“Nel ’61 alla Spezia il primo incontro in Italia tra studenti e operai. Fu un Sessantotto in nuce” – Intervista a Giorgio Pagano
Città della Spezia, 24 marzo 2022
Intervista a Giorgio Pagano
Venerdì 25 marzo, alle ore 15, e sabato 26, alle ore 9, si terrà in Sala Dante un importante convegno di studi sul tema “Il prisma spezzino. Il Sessantotto dalla dimensione locale a quella globale”, organizzato dall’Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea e dall’Associazione Culturale Mediterraneo.
Il convegno si svolge in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale – Ambito territoriale della Spezia. Il Comune della Spezia e l’Istituto nazionale Ferruccio Parri hanno dato il patrocinio.
I relatori nelle quattro sessioni delle due giornate – storici, filosofi e studiosi provenienti da tutta Italia – saranno quattordici: Giorgio Pagano, Marcello Flores, Luisa Passerini, Marica Tolomelli, Chiara Dogliotti, Giovanni Gozzini, Alessandro Santagata, Alfonso Maurizio Iacono, Pasquale Serra, Massimo Cappitti, Luca Basile, Marcello Montanari, Paolo Flores d’Arcais, Guido Viale
Il convegno è scaturito dalle riflessioni di alcuni storici in occasione delle presentazioni del libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, secondo cui la scelta della microstoria per un fenomeno globale come il Sessantotto ha consentito, dal prisma interessantissimo del caso spezzino, di comprendere molto della storia nazionale e internazionale di quegli anni. Ne parliamo con Giorgio Pagano, che è tra gli organizzatori e i relatori del convegno.
Cosa fu il Sessantotto a Spezia e perché è un prisma per capire la realtà nazionale e internazionale?
Il Sessantotto fu anche da noi rivolta etica, antiautoritaria e per una scuola e una società più giuste. Fu una grande spinta per quel nuovo umanesimo che stiamo ancora cercando. Un movimento complesso, che aveva alle origini una miscela di sentimenti e di politica, un intreccio, all’insegna della fratellanza, tra l’affermarsi di una volontà di cambiare la propria vita e lo sviluppo di un’azione collettiva, comunitaria. Il collettivo era per esistere come persona nuova. I protagonisti furono gli studenti – prima gli universitari, poi i medi – e gli operai. Gli studenti delle nostre scuole superiori e gli operai delle nostre fabbriche furono protagonisti a livello nazionale. Già negli anni Sessanta, quelli in cui il Sessantotto maturò. Nel 1961 si tenne a Spezia il primo incontro in Italia tra operai e studenti. Era un Sessantotto in nuce.
Come si spiega l’esplosione della rivolta?
La crisi della scuola e la crisi della fabbrica portarono alla rivolta degli studenti e degli operai. La scuola era un residuo archeologico di età trascorse. La fabbrica era il luogo dello sfruttamento dei lavoratori: in termini salariali, di condizioni del lavoro e dell’ambiente, di mancanza di democrazia. Era sempre più evidente lo smottamento graduale ma profondo delle grandi strutture della vita collettiva. La situazione spezzina era davvero emblematica. E poi contò tantissimo la costellazione controculturale di massa degli anni Sessanta che fu in primo luogo giovanile, per il peso determinante della musica. Ma che coinvolse anche sezioni di pubblico generazionalmente diverse e più ampie quando si irradiò dalla musica ad altre forme espressive, come il cinema, l’arte visiva, la radio. Anche un pubblico più adulto fu coinvolto dalla controcultura. A Spezia la creatività culturale fu impressionante: complessi musicali, riviste, gruppi teatrali, cineforum, gallerie d’arte… Furono anni di grande sprovincializzazione e cambiamento.
“Il Giorno”, uno dei quotidiani allora più importanti, scrisse un articolo diventato famoso sulla vivacità di Spezia…
Ecco quanto scrisse Giovanni Cattanei, giornalista del “Giorno”, nel 1968:
La Spezia, città di 130 mila abitanti e di risorse economiche tutt’altro che fiorenti, è tra le piccole città italiane, senza dubbio tra quelle liguri, una delle più vivaci, ricca di fermenti ideologici e culturali giovanili, viva di un’ansia di rinnovamento che coinvolge, su diversi fronti, le ultime leve. Sotto l’apparente quiete di una città di provincia tranquilla e casalinga, morde lo spirito demistificante di una gioventù in cerca di verità.
Come si guardava allora al mondo? Anche la coscienza dei giovani spezzini era “planetaria”?
Anche a Spezia mai si parlò così diffusamente del mondo come negli anni Sessanta e nel Sessantotto. Anche a Spezia ci furono una generazione del Vietnam e una Beat generation. La guerra del Vietnam, iniziata nel 1964, infranse il mito americano, già in crisi dopo l’aggressione a Cuba – 1961 – e l’assassinio di Kennedy – 1963. Inoltre era in atto la grave crisi del “socialismo reale”, che esploderà soprattutto con l’invasione della Cecoslovacchia, nell’agosto 1968. I giovani cercavano una “terza via”, alternativa ai due grandi “sistemi”, considerati omogenei. E poi fu molto importante la sensibilità terzomondista, da parte dei cattolici, ma non solo.
C’è qualche personalità del Sessantotto spezzino particolarmente emblematica?
Furono molte, scegliere è davvero difficile. Potrei citare don Sandro Lagomarsini, “il nostro don Milani”. La Chiesa lo esiliò a Càssego, ma la sua obbedienza fu esemplare. Soffrì, ma concepì la sua obbedienza anche come un modo per contrastare l’inadeguatezza della Chiesa. Càssego, con il suo doposcuola, fu trasformato in un’occasione preziosa. E poi Enzo Ungari, genio del cinema, simbolo del Sessantotto libertario. Nei suoi testi sul cinema di quegli anni c’è la creatività, la spontaneità, la vita. Leggendoli si coglie tutto lo spirito del Maggio francese.
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