Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Bella ciao. In ricordo di Mimma Rolla a 5 anni dalla scomparsa

a cura di in data 4 Dicembre 2021 – 22:50

Arcola, 13 Novembre 2021
Intervento di Giorgio Pagano

Ho scelto, per ricordare Mimma, di leggere alcuni passi di testi suoi, o di altri a lei dedicati.

LA LETTERA DI DOMENICO BRUNO ROLLA (1936)
“Cara nipote cerca di studiare e di non perdere la pazienza, perché lo so che gli studi sono duri”: sono le parole di una lettera di Domenico Bruno Rolla alla nipote Mimma, scritta il 30 maggio 1936 dall’esilio parigino. Rolla era un comunista arcolano, che durante il fascismo fu costretto a riparare in Francia per evitare l’arresto. Da lì partì per combattere il franchismo in Spagna a fianco dell’esercito repubblicano, e poi dalla Spagna per organizzare la resistenza etiope contro il fascismo italiano invasore. Nel 1936 Mimma era una bambina di nove anni (era nata il 14 maggio 1927). Lo zio Bruno aveva visto giusto: Mimma non era destinata solamente all’impegno antifascista, come da tradizione familiare, ma anche allo studio e alla ricerca. Diventò un grande medico, capace di coniugare sempre la dimensione scientifica e la dimensione umana.

LA DISUBBIDIENZA: UNA TESTIMONIANZA DI MIMMA NEL 1975
A sedici anni Mimma aderì al Fronte della Gioventù e cominciò a fare la staffetta per la Brigata garibaldina “Ugo Muccini”, con nome di battaglia “Aura”. Leggiamo brani della sua testimonianza, resa nel 1975 nel corso della manifestazione “Donne arcolane nella Resistenza”:
“Militavamo nel Fronte della Gioventù clandestino ed eravamo appena adolescenti. Il Fronte era un’organizzazione antifascista a cui partecipavano i giovani di diverse tendenze politiche. Ad Arcola noi ragazze, sentimentalmente, eravamo tutte comuniste, perché l’esempio costantemente coerente della lotta contro il fascismo veniva dai nostri familiari e dagli amici dei nostri familiari che erano comunisti… Eravamo sempre impazienti di fare ‘qualche cosa’ e non avevamo, invece, ancora imparato ‘la pazienza faticosa’ di chi sostituisce all’impulso la forza della ragione, che permette di legare in maniera scientifica l’analisi della realtà con l’azione da compiere nei tempi giusti, perché la realtà venga modificata… Era l’estate 1944. I partigiani operavano sui monti e nelle città. Il CLNP (Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale) ritenne comunque utile compiere in tutta la provincia un’azione irruente, atta a dimostrare all’avversario la presenza dell’organizzazione clandestina in tutto il territorio provinciale. Il mezzo scelto fu questo: nelle varie località doveva contemporaneamente comparire la scritta murale ‘W i Patrioti’. Al Fronte della Gioventù fu affidato questo compito. Successivamente fu dato il contrordine solo per quanto riguardava il Comune di Arcola, a causa dell’arresto di un compagno. Decidemmo allora, tra noi ragazze, a insaputa di tutti, di eseguire ugualmente le scritte murali… Malgrado la nostra giovane allegra fiducia, avemmo un’angosciante e giustificata paura. Ricordo che il gruppo di cui facevo parte, durante l’esecuzione delle scritte, si incontrò prima con una pattuglia tedesca e successivamente con una pattuglia della Decima Mas. Il nostro terrore comunque non ebbe il sopravvento. Riuscimmo con grande controllo a nasconderci in alcuni portoni e poi a proseguire il lavoro. Il giorno dopo i muri e le strade di Arcola erano segnate dalla rossa scritta ‘W i Patrioti’. La gente diceva che i partigiani erano scesi dai monti. Nel pomeriggio dello stesso giorno ci fu il rastrellamento e tra i rastrellati c’era mio padre. Tutti i prigionieri furono, fortunatamente, rilasciati durante la notte. Alcuni giorni dopo avemmo la forte riprovazione dei compagni dirigenti del CLNP per aver compiuto un atto di indisciplina”.
Mimma, al convegno, avrebbe potuto raccontare tanti altri episodi. Al Liceo Pacinotti, dove studiò, una mattina trovarono dei volantini antifascisti. Nel trambusto che seguì lei domandò: “Che cosa è successo?”. La risposta fu “Non sono cose da donna”: li aveva portati lei! Da staffetta consegnò molta corrispondenza clandestina ai compagni, a Spezia come a Sarzana, correndo non pochi rischi. Soprattutto avrebbe potuto raccontare della manifestazione che organizzò, insieme alle sue compagne, il 12 febbraio del 1945: fu una clamorosa protesta delle donne arcolane e sfollate finalizzata ad ottenere più pane e alimenti, che si tenne alla presenza del Podestà e che raggiunse il risultato. O, ancora, di quando, il 28 marzo 1945, fu ucciso dalle Brigate Nere a Pietralba il partigiano Enzo Fosella: Mimma e le altre donne partigiane organizzarono il funerale e sfilarono tutte con un fiore in mano, di fronte ai fascisti.
Probabilmente raccontò l’episodio delle scritte perché, sia pure segnato dall’indisciplina, fu il più generoso.
E’ un episodio rivelatore di un antifascismo “esistenziale”: un moto di ribellione spontaneo di una generazione che si affacciò alla vita e che, con entusiasmo a volte un po’ incosciente, fece la scelta morale di combattere per la libertà. E’ ciò che emerge anche nelle altre testimonianze di donne partigiane che ho raccolto nel libro mio e di Maria Cristina Mirabello “Sebben che siamo donne”, di cui anche Mimma è protagonista. Mimma, nel suo libro “La mia Resistenza. Memorie e riflessioni di una partigiana”, parlò di “impeto giovanile”. E, nel suo dialogo nel libro con Ione Nevia Ricco, che nella Resistenza fece la dattilografa, scrisse di “una scelta spontanea, connaturata con la sua morale di vita e il suo sentire”.

LA RESISTENZA COME APPARTENENZA A UNA FAMIGLIA
Mimma, nel suo libro, scrisse:
“Quello era il mio mondo, con le sue gioie, i disagi e le paure. In esso si svilupparono la mia affettività e la sensazione di appartenere ad una numerosa famiglia, dove mi sentivo accolta con amore e di cui assorbivo le scelte ideali. Questo senso di appartenenza mi è rimasto nel ricordo indelebile e forte come non l’ho mai provato all’interno di altre comunità che ho frequentato (la scuola, l’università, l’ospedale, etc.) Si è invece reso cosciente e concreto nel periodo della Resistenza”.
Viene in mente il discorso di Giorgio Amendola al funerale di Lucia Sarzi, la sorella di Otello, il grande burattinaio partigiano, partigiana legata ad Aldo Cervi e a Dante Castellucci “Facio”:
“C’è tutto un collegamento di ricordi politici, familiari e umani in questa nostra grande famiglia, in cui l’incontro politico non è mai soltanto incontro politico. E’ incontro tra uomini e donne che sentono che c’è una solidarietà umana, in cui si creano valori, si crea fraternità”.
Forse questo sentimento di appartenenza, di fraternità, è vissuto in modo ancora più forte dalle donne partigiane. In “Sebben che siamo donne” tutte dicono: “Però, è stato bello”. Perché per loro quei giorni furono “vissuti veramente da me”. E’ una generazione di donne che, come mai prima, irrompe nella storia, si assume una responsabilità, rischia e fa la scelta giusta. Come dice Mimma nel suo libro: “Le donne nella Resistenza hanno avuto il primo riscatto sociale”.
LA GENEROSITA’
La generosità fu il tratto essenziale di tutta la vita di Mimma. La famiglia affrontò grandi sacrifici per farla studiare -il padre fu licenziato per motivi politici nel 1951, mentre la madre era casalinga- prima al Liceo, poi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa, in tempi in cui la laurea era ancora un privilegio riservato a pochi e soprattutto uomini. Si specializzò in Endocrinologia, dedicandosi contemporaneamente alla clinica, alla ricerca e alla didattica, a Pisa e in collaborazione con molte altre Università. Si appassionò particolarmente all’adolescenza e, ispirandosi alle Unità operative per adolescenti presenti in Finlandia, pensò di creare in Italia un centro di riferimento per l’età evolutiva sul modello nord europeo: nacque così il Centro Adolescenti di Pisa, una realtà quasi inesistente in Italia -ora trasferito a Cinisello Balsamo- che va incontro alla sempre crescente domanda delle famiglie di giovani in fase di crescita. Come Primario di Fisiopatologia dell’Adolescenza, Mimma diresse un’equipe medica che operava all’insegna dell’interdisciplinarietà e che considerava i giovani pazienti globalmente, sia dal punto di vista fisico che psichico. Il Centro diventò da subito un importante punto di riferimento nazionale per una serie di patologie, in particolar modo per i disordini del comportamento alimentare. Mimma dedicò tutta se stessa ai suoi ragazzi.
In questo caso non cito un testo, ma una frase del cugino di Mimma, Elio, che mi è sempre rimasta impressa. Dopo la scomparsa di Mimma Elio ordinò le sue cose. Mi disse: “Le lettere più struggenti sono quelle dei suoi giovani pazienti”.
Andata in pensione, Mimma si impegnò come volontaria nella Pubblica Assistenza pisana. Un altro segno del suo altruismo e della sua filantropia, come il fatto che si facesse sempre pagare le visite pochissimo.

IL COMUNISMO
La generosità di Mimma è un tutt’uno con il suo comunismo. Nell’introduzione al libro Bianca Lena scrive che “la vicenda di Mimma si può sintetizzare in poche parole: è stata la vita di una vera comunista”. E’ certamente così. Leggiamo questo brano di Mimma:
“E’ tutto il giorno che porto dentro di me il canto dell’Internazionale come continuassi ad ascoltarla, come l’ho ascoltata ieri, 5 giugno 2010, durante il funerale di Paolino Ranieri, l’uomo, il comunista, il partigiano Andrea. Era tanto tempo che non udivo questo inno nelle cerimonie pubbliche o nei convegni dei comunisti italiani. L’avevano cancellato? Eppure è un inno molto bello, anche musicalmente. Ma ieri si è diffuso ancora nella Piazza Matteotti di Sarzana, avvolgendo il feretro e tutti noi in una profonda, antica e nuova commozione. Non era un’emozione nostalgica, ma ricca e possente nella sua memoria storica di passione e di lotta che non poteva interrompersi. Dovevamo continuare il cammino perché ‘un altro mondo è possibile’. Lo avevamo pensato nel passato, lo sentiamo oggi tenacemente, anche nella sconfitta”.
Sono parole che ci invitano ancora una volta a cercare di capire l’originalità del comunismo italiano, certamente legato a quello sovietico ma ad esso altrettanto certamente non riducibile. E a cercare di capire come mai la necessaria innovazione rispetto al Pci e ai suoi limiti ed errori abbia comportato non un passo in avanti ma la vera e propria distruzione di un patrimonio politico, culturale e umano.

UNA NUVOLA AZZURRA
Concludo con un ricordo di Mimma che ho chiesto a Maria Cristina Mirabello, figlia di Vega Gori “Ivana”, che fu staffetta partigiana e amica di Mimma, e di Giuseppe Mirabello “Apollo” dirigente del Pci:
“Probabilmente io l’ho vista in occasione di qualche manifestazione quando ero molto piccola (lei me lo disse quando da grande la conobbi) ma non la ricordo assolutamente. L’ho invece conosciuta quando sono andata a Pisa all’Università. Mia madre mi aveva detto “Non hai scuse, stai a Pisa di casa, vai a trovare la Mimma”, ma io nicchiavo perché mi sembrava un po’ buffo andare a portare i saluti dei miei. Un giorno (sono arrivata a Pisa nell’ottobre 1969) mi sono decisa. Era passato qualche mese ma faceva ancora freddo. Mi informo su dove riceve, vado al Santa Chiara, mi siedo nella piccola sala d’aspetto del suo ambulatorio e vedo una varia umanità. Io non avevo prenotazioni, insomma ero un pesce fuor d’acqua ma intorno a me c’erano persone con problemi endocrinologici anche gravi. Io non sapevo come fare: fermarla, un po’ maleducatamente, appena arrivava? Aspettare che tutti fossero stati visitati? Ma ci avrei perso una giornata, e dovevo studiare… Lei era in ritardo. Arrivò e mi resi subito conto del personaggio. Era una nuvola azzurra che camminava. Piccola, graziosa, vestita di un soprabito di renna azzurra con un incredibile collo di pelliccia dello stesso colore che ondeggiava con lei, le scarpe, altissime, incredibili, con cinturino intorno alla caviglia. Costituiva un insieme davvero particolare. Mi feci coraggio e le dissi: ‘Professoressa, mi scusi, prima che entri nel suo studio le dico soltanto che le porto i saluti di Ivana ed Apollo’. Rimase sorpresa, afferrò però subito i nomi, mi trascinò dentro esprimendomi il suo calore ed affetto, e dicendomi di ritornare, e quando, per parlare. Così feci. Negli anni di Università andai così qualche volta da lei. Era una donna frizzante, come intelletto e come fisicità, amabile, ma non zuccherosa, dotata di una forte capacità empatica, preparatissima nella sua materia. Arcola dovrebbe dedicarle qualcosa: ha aiutato tutti, ha aiutato gli arcolani e soprattutto le arcolane”.
Sono felice che la Sindaca di Arcola, introducendo il nostro incontro, abbia condiviso un auspicio che è di tutti noi.

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