Che città sarebbe senza cinema?
“Da domani non esisterà più il cinema”. Pensate se i giornali aprissero con questo titolo, sarebbe il panico. Forse non ce ne rendiamo conto, ma la nostra vita sarebbe molto più vuota.
La mobilitazione che è scattata a Spezia perché non scompaia il Cinema Il Nuovo si spiega solo così: abbiamo bisogno del cinema e delle sue storie. Il cinema non è un semplice modo con cui passare il tempo. Ci insegna a sognare, a sviluppare immaginazione, passioni, sentimenti. Ci lega ai personaggi e ci permette di scoprire noi stessi e gli altri attraverso loro. Ci fa pensare, ci fa vivere una vita che non è la nostra, ci spinge a provare, e a farlo insieme ad altri. Ci svela la meraviglia, lo stupore che, come dicevano i greci antichi, è il punto di partenza della conoscenza. Ci aiuta a capire la differenza tra il bene e il male. Ci fa capire un momento storico come poche altre fonti. Ho studiato e sto studiando la Resistenza e gli anni Sessanta: come potrei farlo senza il cinema?
Naturalmente il cinema si può vedere in tanti modi: alla TV, al computer, al cellulare… Ma la sala cinematografica non perderà mai il suo fascino. Il cinema è anche la comunità, il gruppo, il posto in cui ci si siede, gli amici con cui si vede, gli attori, i registi, i produttori che si incontrano di persona. Dal 2001, dopo la ristrutturazione dell’Unione Fraterna nel 1998, Il Nuovo è tutto questo: un crocevia di incontri veri e autentici tra persone e tra associazioni, di rapporti umani tra gli spettatori e coloro che al Nuovo lavorano, di occasioni di crescita educativa delle ragazze e dei ragazzi grazie ai rapporti tra Il Nuovo e le scuole.
La comunità non può essere solo digitale: perché è una comunità di persone, in realtà, sole. Serve la comunità reale, servono l’aggregazione e il contatto personale. Non si tratta di esorcizzare lo streaming e gli schermi sempre più piccoli, si tratta di capire che abbiamo bisogno anche e soprattutto della realtà: dei cinema come dei teatri, delle biblioteche, dei musei… Non voglio dire che il digitale sia l’irrealtà. Ma non può essere l’unico modo di vivere il mondo e la vita. Non sarà il digitale che ci restituirà la nostra capacità di riappropriarci di noi stessi e di provare empatia per gli altri. I cinema e tutti i luoghi di cultura, invece, possono aiutarci in questo. Meglio, dopo un film, scambiare impressioni e giudizi con gli altri che limitarci al mi piace o al condividi.
Un cinema che chiude non è solo una sala che non manderà più film; è una finestra che non affaccerà più su quel cortile. A Spezia si chiamava anche Controluce, ma non c’è più. Possiamo perdere anche Il Nuovo? No, diventeremmo troppo poveri.
All’Unione Fraterna è subentrata un’altra società di mutuo soccorso con sede centrale a Milano, la Fondazione Cesare Pozzo. Non è pensabile, per i suoi scopi statutari, che essa voglia fare una speculazione, con un utilizzo dei locali antitetico rispetto a quello che si propone: “attività di utilità sociale, di solidarietà”. La nuova proprietà dovrebbe semmai ricercare un’intesa con il Film Club Germi che gestisce Il Nuovo, dando così continuità al rapporto che c’è stato tra questa associazione e l’Unione Fraterna per l’utilizzo dei locali. Se invece le esigenze della Fondazione la portassero alla scelta della vendita dei locali, la città dovrebbe proporsi senza incertezze l’obiettivo di acquisirli. Il Film Club Germi e le persone e le associazioni interessate, con l’indispensabile supporto del Comune e della Fondazione Carispezia, dovrebbero dar vita a uno strumento societario per diventare proprietari della struttura e conservarne la funzione. Ho sempre pensato che Comune e Fondazione Carispezia dovessero operare all’insegna del principio della “comune programmazione culturale”. Ho preso atto con rammarico che ciò non è avvenuto: nel 2008 si tornò infatti indietro rispetto a quanto già elaborato e deciso, e ognuno pensò per sé. Il fatto che oggi Fondazione Carispezia gestisca il CAMeC potrebbe essere positivo se non si trattasse di una “privatizzazione” – tipo Centro Allende, per intenderci – ma di un vero partenariato tra pubblico e privato. L’acquisto, se necessario, della struttura sede del Nuovo – così ampia da consentire, dove c’era un supermercato, anche la realizzazione di spazi culturali e associativi – potrebbe essere un’altra occasione di vero partenariato. L’alternativa a queste due ipotesi è semplicemente inaccettabile: un grave impoverimento del tessuto culturale cittadino.
Giorgio Pagano
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