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“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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La strage di Piazza Fontana. Bagnone 20 maggio 2022, conferenza di Giorgio Pagano

a cura di in data 21 Giugno 2022 – 21:45

La strage di Piazza Fontana
Bagnone 20 maggio 2022
conferenza di Giorgio Pagano

Ho studiato la strage di piazza Fontana e la strategia della tensione nel libro in due volumi “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” (2019 e 2021).
Tra i numerosi testi consultati i più preziosi sono stati in generale “L’Italia nel Novecento” dello storico Miguel Gotor e in particolare “La maledizione di piazza Fontana” (2019) di Guido Salvini, il giudice che ha condotto l’istruttoria che ha portato all’ultimo processo sulla strage, autore dopo l’archiviazione -2005- di una lunga e puntigliosa inchiesta privata che nel libro è raccontata e resa pubblica per la prima volta.
Ci sono i nomi e le storie dei terroristi neri sfuggiti alla giustizia.
Il libro di Salvini è un documentato atto d’accusa contro una parte della magistratura (le Procure di Milano e di Venezia), le sue responsabilità e inadempienze. Fu una stupida “guerra civile” tra magistrati, dichiarata da una parte sola, contro Salvini.

Cinquantatré anni, sette processi, alla fine mai le parole “dichiara colpevole” pronunciate in aula in una sentenza definitiva.
La verità giudiziaria su questa vicenda in parte esiste già, anche se nascosta all’interno delle sentenze[1] (anche le sentenze di assoluzione hanno riconosciuto, al netto delle attenuanti e delle prescrizioni, la paternità politica della strage e le responsabilità personali di gran parte degli imputati). Nuovi elementi sono arrivati dalle indagini sulla strage di piazza della Loggia (Brescia, 1974), svolte in pratica sul medesimo ambiente.  “I pulcini del 1969 fecero da chiocce a quelli del 1974”, dichiarò Gianadelio Maletti, generale del Sid, iscritto alla P2, dal suo rifugio sudafricano.
La verità storica è quasi tutta leggibile[2]. Ordine nuovo, tra il Veneto e Milano, organizzò gli attentati (anche quelli dei mesi precedenti) per dare la colpa alla sinistra e far prendere il potere ai militari, come in Grecia nel 1967.
I militanti operativi erano una trentina.
Ordine Nuovo aveva l’appoggio del Sid. I personaggi chiave sono Guido Giannettini, Maletti e il capitano Antonio Labruna. Che sanno e lavorano contro le indagini. Un ordinovista padovano, Marco Pozzan, nel 1973 venne portato in Spagna (arrestato, aveva cominciato a parlare).
Ci fu, inoltre, il coinvolgimento dei servizi segreti americani.

Milano, 12 dicembre 1969, pomeriggio, Banca nazionale dell’agricoltura. La strage provocò diciassette morti.
A cui aggiungere Giuseppe “Pino” Pinelli e Saverio Saltarelli, morto un anno dopo, in una manifestazione di anarchici e comunisti internazionalisti: un candelotto lacrimogeno lo colpì al cuore.
Altri quattro ordigni scoppiarono nello stesso giorno: tre a Roma, uno a Milano.

Nel 1969 c’erano già stati altri attentati.
15 aprile: Padova, studio di Opocher.
25 aprile: Milano, Stazione e Fiera.
12 maggio: palazzi di giustizia di Roma, Milano e Torino.
24 luglio: Tribunale di Milano.
8-9 agosto: dieci bombe nei treni.
Si seguì sempre la pista anarchica, senza alcun risultato.
Il commissario Pasquale Juliano indagava sugli attentati precedenti la strage di piazza Fontana e stava facendo venire alla luce i progetti eversivi della cellula ordinovista padovana, ma fu tradito da un informatore e venne trasferito. Se la sua indagine fosse arrivata alla fine quasi certamente la strage sarebbe stata impedita.
Nella notte del 12 dicembre morì Giuseppe “Pino” Pinelli.
Il 16 dicembre fu arrestato Pietro Valpreda, assolto definitivamente nel 1985.

La svolta arrivò nell’aprile 1971: il magistrato trevigiano Giancarlo Stiz spiccò un mandato di cattura nei confronti degli ordinovisti Giovanni Ventura e Franco Freda.
I due furono indiziati per la strage nel marzo 1972.
Le carte passarono da Treviso a Milano.
Poi, nel 1972 e nel 1974, a Catanzaro: “per motivi di ordine pubblico”.
La prima sentenza è del 1979: ergastolo per Freda, Ventura e Giannettini.
Nel 1981, in appello, ci fu l’assoluzione per insufficienza di prove.
Così nel 1987 in Cassazione.
Negli anni Novanta Salvini entra in scena come giudice istruttore.
Emergono altri personaggi: Delfo Zorzi, autore materiale della strage, Carlo Digilio, Carlo Maria Maggi (che sarà condannato per la strage di piazza della Loggia), Giancarlo Rognoni.
Protagonisti sono le cellule di Ordine Nuovo e i servizi segreti italiani e statunitensi (che esercitano il “controllo senza repressione”: senza informare le autorità italiane).
Nel 2001 la sentenza: ergastolo per Zorzi, Maggi e Rognoni. Prescrizione per Digilio. Freda e Ventura non più condannabili perché già assolti per lo stesso reato.
Nel 2004, in appello, la sentenza di assoluzione. Nel frattempo il silenzioso abbandono delle indagini (l’attacco a Salvini, subito iniziato, proseguì). Le assoluzioni furono confermate nel 2005, in Cassazione.

Settembre 2008: Salvini ricevette la lettera di un ex ordinovista padovano, Gianni Casalini. Il primo pentito. Rivela il progetto di attentato il 2 giugno a Padova, da attribuire alla sinistra antimilitarista. Confessa di aver partecipato agli attentati dell’8-9 agosto. Poi si è ammalato: ma intuisce quel che è successo in sua assenza. Spiega che il Sid sapeva tutto, molto più di quanto si fosse immaginato. Fa nuovi nomi: Ivano Toniolo e Ivan Biondo.
Salvini continua ad essere bloccato dalla Procura di Milano. Ma non smette di ricostruire la storia della vicenda.
Tutto cominciò in una riunione degli ordinovisti il 18 aprile 1969 a Padova, a casa di Ivano Toniolo. La presenza di Pino Rauti è un problema storico insoluto. Ma fu certamente l’ispiratore. Alla riunione c’era un uomo del Sid. Forse Giannettini, anche lui fatto fuggire all’estero.
Massimiliano Fachini confessò a Labruna (la relazione restò segreta, occultata nel suo archivio privato) che Freda aveva ordinato i 50 orologi timer usati negli attentati.
Maletti confessò che l’esplosivo proveniva da un deposito dell’esercito americano. Il rapporto di Ordine nuovo era anche con l’esercito americano.

Lo Stato sapeva. Nell’autobiografia “Politica a memoria d’uomo”, uscita postuma nel 2002, Paolo Emilio Taviani, più volte Ministro della Difesa e dell’Interno, scrive:
La responsabilità della strage di Milano è interamente dell’estrema destra e in particolare di Ordine Nuovo: uomini tecnicamente seri, collegati con settori deviati dei servizi segreti[3].
L’esplosivo, prosegue Taviani, fu fornito da agenti dei Servizi americani appartenenti non già alla Cia ma alle strutture di sicurezza dell’esercito.
Nel 2000, di fronte alla commissione Stragi, aveva dichiarato che la bomba avrebbe dovuto scoppiare a banca chiusa, come fu per le altre bombe del 12 dicembre. Perché non poteva credere che un colonnello avesse potuto dare l’ordine di uccidere tanti italiani.
Questo il commento di Salvini:
Il racconto di Emilio Taviani, che purtroppo non è mai entrato negli atti del processo di piazza Fontana. Rivela di colpo e dall’alto l’ampiezza dell’operazione del 12 dicembre 1969: i livelli di vertice degli apparati istituzionali politici e militari erano consapevoli di quanto era in preparazione a Milano e avevano tentato di fermare un meccanismo che stava fuoriuscendo dalla ‘quantità’ di terrore accettabile, un attentato previsto come dimostrativo che si stava trasformando in una strage.
La strategia era in qualche modo sfuggita di mano ma lo Stato ‘sapeva’ e, almeno sino a un certo punto, anche ‘voleva’.[4]
Il generale Maletti si disse d’accordo con Taviani: la bomba doveva esplodere a banca chiusa, quei morti non ci dovevano essere. Parlò di una regia internazionale. Il piano era molto preciso: destabilizzare il Paese attraverso una serie di attentati dinamitardi attribuibili ai “rossi”; provocare una dura reazione delle forze armate e dei partiti conservatori, evitando che l’asse politico si spostasse troppo a sinistra.
Gli attentati dovevano proseguire, secondo Maletti, ma poi gli esecutori violarono le direttive e il piano dovette essere annullato. I Presidenti Richard Nixon e Giuseppe Saragat sapevano tutto, così Giulio Andreotti.

Chi c’era in piazza Fontana?
Maletti dice: due in banca, due di guardia.
Fa i nomi di Zorzi e di Toniolo.

Salvini va avanti nella ricostruzione della vicenda.
Nel maggio 1969 si unirono il gruppo padovano e il gruppo di Mestre (Zorzi).
Il 3 ottobre 1969 ci furono gli attentati a Trieste e Gorizia.
Un ordinovista mestrino, Giampietro Mariga, secondo Carlo Digilio fu l’autista della strage di piazza Fontana.
A Milano c’era anche Ventura, con un ruolo di supporto al commando.
Non poteva mancare un video: se il mandante vuole assicurarsi l’omertà degli esecutori, li filma. Il video è nell’archivio segreto dell’investigatore fascista Tom Ponzi. Lo disse Labruna. Il video fu probabilmente commissionato dai servizi segreti.
Emerge anche il ruolo della cellula veronese: “il paracadutista”, veronese, era anche lui in piazza Fontana.
Zorzi, Toniolo, Mariga, “il paracadutista”: tutti ignorati dalla Procura di Milano, nonostante le segnalazioni di Salvini, mentre quella di Venezia fantasticava su Gladio. Un vero depistaggio.
Solo Giovanni Pellegrino, Presidente della Commissione parlamentare stragi, si schierò con Salvini.
Ma la Procura di Milano archiviò tutto nel 2012.

“Gladio” operò dal 1951 fino alla prima parte degli anni Sessanta. Nacque da un accordo bilaterale tra i servizi segreti americani e quelli italiani: fu soltanto una delle strutture segrete della lotta anticomunista.
Non si può tuttavia ancora parlare, in questo caso, di strategia della tensione: “Gladio” non ebbe un ruolo operativo sul campo, ma solo informativo. Anche i partigiani comunisti si riorganizzarono in una struttura interna al PCI, la cosiddetta “Gladio rossa”, mai operativa: aveva compiti di protezione dei dirigenti del partito in caso di colpo di Stato. Secondo Giovanni Pellegrino si deve alla saggezza ed all’intelligenza dei politici di allora, di una parte e dell’altra, se la situazione non precipitò. […] ed il grande merito dei gruppi dirigenti della DC e del PCI fu proprio quello di essere riusciti in qualche modo ad imbrigliare all’interno di organizzazioni forze altrimenti centrifughe[5].

La strategia della tensione ebbe inizio con il “Piano Solo” (1964) la minaccia di colpo di Stato per bloccare il processo riformista del centrosinistra, organizzato da servizi segreti infedeli e da militari con parte del ceto politico democristiano.
Va inoltre segnalato, nel periodo precedente gli attentati e le stragi, il Convegno sulla “Guerra rivoluzionaria” organizzato nel maggio 1965 dall’Istituto Luigi Pollio per gli Affari Strategici – creato dallo Stato Maggiore della Difesa – e finanziato indirettamente dai servizi segreti militari. I promotori, nel nome della lotta al comunismo, si proposero di far nascere i Nuclei di difesa dello Stato, strutture simili a “Gladio”.
Rauti e Giannettini, significativamente, furono tra i relatori.

Un punto chiave è che i greci fecero da maestri:
Nell’aprile 1968 un gruppo di fascisti va ad Atene. A guidarli e Pino Rauti […]. Nella capitale greca il gruppo incontra un alto funzionario, Georghis Ioannidis, che poi diventerà Capo della polizia politica dei colonnelli. In quell’incontro, Ioannidis spiega a Rauti ed agli altri con quale metodo l’esercito ha preso il potere, vale a dire avviando una campagna terroristica a suon di bombe, tutte regolarmente “firmate” da gruppi di sinistra. Finche, di fronte al pericolo di una rivoluzione comunista, e con l’appoggio degli americani, le Forze Armate non sono insorte[6].
Il 6 dicembre 1969 il giornale inglese “The Guardian”, ripreso da “The Observer”, aveva pubblicato un articolo dal titolo eloquente: “Il Premier greco progetta un colpo di Stato in Italia”. Questa affermazione si fondava su un rapporto segreto redatto da un informatore greco per il Premier del suo Paese, il quale si era servito di contatti con l’italiano “signor P”. Costui, secondo il giornalista autore dell’articolo, che però non riuscì a fornire prove, era Pino Rauti.
Si può concordare con Miguel Gotor:
I servizi inglesi avrebbero voluto ostacolare la realizzazione di quel disegno destabilizzatore (facendolo trapelare attraverso le righe del “The Observer”), in polemica con un sedicente “partito americano”, guidato da Saragat, che, invece, l’avrebbe ispirato allo scopo di bloccare l’apertura a sinistra verso i comunisti.
Secondo questa versione, che mantiene a tutt’oggi un carattere indiziario, la strategia di quei mesi sarebbe stata propiziata da Saragat e da Rumor e non prevedeva la realizzazione di stragi con morti, ma una serie di piccoli attentati, che pure avvennero, con lo scopo di fare salire la temperatura politica e favorire lo scioglimento anticipato delle Camere, nuove elezioni ed una forma di governo con l’appoggio della destra. Ma la potenza della reazione popolare colpì a tal punto Rumor, spiazzato e sorpreso dalla devastazione di Milano, da indurlo a ritirare all’ultimo momento il suo appoggio al piano, evidentemente sfuggito di mano ai suoi ispiratori[7].
Non siamo in possesso di prove conclusive, ma di certo l’alta burocrazia dello Stato in quei mesi si mosse in modo compatto per nascondere la pista nera ed e difficile credere che lo abbia fatto senza avere ricevuto un impulso governativo.
Maletti sostenne tesi analoghe facendo, come abbiamo visto, i nomi di Saragat e Andreotti. Nel suo memoriale dal carcere anche Moro fece il nome di Andreotti.

Il “patto del silenzio” sulla pista nera stabilito dai vertici della DC fu rotto proprio alla Spezia il 5 novembre 1972, in una manifestazione elettorale al Teatro Civico per le elezioni comunali, dal Segretario democristiano Forlani:
E stato operato il tentativo più pericoloso che la destra reazionaria abbia tentato e portato avanti dalla Liberazione ad oggi. Questo tentativo disgregante, che è stato portato avanti con una trama che aveva radici organizzative e finanziarie consistenti, che ha trovato delle solidarietà probabilmente non soltanto di ordine interno, ma anche di ordine internazionale, questo tentativo non è finito. Noi sappiamo in modo documentato che questo tentativo e ancora in corso[8].

Dopo la strage di piazza Fontana il terrorismo nero proseguì. E cominciò quello rosso. Ma è un’altra storia, che magari racconteremo un’altra volta.
Ancora una considerazione: la subalternità politica della sinistra nella storia d’Italia non si spiega tutta con l’azione di forze oscure, di azioni illegali, di complotti internazionali, ecc. La sconfitta si spiega non solo con il ruolo di altri attori politici, relegati nel “sommerso della Repubblica”[9], ma anche e soprattutto con l’insufficienza della cultura politica della sinistra[10], che è alla radice dell’assenza di un soggetto più “riformista” e insieme più “radicale”: “socialista di sinistra”, libertario, non classista, nonviolento[11]. Non servono i miti autoconsolatori di sconfitte negate ma la capacità – anche dell’interpretazione storiografica – di collocarsi dentro la trama di eventi storici sempre indecisi, ancorché apparentemente definiti; e di fotografare, anche in negativo, quello che veramente è accaduto confrontandolo con le ulteriori possibilità che non si sono verificate. Per nuove congetture fondate, mai dando per scontato o per fatale l’accaduto.
Resta il dato amaro che i misteri nella storia d’Italia sono ancora troppi. Un’ultima considerazione possiamo certamente farla: furono implicati uomini dello Stato, ma su questo non è mai stata fatta giustizia. Scrisse nel 1980 Norberto Bobbio:
Purtroppo, dalla strage di piazza Fontana in poi, l’atmosfera della nostra vita pubblica e stata intossicata da sospetti di connivenza del potere invisibile dello Stato con il potere invisibile dell’antistato. Nonostante interminabili e non terminati processi le tenebre non sono state diradate. Noi, popolo sovrano secondo la Costituzione, non sappiamo ancora nulla, assolutamente nulla di quello che è veramente successo. Ciò vuol dire che il potere e opaco […] ma l’opacità del potere e la negazione della democrazia[12].

[1] Guido Salvini, con Andrea Sceresini, “La maledizione di piazza Fontana”, Chiarelettere, Milano, 2019, p. 16.
[2] Ibidem.
[3] Paolo Emilio Taviani, “Politica a memoria d’uomo”, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 381.
[4] Guido Salvini, con Andrea Sceresini, “La maledizione di piazza Fontana”, cit., pp. 229-230.
[5] Giovani Fasanella, Claudio Sestieri, con Giovanni Pellegrino, “Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro”, Einaudi, Torino, 2010, p. 22.
[6] Pierluigi Sullo, “Tramare in nero negli anni Sessanta. Le radici internazionali dell’eversione neofascista”, inserto de “il manifesto” del settembre 1988 “Messico. Il salto in alto della repressione”, ripubblicato come supplemento de “il manifesto” nel settembre 2018.
[7] Miguel Gotor, “L’Italia nel Novecento”, Einaudi, Torino, 2019, pp. 243-244.
[8] “Le denunce di Forlani sulle trame nere”, “Il Giorno”, 7 novembre 1972.
[9] Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia, Vol. II, Edizioni Cinque Terre, La Spezia, 2021, p. 299
[10] Ibidem.
[11] Ivi, p. 301.
[12] L’intervento di Norberto Bobbio “Il potere invisibile”, datato 23 novembre 1980, è ora in Norberto Bobbio, “Le ideologie e il potere in crisi”, Le Monnier, Firenze, 1981, p. 187 e segg.

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