Bocca amava dire che la città di mare dei piemontesi non era Genova ma La Spezia
Città della Spezia, 1° settembre 2020 – Mi ha fatto veramente piacere che, nell’occasione del centenario di Giorgio Bocca, prima Alberto Scaramuccia e poi Davide Besana, figlio della moglie Silvia Giacomoni, abbiano ricordato il legame del grande giornalista con Pugliola -dove aveva, fin dal 1972, una casa- e più in generale con il nostro territorio.
Come ha ricordato Besana, il rapporto con gli abitanti di Pugliola e con gli amministratori lericini non fu semplice, anzi. Ci furono tensioni e polemiche. Una volta, scrisse Bocca su “L’Espresso” del 2010, “trovai nella cassetta delle lettere della mia casa questo messaggio poco amichevole: ‘Seconda casa, genocidio delle minoranze’”. Tanto per dire…
Anche la vicina Lunigiana fu coinvolta, quando Bocca “bacchettò” i testaroli. Erano gli anni Settanta. “L’Espresso” ospitò una pagina di lettere con il titolo “Testarolo, tu sei la mia patria”: un gruppo di giovani pontremolesi decise di “punire il reo” sommergendolo di finte lettere a difesa dei testaroli, definiti addirittura “il pane della Resistenza” (che in realtà era stata la “pattona”).
Eppure, come ha ricordato Besana, Bocca amava i nostri posti e certamente ne fu ispirato. E da buon piemontese non poteva che amare anche la città capoluogo, a cui ha dedicato, nel romanzo del 1991 “Il provinciale”, una frase molto bella:
“A Genova i piemontesi non hanno lasciato davvero alcun segno. La nostra città di mare è La Spezia, tutte strade dritte e caserme”.
Da un piemontese orgoglioso di esserlo, non poteva arrivare complimento migliore.
Bocca, che sembrava persona “superba”, fu in realtà un giornalista “umile”: cioè concreto e curioso, e proprio per questo, come ha scritto Scaramuccia, “capace nell’analisi dei meccanismi che stavano cambiando il mondo”.
Nella stesura del mio libro sugli anni Sessanta i suoi articoli su “Il Giorno” (allora il miglior quotidiano italiano) mi hanno molto aiutato: nessuno come lui ha saputo raccontare in poche e semplici parole il “boom” economico, la nevrosi degli operai nella fabbrica meccanizzata, l’angoscia e il furore per il Vietnam, l’antiretorica dei “capelloni”, l’arretratezza della scuola, le speranze degli studenti… Questa sua frase -tratta da un articolo su “Il Giorno” del 27 marzo 1969- dedicata alle lotte operaie dell’Autunno caldo contro la fabbrica-caserma, sarà una delle epigrafi del secondo Volume del libro:
“E’ anche nuovo che il movente delle azioni [degli operai] sia ‘morale”, miri quasi sempre al rispetto della dignità personale, spessissimo a stabilire il libero diritto al cesso, che vale la libertà di pensiero per chi ne è privo”.
Nel 2007 feci la mia “seconda scelta di vita”, allontanandomi dalla politica partitica così com’era allora. Ricordo, quell’anno, una dichiarazione di Bocca, intervistato da “L’Espresso”:
“Sono certo che morirò avendo fallito il mio programma di vita: non vedrò l’emancipazione civile dell’Italia. Sono passato per alcuni innamoramenti, la Resistenza, Mattei, il miracolo economico, il centrosinistra. Non è che allora la politica fosse entusiasmante, però c’erano principi riconosciuti: i giudici fanno giustizia, gli imprenditori impresa. Invece mi trovo un paese in condominio con la mafia. È il successo di chi elogia i vizi, i tipi alla Briatore”.
Come quasi sempre, fu profetico.
Il “ruvido” e “burbero” Bocca meriterebbe un ricordo da parte dei lericini, con una targa nella casa in cui abitò. Anche perché a Cuneo, nella casa natia, la data della targa è sbagliata: con i tempi che corrono anche troppo, direbbe lui… Potremmo provare a smentire il suo pessimismo, magari azzeccando la data.
Giorgio Pagano
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