Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

Leggi articolo intero »
Crisi climatica e nuove politiche energetiche

Economia, società, politica: anticorpi alla crisi

Quale scuola per l’Italia

Religioni e politica

Ripensare il Mediterraneo un compito dell’Europa

Home » Economia, società, politica: anticorpi alla crisi

Gli anni Sessanta alla Spezia nell’opera monumentale di Giorgio Pagano – Intervista di Fabio Lugarini a Giorgio Pagano

a cura di in data 30 Luglio 2020 – 09:36
Giorgio Pagano e Bruno Arpaia, La Spezia, Castello San Giorgio (2017) (foto Enrico Amici)

Giorgio Pagano e Bruno Arpaia, La Spezia, Castello San Giorgio
(2017) (foto Enrico Amici)

Gli anni Sessanta alla Spezia nell’opera monumentale di Giorgio Pagano
Intervista di Fabio Lugarini a Giorgio Pagano
Città della Spezia 21 luglio 2020

“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in Provincia”, il libro edito da Cinque Terre che Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello hanno dedicato a uno dei periodi più vitali della nostra storia, sarà presentato lungo tutta l’estate in giro per la provincia, in Liguria e in Toscana. Un’opera che lo storico Paolo Pezzino, nella Prefazione, definisce “monumentale”: 335 testimonianze inserite nella narrazione storica di Pagano, centinaia di immagini inedite, i documenti dell’epoca studiati dalla Mirabello. Dopo la “prima con bis” in città e la pausa durante il lockdown, “vogliamo dare il nostro piccolo contributo alla riappropriazione della vita associata, nel pieno rispetto delle regole sanitarie”, dicono gli autori: “dobbiamo ricominciare a discutere e a pensare insieme, il distanziamento fisico non deve diventare distanziamento sociale”.
La prima tappa sarà a San Terenzo (parco Shelley, 21 luglio ore 21), con un dialogo tra Pagano e lo scrittore Bruno Arpaia, moderato da Susanna Raule. A seguire, citiamo solo le iniziative di luglio, Monterosso (molo dei Pescatori, 24 luglio ore 21,30), Riva Trigoso (area esterna Biblioteca del Mare, 28 luglio ore 21,30), Santo Stefano Magra (piazza della Pace, 31 luglio ore 21).
A essere presentato è il primo Volume, intitolato “Dai moti del 1960 al Maggio 1968”. Il secondo Volume, dal titolo “Dalla Primavera di Praga all’Autunno caldo”, uscirà in autunno.

A Giorgio Pagano, che ama usare versi di canzoni come titoli dei suoi libri, chiediamo il perché della scelta, questa volta, di un verso di “Dio è morto”:
Nel libro Beppe Carletti, il fondatore dei Nomadi, il gruppo che cantò per la prima volta “Dio è morto” nella nostra città -il 24 novembre 1967 al Monteverdi-, definisce questa canzone il “manifesto programmatico” di una generazione. E Francesco Guccini, l’autore, afferma: “Tutto nasce dalla consapevolezza che qualcosa doveva cambiare! Faccio questo esempio: la scuola che racconta Fellini in ‘Amarcord’, dunque di prima della guerra, in pieno fascismo, era identica alla scuola che ho frequentato io, alcuni decenni più tardi, in piena democrazia! L’aggiunta finale della speranza non mi venne dalla volontà di trasmettere il canonico happy end, ma dal fatto che all’epoca la speranza covava veramente”. Si sperava in un mondo nuovo, che era innanzitutto un mondo antiautoritario. Non si riconosceva più legittimità alla scuola gerarchica, alla fabbrica caserma, alla famiglia, a tutto ciò che negava autonomia, autorealizzazione di sé e dignità alle persone. Agli operai, ai giovani, alle donne.

Tutto questo esplode nel 1968-1969. Ma, è la tesi del libro, nasce prima, negli anni Sessanta…
Certo, il 1968-1969 non è un fiore che nasce nel deserto. Solo risalendo alla “rottura storica” dei moti del 1960 contro il Governo Tambroni, alle lotte operaie dei primi anni Sessanta, al Concilio Vaticano Secondo, alle lotte contro il colonialismo, alla Beat generation, alla generazione del Vietnam e al ricchissimo patrimonio culturale del decennio si può comprendere la “rottura storica” del 1968-1969. L’esplosione non fu repentina, ma frutto di una maturazione, di un’incubazione durata anni.

Comunità giovanile e comunità operaia: quale fu l’intreccio?
Un intreccio stretto. A Spezia, dopo la sconfitta e le divisioni degli anni Cinquanta, per dieci anni non si era più visto uno sciopero. La prima grande lotta operaia, quella del Muggiano, ci fu nel 1961. Quel corteo mai visto prima dai giovani innescò il primo dibattito in Italia tra operai e studenti, nella sede in via Chiodo del giornale “L’Unità”. Si preparò così il terreno a un Sessantotto spezzino -e italiano- che fu giovanile ma anche operaio: come in nessun altro Paese del mondo.

Qualche tappa saliente, prima di arrivare al 1968-1969, gli anni delle occupazioni di tutte le scuole superiori e all’Autunno caldo degli operai?
Per ciò che riguarda le lotte operaie, la lotta per salvare il Cantiere del Muggiano, minacciato di chiusura. Fu decisiva per restare città industriale. Impegnò tutta la città: la comunità operaia, i sindacati, i partiti, le istituzioni. Fu una lotta per l’occupazione, ma non solo, perché affrontava anche i temi della condizione operaia in fabbrica: salari, salute, diritti. Nell’aprile 1967 ci fu, per il Muggiano, il primo sciopero generale unitario del dopoguerra, dopo quello per l’attentato a Togliatti nel 1948. Per ciò che riguarda i giovani, per molti di loro il Sessantotto cominciò nel novembre 1966, quando, da “angeli del fango”, si recarono a Firenze e in Toscana dopo l’alluvione, con una mobilitazione senza precedenti, anche a Spezia. Fu una forte manifestazione di autonomia dei giovani, di compattezza generazionale. Si arrivò così allo sciopero degli studenti medi spezzini del dicembre 1967, e all’occupazione del Liceo Scientifico Pacinotti -una delle prime in Italia- il 5 febbraio 1968, contro la scuola autoritaria e nozionistica. A questi temi si aggiunse poi, nei mesi successivi, il contrasto alla scuola di classe: “Lettera a una professoressa” di don Milani diventò il manifesto pedagogico di una generazione.

Furono anche gli anni della crisi del centrosinistra -l’alleanza tra DC, PSI, PSDI e PRI-, della nascita del dissenso cattolico e dei gruppi della sinistra extraparlamentare…
Il centrosinistra, che pure a livello nazionale aveva, all’inizio, realizzato alcune riforme, si contrassegnava sempre più per l’immobilismo. Così a livello locale. I socialisti erano sempre più insoddisfatti, a sinistra si rafforzavano il PCI e il PSIUP, nato da una scissione nel PSI. Tra i cattolici cresceva il dissenso. Nel voto del maggio 1968 si registrarono i primi segni di rottura dell’unità politica dei cattolici attorno alla DC: a Spezia la posizione del Circolo don Milani per il voto al PCI e quella della Giunta diocesana dell’Azione Cattolica per l’autonomia di scelta; a Sarzana la posizione di padre Vincenzo Damarco, assistente spirituale della FUCI, per l’autonomia di scelta. La reazione del Vescovo Stella fu durissima: la Giunta diocesana fu dimissionata, Damarco fu cacciato dalla FUCI. Tra 1967 e 1968 nacquero i primi due gruppi operaisti, Il Potere operaio a Spezia attorno a Franco Pisano e La Voce Operaia a Sarzana attorno ad Andrea Ranieri, che si fusero per poi separarsi a fine 1969. La loro posizione verso il PCI divenne via via sempre più critica. Insomma, la situazione politica era in grande movimento: ma il legame del PCI con l’URSS rendeva impraticabile un’alternativa nel governo nazionale. A livello locale, invece, si stavano preparando le condizioni per il ritorno delle Giunte di sinistra, scalzate dal centrosinistra nel 1957.

Dai racconti del libro sgorga tutta la vitalità e la passione dei tanti giovani che sperimentavano nuovi valori di vita nel teatro, nel cinema, nella musica e nell’arte. Quali le vicende più interessanti?
Furono davvero anni di sprovincializzazione e di cambiamento. Nel 1962 Antonello Pischedda e Fulvio Acanfora fondarono il Centro di Iniziative Teatrali, nel 1963 la loro “Mandragola” suscitò una discussione rimasta nella memoria. Nel 1965 Aldo Rescio fondò la rivista “Delta”, prima c’era stata “Nuove dimensioni” di Ferruccio Battolini. Nel 1965 nacque il Sindacato Artisti della CGIL, nel 1968 il Circolo Culturale Il Gabbiano. Nel 1968 ci fu la prima rassegna cinematografica del Circolo Charlie Chaplin, fondato da Enzo Ungari e Franco Ferrini. C’erano tanti circoli culturali, più o meno legati alle varie forze politiche giovanili. E le librerie, dalla Adel di Attilio Del Santo all’”agenzia” di Rescio: luoghi di cultura e di dibattito. E poi la grande fotografia di Renzo Fregoso, il doposcuola a Càssego di don Sandro Lagomarsini, l’Ostello della Gioventù a Lerici, la poesia di Paolo Bertolani, le Cinque Terre “avanguardia sul mare”, meta degli intellettuali di tutto il mondo… Ancora: la musica beat. Erano gli anni delle cantine e delle rassegne. Quella che fece epoca fu lo Show Beat al Monteverdi nel 1966: 4 mila giovani, un pienone mai visto, il teatro scosso dalle fondamenta, le poltrone divelte, ragazze e ragazzi a gridare e a ballare per ore. Era una generazione “globale”: anche a Spezia mai si parlò così diffusamente del mondo come in quel decennio. Anche a Spezia ci furono una generazione del Vietnam e una Beat generation…

E oggi, che cosa resta di quegli anni?
L’ultimo capitolo del secondo Volume si intitolerà “I vinti giusti”. Le idee del 1968-1969 furono sconfitte negli anni Settanta, non lasciarono un segno sulla modernizzazione. Prevalse il neoliberismo. Ma qualche idea giusta dei vinti di quegli anni rimane: soprattutto del Sessantotto degli inizi, che fu una ribellione morale e libertaria. Al di là delle incrostazioni retoriche e delle deformazioni vanno ritrovati i caratteri delle culture degli anni Sessanta, pur cogliendone i limiti strategici e le profonde ingenuità. In quegli anni furono posti i problemi drammatici della forma etico-politica che doveva acquisire la modernizzazione della società italiana: all’insegna della fratellanza, dell’umanesimo, della politica come autogoverno della propria vita e come nonviolenza. Insomma, poteva andare diversamente. Poi lo sguardo di tutti andò altrove, ma quei lasciti c’erano. E ci parlano ancora.

Popularity: 5%