capacità del Partito comunista di intercettarla. Il 2 aprile il governo annuncia la concessione di un aumento di salari e stipendi.
Il 19 luglio gli anglo-americani sbarcano in Sicilia.
L’unità antifascista è però ancora da costruirsi. Si pone già allora il problema politico di fondo della difficile saldatura tra l’Italia del Nord e le forze politiche che sono a Roma.
Il movimento popolare “dal basso” viene così sopravanzato dall’iniziativa “dall’alto” dei gruppi dirigenti -gli industriali soprattutto- che ripiegano sulla monarchia, la quale aveva tutto l’interesse a separarsi dal fascismo prima della sua caduta.
Si giunge così al “colpo di Stato” del 25 luglio, praticato nella riunione del Gran Consiglio del fascismo. Il re sostituisce Mussolini, trasportato a Ponza, con il maresciallo Pietro Badoglio.
La sera del 25 luglio, alle 22,45, il popolo italiano apprende la notizia dalla radio, accompagnata dalla frase che soffoca tante speranze: “La guerra continua”.
Grandi manifestazioni popolari salutarono la caduta del regime. Le classi dirigenti, però, volevano sostituire alla dittatura fascista la dittatura militare. Perciò le manifestazioni non piacquero. Il 27 luglio il generale Mario Roatta, che era stato capo del SIM sotto il fascismo, emanò la famigerata circolare che porta il suo nome, che ordinava di sparare contro la folla, “mirando non in aria”.
Il 25 luglio anche a Campegine di Reggio Emilia l’entusiasmo fu grande. Aldo Cervi non si illuse. Anche se, travolto dalla contentezza generale, propose proprio lui di fare la grande festa che ancora tutti ricordano. La festa ebbe luogo il 27 luglio. I Cervi arrivarono in paese con alcuni quintali di pasta al burro e formaggio. Con loro c’era anche un futuro protagonista della nostra Resistenza: Dante Castellucci “Facio”, il nostro più grande “eroe popolare”.
Il giorno dopo -Aldo aveva ragione a non illudersi- i bersaglieri del regio esercito spararono contro gli operai delle Officine Reggiane che stavano per uscire in massa dalle fabbriche per chiedere la fine della guerra. Il bilancio della sparatoria, durata soltanto pochi secondi, fu di nove morti, tra cui una donna, e ventinove feriti.
Questa sera siamo qui, contemporaneamente a migliaia di persone in tutta Italia, per ricordare. Tanti piatti di pastasciutta serviti, tante persone impegnate per una serata diversa, sociale e solidale. Cenare insieme in una speciale circostanza vuol dire vivere collettivamente appartenenza, memoria e speranza.
Gli organizzatori mi hanno chiesto, in particolare, di ricordare il 1943 e il 25 luglio a Spezia.
Anche a Spezia nel 1943 monta la collera. I bombardamenti dell’11, del 14 e del 19 aprile distruggono quasi completamente la città. Scoppiano, ai primi di luglio, le prime spontanee esplosioni di opposizione: scritte murali, esclamazioni antifasciste dei singoli, brevi fermate del lavoro nelle fabbriche principali, assemblee e discorsi alle mense aziendali. Si decide di costituire un comitato sindacale unitario, si organizzano contatti tra le forze antifasciste.
Il 26 luglio si tengono assemblee e iniziative nelle fabbriche.
Leggiamo la testimonianza di Dario Bertone, Remo Garbati, Francesco Giannetti, Otello Giovannelli, Ioriche Natali, Artemio Spinosa e Cesare Storietti, operai dell’OTO Melara:
“Il giorno 26, rientrati in fabbrica, gli operai presero immediatamente l’iniziativa, dirigendo l’azione di rivolta contro tutto ciò che rappresentava il fascismo, e tanta fu la spinta liberatrice che non solo venne distrutto tutto quanto poteva ricordare il peggiore fascismo, ma sentirono anche la necessità di indicare nuovi dirigenti di fabbrica. E’ per questo che scelsero il tecnico Michele Castagnaro indicandolo come degno dirigente per la sua preparazione tecnica, per la sua dirittura morale e per la sua limpida coscienza di antifascista. Lo portarono in trionfo fino alla direzione dello stabilimento invitandolo ad assumere il ruolo di dirigente di tipo nuovo, antifascista e democratico come la nuova situazione richiedeva. Castagnaro, pur partecipando alla manifestazione di gioia e di lotta degli operai che finalmente vedevano crollare il fascismo sotto una valanga di disprezzo popolare senza che nessuno osasse mostrarsi disposto ad assumerne una qualsiasi difesa, invitò gli operai a non proporlo, in quanto non si sentiva di poter assumere tale incarico perché lontano dalla sua mentalità e temperamento, schivo e riservato come egli era”.
Solo pochi giorni dopo si sarebbe instaurato in fabbrica un sistema autoritario di tipo militare, con la direzione assunta da ufficiali dell’esercito.
Un fatto rilevante avvenne alla Termomeccanica. Il 28 luglio ci furono scontri tra fascisti e antifascisti, il 29 gli operai scioperarono per chiedere la liberazione di cinque compagni arrestati. Leggiamo la Memoria, del 1974, dell’operaio Dante Rotelli, depositata all’Istituto Storico della Resistenza:
“Il fatto accadde il 27 luglio 1943 [in realtà il 28], e fu originato da contrasti avvenuti fra lavoratori antifascisti e filofascisti. Questi ultimi durante il regime si erano compromessi con azioni poco pulite. A sedare tali contrasti intervennero i militari di stanza nella fabbrica con alla testa il loro comandante. L’azione fu rapida: piazzarono quattro mitragliatrici alle porte dei reparti torneria e grandi macchine per intimidire i lavoratori, non arrestarono i fascisti, ma anzi prelevarono i cinque lavoratori antifascisti Comini, Cibei, Nardini, Giuntini e Frati. Gli arrestati furono associati alle carceri di Villa Andreini. L’organizzazione di fabbrica si riunì immediatamente e organizzò due giorni dopo [in realtà il giorno dopo] uno sciopero di protesta di tutti i lavoratori della fabbrica, con inizio alle ore 10 del mattino”.
Le date precise risultano da un rapporto dei carabinieri del 28 luglio e dal mattinale della Questura del 29 luglio.
Gli operai ripresero il lavoro solo alle tredici, dopo aver ottenuto l’impegno della direzione e dei militari al rilascio degli arrestati, che avvenne due settimane dopo.
Ma veniamo alle manifestazioni popolari nelle piazze.
Alle 18 del 26 si svolge una manifestazione a Sarzana, organizzata dai comunisti, con tre militari in divisa e la bandiera tricolore in testa al corteo. I carabinieri non sparano.
Il 27 e il 28 sera si manifesta a Pitelli (2 mila persone) e in molti altri borghi e quartieri.
I comunisti organizzano la manifestazione a Spezia il 29.
Leggiamo la testimonianza di Mario Pistelli, operaio del cantiere del Muggiano:
“La mattina del 29 luglio i giardini pubblici erano gremiti di operai e di cittadini che avevano raccolto l’appello per la manifestazione. Infatti da tutte le fabbriche cittadine, nessuna esclusa, la partecipazione fu quasi totale, pochi furono gli assenteisti e finalmente con grande entusiasmo ci ritrovammo gli uni vicini agli altri, operai, impiegati, studenti e cittadini, donne e uomini di ogni età, per esternare la nostra gioia”.
Si formò un corteo, alla testa “i giovani con bandiere tricolori con stemma sabaudo, all’uopo acquistate, e dietro le bandiere una fiumana di cittadini”.
Dai giardini per corso Cavour fino alla piazza dei Martiri (l’attuale piazza Beverini) sfilò una folla impressionante. Nella piazza aveva sede il PNF: il corteo si trovò di fronte uno schieramento di poliziotti e marinai, e avvenne la prima sparatoria, nella quale perse la vita il diciottenne Rino Cerretti, giovane operaio di Valdellora. Molti i feriti, tra cui, non gravemente, lo stesso Pistelli.
Il corteo, sbandato, si ricostituì poco lontano, in piazza del Mercato, e proseguì sempre lungo corso Cavour fino al viale Regina Margherita (l’attuale viale Ferrari), svoltando a sinistra fino all’incrocio con viale Savoia (ora viale Amendola). Qui spararono i fascisti della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, incorporata da Badoglio nell’esercito. Racconta Pistelli:
“La giovane operaia quindicenne Nicolina Fratoni, colpita da un proiettile alla regione occipitale, si accasciava cadavere tra le mie braccia e quelle di Marcello Gattai che le eravamo a fianco, stringendo sempre con amore sul petto quella bandiera tricolore che con tanto orgoglio aveva portato durante il corteo”.
Anche a Spezia veniva applicata la circolare Roatta.
In agosto si rafforzò l’organizzazione dei partiti antifascisti e dei sindacati. Ma nel frattempo continuavano ad affluire in Italia sia i tedeschi che gli angloamericani, mentre il re e Badoglio agivano tra farsa e tragedia. Arrivò il baratro dell’8 settembre, l’armistizio. Le forze antifasciste erano ancora impreparate, ma pronte, anche a Spezia, a cominciare la lunga battaglia per la libertà.
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