Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Commemorazione di Giovanni Pelosini, Tellaro 9 dicembre 2023 – Intervento di Giorgio Pagano

a cura di in data 17 Luglio 2024 – 20:50

Commemorazione di Giovanni Pelosini
9 dicembre 2023 – Tellaro
Intervento di Giorgio Pagano

Siamo qui per ricordare Giovanni Pelosini, la prima vittima con un nome della Resistenza spezzina, ucciso dai nazisti l’11 settembre 1943, ottant’anni fa.
Alcuni testimoni hanno raccontato la morte di un alpino, ufficiale medico bolognese, il 9 settembre: ma non conosciamo il suo nome.
Giovanni era un giovane di Tellaro, aveva vent’anni. Era insieme ad altri ragazzi di Tellaro, che riuscirono a fuggire.
Perché accadde a Montemurlo? Perché i ragazzi raccoglievano le armi?
Dobbiamo fare un passo indietro, all’8 settembre.
L’8 settembre l’Italia precipitò in un baratro.
Anche alla Spezia ci fu l’intreccio tra la gioia – grandi falò vennero accesi sulle colline – e la rabbia e la paura, per lo sfacelo delle istituzioni.
La Spezia era molto importante perché sede della flotta.
La base navale fu occupata dai tedeschi il 9 settembre, nella tarda mattinata.
Nella notte tra l’ 8 e il 9 parte della flotta lasciò la rada dirigendosi velocemente con grosse unità verso i porti alleati, secondo le regole dell’armistizio con gli alleati.
Tra le navi che lasciarono La Spezia nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943 c’era la corazzata Roma, che fu colpita da bombe lanciate da aerei tedeschi e affondò al largo dell’isola dell’Asinara. Oltre 1.300 marinai persero la vita. Gran parte del resto della flotta, parte della quale salpò nella mattinata del 9, si salvò.
Fu il vero obiettivo mancato di Rommel.
Ciò fu merito della Marina, l’unica arma a cui il Comando fornì le regole armistiziali.
Ma fu anche merito di unità dell’Esercito. Certamente la dissoluzione dell’Esercito ci fu, e si concluse definitivamente la sera del 10 settembre. Ma, prima, quale ruolo fu esercitato?
Le due divisioni preposte alla difesa della Spezia, la Rovigo e le Alpi Graie, prima di dissolversi riuscirono a ritardare l’avanzata dei tedeschi, facendo fallire il loro intento di catturare le navi italiane. In molti studi sia sull’Esercito che sulla Marina emerge che le divisioni, soprattutto le Alpi Graie, ressero quel tanto che consentì alla flotta di partire.
Il 9 settembre, tra Arcola, Sarzana, Ameglia e Marina di Carrara, fu bloccata una Divisione corazzata tedesca diretta verso la nostra costa: le perdite tedesche furono di 23 morti.
E gli alpini combatterono fino al 10 sera.
Ecco perché c’erano le armi a Montemurlo.
I giovani, i popolani, le raccoglievano senza ancora un disegno chiaro. Come Giovanni e i suoi amici. Come tantissimi altri in tutta Italia.
Si diceva: piuttosto che lasciarle ai tedeschi… Era una sorta di prevenzione della razzia da parte dei tedeschi.
Si può dire che la raccolta delle armi abbandonate era parte della nuova coscienza che stava nascendo e che preparava un nuovo momento di lotta per riscattare la libertà.
I tedeschi si preoccuparono: temevano sia i militari che i giovani. E in effetti la Resistenza sarebbe nata da lì a poco grazie all’apporto di queste componenti, e di quella dei vecchi antifascisti. I tedeschi presero 25 ostaggi tra gli amegliesi, che furono liberati solo dopo parecchi giorni.
Chi parla, a proposito dell’8 settembre, di “morte della patria” non tiene conto del patriottismo dei primi antifascisti, dei giovani e dei popolani e della forma peculiare di patriottismo espressa in quelle ore da molti marinai e soldati.
L’8 settembre non fu la “morte della Patria”, ma delle istituzioni che avrebbero dovuto rappresentarla. Dal baratro una parte importante del Paese si risollevò, con la Resistenza. O, meglio, con una spinta dal basso che diede vita a molteplici “resistenze”.
Nella sventura, il popolo italiano ritrovò un nuovo senso di appartenenza nazionale: dalle ceneri dell’8 settembre nacquero le molteplici “resistenze” che diedero vita alla Resistenza, nacque una nuova patria, un nuovo modo di essere italiani.
Fu una dura lotta: i tedeschi occuparono il nord e il centro dell’Italia, e riportarono al potere Mussolini, creando un regime fantoccio, la Repubblica di Salò.
Ci fu la convivenza complessa con questa oppressione: la Resistenza armata, la Resistenza sociale e civile, senza la quale la prima non ce l’avrebbe mai fatta, ma anche l’indifferenza e la passività, e pure il collaborazionismo con l’invasore. Ma la grande massa voleva la pace, la libertà e la giustizia: per questo fu contro il fascismo. Se la Resistenza, pur avendo breve durata – venti mesi – ha avuto così grande influenza nella storia, ciò è dipeso dalla sua scelta morale e politica di fondo: aver contrapposto al nazifascismo la pace, la libertà, la giustizia.
Una minoranza prese le armi. Contro un’altra minoranza. Ma in mezzo non ci furono solo indifferenza e passività. Si sviluppò la Resistenza sociale e civile, che affiancò quella in armi. Ecco perché possiamo parlare di un grande moto popolare.
Gran parte del popolo, anche quello non combattente, vi partecipò con la sua opera di solidarietà, dagli operai ai contadini. E decisive furono le donne.
Tutti gli strati sociali parteciparono: non è vero che il popolo fu scoraggiato e silente. La Resistenza fu una guerra popolare perché il popolo – anche le donne, che sono coloro che più aborrono le guerre – ne comprese il significato e diede tutto se stesso nella lotta per la sopravvivenza, perché anche di questo si trattò, e per la vittoria.
Tanti, come Giovanni, fecero la scelta morale: per il bene contro il male, per la vita intesa come cammino non solo individuale ma anche collettivo, per la libertà contro la dittatura.
Troppe volte si tende a dimenticare il valore decisivo di questa scelta, su cui si fonda la Repubblica democratica antifascista, retta dalla nostra legge fondamentale, la Costituzione antifascista.
Sabato scorso un’associazione, con il patrocinio di un Comune della provincia, ha organizzato una manifestazione in omaggio a Mario Arillo, un eroe.
Arillo comandava la base sommergibili di Danzica. Dopo l’8 settembre iniziarono le discussioni tra favorevoli e contrari all’armistizio. La maggior parte dei militari di Danzica, tra cui Arillo, decise per l’alleanza con i nazisti; così come la maggior parte degli aderenti alla X Mas alla Spezia, comandata da Junio Valerio Borghese. A Danzica una minoranza – 6 ufficiali, 2 sottufficiali e 35 sottocapi e comuni – si rifiutò e fu internata nel campo di concentramento di Torun (Stalag XXA).
Arillo, eroe della Regia Marina per le sue azioni precedenti, l’8 settembre tradì la patria. Gli eroi furono i 43 che scelsero il campo di concentramento.
Arillo fu poi, fino al 25 aprile 1945, uno dei vice della X Mas di Borghese e porta la responsabilità politica e morale di tutti gli eccidi da essa compiuti, in cui perirono molti eroi della Resistenza spezzina, dai ragazzi del monte Barca uccisi a Valmozzola, tra cui i lericini Nino Gerini e Angelo Trogu, a Piero Borrotzu “Tenente Piero”.
Il passare del tempo non cancella le colpe e le responsabilità degli uomini negli eventi della storia, specialmente se tragici e nefasti.
Ognuno ha il diritto di condividere la propria memoria. Ma le istituzioni democratiche possono stare da una parte sola: dalla parte dell’umanità, della libertà, della giustizia.
Ricordiamo, nell’Ottantesimo, ogni caduto. Dobbiamo farlo perché la Resistenza, quell’esperienza nata ottant’anni fa, difficile, fragile, romantica, coraggiosa, nonostante tutto è lì, e riemerge come un appiglio. E’ la cosa migliore che abbiamo avuto, e che abbiamo.
Viva la Resistenza antifascista! Viva l’Italia antifascista!

Giorgio Pagano

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