La città rossa
Città della Spezia, 19 agosto 2018 – Marrakech è la “città rossa”: le sue mura e tutti i suoi edifici hanno un colore rosso ocra. Anche la città nuova, fatta di grandi piazze, viali alberati e moderni edifici, è stata costruita utilizzando materiali di questo colore. Già questo la rende una città unica al mondo.L’altro colore che colpisce il visitatore è il verde: dentro le mura ci sono le case, i monumenti, i mercati, ma anche molti giardini e spazi verdi, perché il Marocco è sì vicino al deserto ma è anche ricco d’acqua, proveniente dai fiumi che scendono dalle montagne dell’Atlante.
Sono stato a Marrakech per partecipare all’United Nations Public Service Forum su “TransformingGovernance for Realizing the Sustainable Development Goals”, un meeting mondialeorganizzato da Undesa, l’agenzia delle Nazioni Unite, sul tema dei cambiamenti necessari nella pubblica amministrazione per realizzare gli obbiettivi dell’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile. Io e l’amico Enrico Cecchetti, presidente dell’associazione Euap (Euroafrican Partnership), eravamo gli unici italiani presenti (impegnati nel nostro Paese e non, come altri, all’estero). Siamo stati invitati da Undesa, con cui collaborammo nell’organizzazione delle due Conferenze delle Autorità regionali e locali africane ed europee tenutesi a Firenze nel 2004 e nel 2009. Iniziative che ebbero il merito di comprendere che il decentramento amministrativo è uno strumento chiave per lo sviluppo locale, il buon governo e la partecipazione democratica in Africa. Da allora -Enrico in Euap, io prima in Anci e poi in Funzionari senza Frontiere, e ora anche in Euap, a cui collaboro da qualche mese- ci siamo sempre impegnati per sostenere il processo di autogoverno e autonomia locale in Africa, tramite il partenariato tra Autorità locali e regionali europee ed africane, gli scambi di esperienze, la formazione del personale dei nascenti Comuni africani. E perché il tema del decentramento cominciasse a trovare un posto sempre più importante nei documenti e nelle scelte delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e dei governi nazionali. Nelle Nazioni Unite, che sono pur sempre un’unione di Stati nazionali, la consapevolezza dell’importanza della governance locale è indubbiamente cresciuta, come dimostra anche il meeting di Marrakech.
Ne scriverò. Ma intanto il diario comincia conun omaggioalla città. Porterò sempre con me il ricordo del meeting e dei tanti volti delle persone presenti provenienti dai Paesi di tutto il mondo, ma anche quello di Marrakech, favoloso accampamento berbero ricco di storia e nel contempo straordinariamente al passo con i tempi.
Il caso ci ha portato subito nella piazza JemaaelFna. Per fortuna, perché non è solo una delle piazze più belle del mondo, ma è anche il cuore della città, da cui partire per capire la poesia dell’animo berbero di Marrakech, un mix di influenze sahariane e dell’Africa nera.Siamo stati di giorno, per poi andare nei suk e a visitare i monumenti, ma anche al tramonto, a cenare su una delle terrazze dei caffè intorno alla piazza. L’aspetto di JemaaelFna cambia durante la giornata. Di mattina e nel primo pomeriggio è sede di un grande mercato all’aperto, coloratissimo, profumato e rumoroso, con bancarelle che vendono di tutto, dalle stoffe ai datteri, dalle spremute d’arancia alle uova di struzzo. Nel tardo pomeriggio molti banchetti se ne vanno e ne vengono montati altri, che restano fino a notte. La piazza diventa ancora più affollata e sopraggiungonopersone dedite alle attività più svariate:le decoratrici di henné, le chiromanti, gli incantatori di serpente, gli ammaestratori di scimmie, i venditori di harira (il piatto tipico marocchino, a base di pomodoro, farina, lenticchie, ceci e pezzetti di carne),i danzatori, i cantastorie, i musicanti, gli acrobati, i maghi…
Nella piazza è subito cominciata, appena siamo arrivati, la contrattazione: con la guida che si è offerta per guidarci nei suq e nelle visite. In realtà, sopraffatti dal diluvio di parole, all’inizio non abbiamo contrattato ma ceduto su tutta la linea, accettando sia il prezzo della guida che quello dei negozianti del suq -naturalmente collegati alla guida- quando abbiamo acquistato l’olio di argan e il the alla menta. Abbiamo avuto un soprassalto di dignità comprando le t-shirt con il simbolo della città: il negoziante è partito “sparando” 40 euro, abbiamo concluso a 10. La contrattazione è un rito, non bisogna sottrarsi: da allora abbiamo sempre contrattato. Il venditore è pronto sempre a rilanciare, ma alla fine vuole vendere.
Visitare i suk è un’esperienza straordinaria, camminando tra vicoli stretti e negozi minuscoli. Quello di Marrakech non è il suq più grande del mondo, ma è quello con più negozi. Da non perdere la piazza delle spezie, quella dei farmacisti, il suq dei tintori, dove matasse di lana dipinta di tutti i colori seccano al sole sui muri, il suq dei lattonieri, dove i fabbri lavorano il ferro e la latta producendo oggetti affascinanti come le lanterne. E poi il suk dei fabbricanti di babbucce, quello dei negozi di strumenti musicali…
C’è anche il suk del quartiere ebraico,HayEssalam, ormai abitato da musulmani: i negozi dei gioiellieri sono molto belli. Qui siamo andati da soli, senza guida. Un sito internet dice di fare attenzione ai furti nella via principale del quartiere: l’avevo letto, ma la passione per la fotografia per un momento me l’ha fatto scordare. Mentre ero piegato a scattare la foto che vedete in basso, due ragazzi si sono avventati su di me, per prendere il portafoglio nella tasca dei pantaloni. Per fortuna Enrico, che era dietro, se ne è accorto e li ha messi in fuga urlando a perdifiato. Nell’indifferenza e nella confusione generale.
Usciti dal rumorosissimo suk ci siamo rifugiati all’interno del Palazzo della Bahia, una vera oasi di pace (si veda la foto in alto). E’ un capolavoro dell’architettura tradizionale marocchina: una dimora signorile -o meglio un harem di un signore locale- che comprende 150 stanze riccamente decorate con marmi, legno di faggio e cedro e stucchi, e diversi cortili e giardini interni lussureggianti di vegetazione, con cipressi, aranci, bananie gelsomini, e abbelliti con fontane.
Un’altra oasi di pace sono i Giardini Majorelle, ideati dal pittore francese Jacques Majorelle. Da amante della botanica, creò il giardino botanico ispirandosi a quelli tradizionali marocchini: il risultato è un bellissimo giardino tropicale intorno alla sua villa in stile moresco, quasi un giardino impressionista. L’artista creò il colore blu Majorelle, un blu cobalto con cui dipinse le pareti della villa. Lo stilista Yves Saint Laurente il suo compagno Pierre Bergé scoprirono il giardino nel 1966, durante il loro primo soggiorno a Marrakech, rimanendo incantati dalla struttura tanto da comprarla per viverci. Oggi è un parco, un luogo magico dove perdersi tra il canto degli uccelli, i fiori, le palme, i cactus, le cascate, i colori quasi psichedelici.
Qualche parola ancora sui monumenti principali. La moschea più importante di Marrakech è quella della Koutobia. Risale alla metà del 1100 ed ha un minareto alto 69 metri che domina l’intera città. Capolavoro dell’arte moresca, è una delle più vaste del mondo islamico. Molto belle sono anche le Tombe sadiane, dei sovrani nel XVI secolo. I mausolei sono due, con 66 tombe;il più sontuoso è costruito con marmo di Carrara e oro zecchino.
C’è poi la parte moderna. Palmeraie è uno dei luoghi più esclusivi della città, con campo da golf, ristoranti, alberghi, ville. I marocchini facoltosi esistono, non c’è dubbio. Sidi Ghanem è un’area ex industriale dove sono sorti molti negozi, soprattutto di design e di arte marocchina rivisitata. E’il nuovo quartiere alla moda, che attira sempre più visitatori amanti dell’arte. Marrakech infatti, sta diventando sempre più un polo d’attrazione per chi ama il design e l’arte contemporanea, grazie anche alla Biennale d’arte, giunta alla sesta edizione. Ecco il fascino di Marrakech: città berbera e nel contempo capitale del “lifestyle”, capace di dettare tendenze al pari di una grande capitale europea.
I contrasti sono molti. Ci sono i ricchi ma anche i poveri: subito dopo le ville di Palmeraie ci sono campi coltivati da poveri contadini.La città è molto pulita, più pulita della media delle città italiane. Ma camminando si sente spesso un odore di fogna: sopra la città è curata, nel sottosuolo mancano i servizi. Le donne che si incontrano per strada sono diversissime: c’è chi ha il niqab, il velo integrale che copre il corpo e il volto, lasciando scoperti solo gli occhi; chi lo hijab, il velo che lascia coperto solo il capo, non il volto e le spalle; chi si veste all’occidentale, come le ragazze con le gonne corte e il piercing. Ma nonostante i passi in avanti ledonne vivono ancora in una condizione di palese inferiorità rispetto agli uomini, retaggio di antichissime condizioni culturali.
Non va dimenticato, poi, che Marrakech non è tutto il Marocco. Esistono le zone rurali, molto più povere. In Marocco il 17% della popolazione non ha l’acqua potabile (40% nelle zone rurali), il 30% non ha servizi igienici (48% nelle zone rurali), un marocchino su sette vive sotto la soglia di povertà. La fuga dei giovani verso l’Europa si spiega così. Ma del Marocco, paese giovane, contraddittorio, aperto al mondo ma ancora molto maschilista, in crescita ma ancora molto povero, scriverò ancora.
Post scriptum:
Sulla mia collaborazione con Undesa – Onu si legga l’articolo del 10 novembre 2009 “Così gli enti locali possono aiutare l’Africa”, leggibile su www.associazioneculturalemediterraneo.com
Giorgio Pagano
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