Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Forse il Pd di Renzi ha ballato una sola estate

a cura di in data 17 Giugno 2016 – 15:09

Città della Spezia, 17 giugno 2016 – Alcuni lettori mi hanno chiesto di commentare il voto amministrativo del 5 giugno. Avevo in mente di aspettare i ballottaggi, quando l’esito politico sarà più chiaro. Ma, sollecitato a dire la mia anche per quanto riguarda previsioni e auspici sul voto di domenica prossima, lo faccio volentieri sul nostro giornale.

HA VINTO L’ASTENSIONISMO
Innanzitutto ha vinto l’astensionismo: nella nostra provincia, per esempio, ha votato il 65,5% degli elettori.Nelle grandi città ancora meno. Quello degli astensionisti è un non voto (o una forma di voto) che va scomposto. C’è l’astensionismo strutturale, di coloro che sono estranei alla politica. A esso si somma l’astensionismo consapevole, di chi intende manifestare il suo dissenso verso la politica e i suoi attori e non vota perché ritiene di non disporre di altri strumenti. Questo fenomeno è in continua crescita, così come il terzo tipo di astensionismo: quello di coloro che sono socialmente ed economicamente in sofferenza. Il sociologo Ilvo Diamanti ha scritto di un segno di disaffezione, consueto in tutte le democrazie avanzate. Io sono più preoccupato: sono più in sintonia con un altro studioso, Alfio Mastropaolo, che scrive di “una grave condizione di malessere dei regimi democratici”. Che è effetto innanzitutto della crisi sociale. Ho letto che Piero Fassino, candidato del Pd a Sindaco di Torino, ha messo l’accento su questo punto, e che batte freneticamente periferie e mercati per cercare di recuperare questo voto “ (in) sofferente” espresso da coloro che si sentono trattati da cittadini di serie B. Bene, ma Fassino non va alla radice del problema: la politica dell’austerity neoliberista, fatta propria anche dal suo partito, che ha ridotto stipendi, salari, pensioni, servizi pubblici, magare per pagarsi lussuosi sistemi d’arma.Il malessere ha poi una seconda causa: la crisi morale. Anche in questo caso la politica dominante ha dato risposte del tutto inadeguate, diventando in molte sue parti sempre più “casta” immorale e intrecciata con i poteri economici, sideralmente distante, proprio mentre la crisi sociale li maltrattava, dai cittadini. Insomma, non mi convince il luogo comune sulle democrazie avanzate condannate a convivere con forti livelli di astensione. Non sono un modello, e poi anche lì -si pensi al fenomeno Bernie Sanders in America- rinasce qualcosa, ci sono fenomeni di nuova partecipazione. Da noi, invece, il potere si chiude sempre più nel bunker sperando che nessuno venga a bussare. La riforma costituzionale, non a caso, introduce una stretta verticistica e una riduzione della rappresentanza, cioè l’opposto di ciò di cui avremmo bisogno. Ma è un ragionamento miope: prima o poi i cittadini ti vengono a cercare. Non a caso, mentre è in crisi la partecipazione elettorale, aumentano nuove forme di partecipazione politica (comitati, associazioni…), che per ora non si riversano nei canali della rappresentanza partitica-parlamentare, ma potrebbero farlo in futuro, ove ve ne sia data l’occasione.

IL TRIPOLARISMO
Tra i votanti al primo turno i risultati sono chiari: il Pd perde, il M5S sfonda politicamente (con i risultati di Roma e Torino, ma anche con un radicamento nei centri urbani medio-piccoli), il centrodestra non è per niente morto, la sinistra di fatto non è pervenuta. Non siamo passati dal bipolarismo tra Pd e centrodestra a quello tra Pd e M5S, perché il centrodestra esiste ancora: su 25 Comuni capoluogo di provincia porta candidati al ballottaggio in 16 casi e vince una volta al primo turno, più o meno come il Pd e il residuo centrosinistra, che conquistano 18 ballottaggi e hanno già vinto in tre Comuni.Il centrodestra è frantumato e senza testa, ma è vivo e se ritrova un capo e un progetto è competitivo. Come, in queste elezioni, a Milano e a Trieste. E, nel passato recente, in Regione Liguria e a Venezia. Il tripolarismo non è affatto finito, dunque. Se lo fosse,Renzi sarebbe più tranquillo, perché avrebbe un serbatoio di voti per fronteggiare l’attacco grillino e vedrebbe nascere il suo “Partito della Nazione”. Di cui invece non c’è traccia: il 40,8% delle europee era un premio alla novità, ma le novità finiscono presto. Neanche Verdini porta voti al Pd! Siamo al menage a trois della politica italiana: il ballottaggio a due diventa una roulette russa. Sarà così anche nelreferendum sulla riforma costituzionale e nelle prossime elezioni politiche con l’Italicum, se non riusciremo a liberarci prima di questa pessima (e incostituzionale) legge elettorale. E’ evidente che, in questo menage, chi ha più da temere è il Pd. Renzi, muovendo dalla pretesa e dalla presunzione di costruire il Pd come un partito pigliatutto, onnivoro e autosufficiente, si ritrova senza un sistema di alleanze, senza alcun potere di coalizione, isolato nella sua declinante forza elettorale.In questi giorni sta succedendo quello che avviene ovunque: le opposizioni fanno asse contro il partito di governo. Non c’è nulla di cui stupirsi. Renzi ha provocato la polarizzazione della politica italiana, personalizzando tutto su di sé. E ora sta pagando il conto. Il rischio, per lui, è grande: come ha detto il politologo Piero Ignazi, se, dopo Napoli, il Pd perdesse a Roma, Milano e Torino, “sarebbe il punto più basso della sinistra italiana”.

UN VOTO PER FAR SALTARE IL TAPPO ALLE OLIGARCHIE
Una delle qualità migliori della democrazia è la sua capacità di autocorreggersi. A Roma, dopo Alemanno, “Mafia Capitale” e la defenestrazione di Marino, si è aperta una forte lacerazione tra governanti e governati. Gli anticorpi stanno nel rinnovamento radicale dei governanti. Giachetti sembra una persona perbene, e un politico umano: ma proviene pur sempre da un “sistema” e da un’oligarchia. Io voterei la Raggi. So bene quante critiche si possono (e devono) fare al M5S: scarsa democrazia interna, posizioni inaccettabili sull’immigrazione… E tuttavia le cose, forse, stanno cambiando: per ora Grillo è un po’ in disparte, il fondatore e leader ha tolto il nome dal simbolo… Per far saltare il tappo alle oligarchiedel potere romano un’altra strada non c’è.
Lo stesso ragionamento, sia pure in un contesto di governo cittadino molto migliore, vale per Torino. Leggiamo quanto scrive Massimo Gramellini: “Un vento dimenticato spira su questa Torino umida di fine primavera che si prepara al ballottaggio. Forse non gonfierà le vele di una nuova maggioranza. Ma intanto sbatte, fa rumore. Soffia dalle periferie alle università, dovunque qualcuno si senta escluso dal sistema di potere che da un quarto di secolo ruota attorno al centrosinistra. Prima che di un cambiamento, indica la voglia di un ricambio. Per chi lo osserva dai vetri, quello che governa Torino è un sinedrio chiuso che ti ammette al suo interno solo per cooptazione. Le stesse persone che da decenni si incontrano nelle stesse cene, si scambiano gli stessi incarichi e partecipano allo stesso banchetto di soldi pubblici che anche gli esclusi hanno contribuito con le loro tasse ad allestire… Per gli esclusi il desiderio di aprire le finestre è così impellente che prevale sul rischio di fare entrare aria cattiva”. Ecco perché voterei la Appendino: per far saltare il tappo alle oligarchiedel potere torinese.La Raggi e la Appendino: due giovani donne che non hanno esperienza, si dice. Ma hanno fatto l’opposizione in questi anni, non sono delle invenzioni. E poi il bravo politico deve essere prima di tutto un buon cittadino, prima ancora che un esperto del mestiere.
Ora si deve avere fiducia nella saggezza del corpo elettorale. Giachetti e Fassino, memori del fatto che sono stati più votati nei quartieri dove regna la borghesia (Parioli e Crocetta), cercano il voto popolare e di sinistra. Così Sala a Milano: Mr. Expo, candidato per conquistare l’elettorato moderato, ha operato una sterzata a sinistra e, per battere Parisi, ha aperto anche ai movimenti giovanili alternativi. Se Giachetti, Fassino e Sala dovessero perdere, sarebbe la disfatta di Renzi. Ma anche se dovessero vincere, molte cose cambierebbero: perché vincerebbero con una strategia politico-elettorale molto diversa da quella di Renzi. Non a caso Renzi è diventato un indesiderabile, e la sua presenza accanto ai candidati Sindaci è considerata controproducente. Insomma: il fenomeno, in ogni caso, si sta sgonfiando. Forse il Pd di Renzi ha ballato una sola estate.

UNA COALIZIONE CIVICA, SOCIALE E POPOLARE
Non sono grillino, perché ho un’altra cultura politica. Però non posso non tener conto del fatto che nei quartieri popolari il M5S è il primo partito, e del fatto che il 40% di coloro che hanno meno di 45 anni oggi si indirizzano verso il M5S. Sono voti “anti-establishment”, che vanno a un non-partito, a un movimento “gentista” che si nutre di temi trasversali, come l’onestà e la purezza, o la difesa dell’ambiente. Populismo, si dice. Certo, ma non tutti i populismi sono eguali. Il M5S, con tutte le critiche che possiamo (e dobbiamo) fargli, non è la Lega.E anche De Magistris a Napoli non è la Lega. C’è il populismo della Le Pen in Francia e il populismo di Podemos in Spagna.Podemos non è il M5S, ma anche il movimento di Pablo Iglesias all’inizio rifiutava le alleanze, mentre ora va alle elezioni insieme a IzquierdaUnida (la sinistra) e pensa di governare anche con il Psoe (i socialisti), perché ha capito che solo così può cambiare la Spagna. In Italia non ci sono le condizioni per tutto questo. Ma si possono provare a costruirle, innanzitutto nelle città (come è avvenuto in Spagna, con le coalizioni civiche, sociali e popolari che governano Barcellona e Madrid). La cocciutaggine dei fatti spinge in questa direzione. Gli eventi politici nuovi non accadono da soli, vanno preparati. La sinistra è stata svuotata: la battaglia si gioca tutta nell’ambito del populismo. Come ha scritto lo storico Tommaso Nencioni: “Dagli equilibri interni al campo populista sorgeranno istituzioni nuove. Se non si investe sulla messa in campo di un progetto populista democratico, si lascerà terreno fertile per un populismo autoritario ed escludente che rischia di forgiare le istituzioni di domani”.

Giorgio Pagano
Cooperante, già Sindaco della Spezia

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