La sfida della creatività per un’impresa comune
I dieci anni di Città della Spezia (prezioso strumento di informazione: grazie!) ci invitano a riflettere su un decennio di storia della città. Com’era Spezia nel 2000? All’inizio degli anni ’90 aveva conosciuto una crisi profonda, strutturale. La “deindustrializzazione” l’aveva colpita come poche città italiane, provocando disoccupazione e calo demografico e minando il senso di appartenenza degli spezzini. La crisi trovò nella questione ambientale un elemento di aggravamento: la discarica di Pitelli svelò uno scenario di dissipazione del territorio come lascito dell’industrialismo. Ma nella seconda metà degli anni ’90 un evento inatteso concorse “simbolicamente” al riscatto della città: la nascita del Museo Lia. Da lì si avviò la rinascita: la riqualificazione del centro storico, prima invaso dall’asfalto e dalle macchine; la realizzazione degli altri musei e dell’Università; la rigenerazione ambientale, iniziata con un Piano del Traffico che migliorò di molto la qualità dell’aria. In campo economico la città, dapprima stordita dalla crisi, cominciò a cercare con caparbietà la strada per un nuovo sviluppo: nel 2000 il peggio era passato, e i cardini di una ripresa si potevano, finalmente, individuare.
Fu proprio nel 2000 che la città decise di dotarsi di un Piano strategico: una visione a medio-lungo termine condivisa da istituzioni, attori sociali e cittadini, capace di delineare un “cambiamento di pelle” che consolidasse i segnali di ripresa. Il Piano fu approvato nell’ottobre 2001, dopo un grande processo partecipativo che iniziò con la “tre giorni” del giugno 2000, durante la quale furono inaugurati la nuova piazza del Bastione, con un indimenticabile concerto di Compay Segundo, e il Museo Archeologico del Castello San Giorgio.
La scelta di fondo del Piano strategico, e del contestuale Piano urbanistico, fu quella dell’”economia della varietà” e del superamento di ogni concezione “monocorde”: sia quella industriale otto-novecentesca, sia quella portuale, che qualcuno proponeva sostituisse la precedente. La visione del futuro era basata su tre componenti di fondo: ancora l’industria, anche se non più con il peso del passato e sempre più “tecnologica”; il porto sì, ma non il megaporto, bensì uno scalo sostenibile dal punto di vista ambientale e compatibile con le altre vocazioni produttive; e per la prima volta il terziario e il turismo, abbandonati con la nascita dell’Arsenale. Il tema del recupero del rapporto con il mare diventava la cifra fondamentale della nuova identità di Spezia, con la scelta di destinare Calata Paita a waterfront per cittadini e turisti. E con la proposta a Governo e Marina, che facemmo con il secondo Piano strategico, approvato nel dicembre 2004, di rilanciare l’Arsenale restituendo una parte delle aree alla città e alle attività della nautica e del turismo.
A distanza di dieci anni a che punto siamo? Molti progetti sono già realizzati, dai cantieri della nautica alla darsena di Pagliari-Fossamastra, dal CAMeC al Porto Mirabello. Altri sono in corso di realizzazione -città terziaria nell’area ex Ip, Distretto delle tecnologie marine, Variante Aurelia- o di prossimo avvio: waterfront, diga balneabile, nuovo Ospedale, parco collinare… Si sta dando una soluzione positiva alle questioni della chiusura della San Giorgio (con una nuova presenza dell’industria tecnologica) e della crisi di Acam (con il superamento, finalmente, di un localismo antistorico e dissipatore di risorse). Resta irrisolto, invece, il nodo delle aree della Marina, perché manca un piano serio da parte del Governo.
Ma con la crisi economica internazionale la città ha subito nuovi colpi: 7.000 posti di lavoro persi in un anno e aumento della povertà. Non basta più attuare i “vecchi” progetti, bisogna porsi nuove sfide: il sostegno alle piccole imprese, che devono aggregarsi perché non è vero che “piccolo è bello”; lo sviluppo della green economy; la riforma del welfare e della formazione per contrastare l’aumento delle diseguaglianze; l’accoglienza agli immigrati e la costruzione della città interculturale. Sono sfide belle: un’occasione per tornare ad essere creativi, coinvolgendo ancora la città nel “sentimento” di un’impresa comune.
Popularity: 2%