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Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
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E’ un Natale che ci obbliga a pensare all’esistenza degli altri

a cura di in data 24 Dicembre 2020 – 15:11

Teviggio di Varese Ligure, statua del presepe fotografata in un armadio della sacrestia
(2020) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 24 dicembre 2020 – I tanti mesi segnati dal contagio e dalla paura dovrebbero imporci uno sguardo diverso sul Natale e sulla nostra vita. La pandemia non deve portarci a discutere soltanto di banchi a rotelle, piste da sci chiuse, orari di apertura dei bar. Pandemia vuol dire soprattutto morte. Una strage silenziosa e continua: 700 mila morti in Italia nel 2020, più del 1944, l’anno più duro della seconda guerra mondiale. Morti atroci, di persone che se ne vanno in solitudine totale. A Spezia, per Covid-19, sono morte 283 persone. Tragedie che, noi che scriviamo, non riusciamo nemmeno a raccontare.
I morti sono soprattutto vecchi. Il virus ha interrotto i rapporti tra giovani e vecchi, con il rischio di perdere il significato civile e morale dell’esperienza che lega insieme le diverse generazioni che si succedono.

Ma pandemia significa anche povertà. Gli assembramenti che ci fanno più paura non sono quelli per lo spritz -pur pericolosi e riprovevoli- ma quelli delle file per le mense. Le file degli italiani e dei migranti -anche a Spezia, come ci spiega don Luca Palei della Caritas- che si trovano in una situazione di bisogno estremo.
La scoperta di quanto sia fragile il nostro corpo, sia individuale che collettivo, non può che portarci a un altro Natale: non individualista, non consumista, più vicino al suo senso originario. Mi è rimasto sempre impresso come uno dei più grandi intellettuali del Novecento, Pier Paolo Pasolini, reagì di fronte alla nuova religione delle merci e del consumo: scandalizzandosi per l’”assenza di senso del sacro nei miei contemporanei”. Erano i primi anni Ottanta del secolo scorso. La “desacralizzazione” del Natale, in atto già allora e proseguita negli anni successivi, è parte integrante di questo processo. Non a caso, nell’udienza generale dell’antivigilia, Papa Francesco ha definito il Natale una festa “sequestrata” dal consumismo, “ricca di regali e di auguri ma povera di fede cristiana” e anche “di umanità”.

Il Papa vuole dire a credenti e non credenti che la pandemia e la morte devono portarci a distinguere l’essenziale dall’inessenziale. L’essenziale è la solidarietà, è l’accoglienza, è la fratellanza: per combattere la fragilità umana. Natale riscopre così la sua sacralità, quella dell’avvento di un bambino in una mangiatoia. Quel bambino, privo di alloggio, è il simbolo della fragilità umana.

Il Papa ha concluso raccontando un suo recente dialogo “con alcuni scienziati” sull’intelligenza artificiale e sui robot. Alla sua domanda su cosa i robot non potranno mai fare, hanno concordato su una risposta: “la tenerezza”. Ha detto Francesco:
“La tenerezza umana che è vicina a quella di Dio. E oggi abbiamo tanto bisogno di tenerezza, tanto bisogno di carezze umane, davanti a tante miserie! Se la pandemia ci ha costretto a stare più distanti, Gesù, nel presepe, ci mostra la via della tenerezza per essere vicini, per essere umani. Seguiamo questa strada. Buon Natale!”.

Conosco un solo uomo politico, nella storia, che ha usato la parola tenerezza: si chiamava Ernesto Guevara de la Cerna, detto “Che”. Oggi c’è tanta brutta politica che pensa all’elogio dei consumi e non alla tenerezza, alla compassione per le vittime. Ma è una politica individualistica e cinica tutta dentro il presente, priva di speranza per il futuro. La politica che rimanda alla speranza è quella che agisce per gli altri, è quella a cui spinge il Papa.

Questo Natale non sarà quello della festa spensierata, ma quello che ci obbliga a pensare all’esistenza degli altri, alla loro sofferenza, al dono. “Ripartiremo” solo se cambieremo. Cioè se “ripartiremo” dalla sacralità dei rapporti umani e con la natura, da quella che Pasolini definiva la “bellezza inutile”, perché senza fini e senza scopi, delle lucciole scomparse, da tutto ciò che può fare da argine a quel mito del progresso illimitato che ci ha portato anche la pandemia. Se “ripartiremo” dal Natale che dice a tutti, credenti e non credenti, che la vita umana è sacra.

Buon Natale a tutte e a tutti
Giorgio Pagano

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