Vita e morte del “Tenente Piero”, un cavaliere antico
Città della Spezia, 7 aprile 2024
Piero Borrotzu, nato nel 1921 a Orani (Nuoro), era cresciuto imbevuto di fascismo, come tutti i giovani educati nel ventennio. Fu un bambino e poi un ragazzo vivace, un po’ indisciplinato: qualche bocciatura, qualche sette in condotta… Ma poi si diede come obiettivo l’Accademia Militare di Modena, e riuscì a superare la selezione: quindi scelse consapevolmente la dura e difficile carriera militare. Le lettere alla madre Clotilde Del Bene – ostetrica nata a Vezzano Ligure – e alla fidanzata Maria Teresa Cossu si soffermano sui sacrifici che questa scelta comportava.
Eppure dopo l’8 settembre 1943 scattò in Piero la rivolta, come in tanti altri soldati che pure avevano conosciuto solo l’obbedienza al fascismo. Il re e il governo Badoglio firmarono finalmente, dopo tante incertezze, l’armistizio con le forze antinaziste, ma lo fecero nel peggiore dei modi: fuggirono nel Sud già liberato e lasciarono l’esercito allo sbando, proprio “in quell’ora decisiva” in cui, come scrisse il generale Cadorna, “la salvezza poteva venire soltanto dall’esercito“, che avrebbe dovuto svolgere la funzione di estrema autorità a tutela del Paese, saldandosi con la popolazione e con le forze antifasciste.
Ma nulla di tutto questo accadde. Piero, l’8 settembre, si trovava a Milano e voleva fare il suo dovere. Il giorno dopo contrastò due ufficiali tedeschi che, su una macchina lanciata a grande velocità, cercavano di imporsi nella zona di sua giurisdizione. Lui li bloccò con una autoblinda, li disarmò e li condusse dai suoi superiori. Che però liberarono i due tedeschi e lo punirono con una nota di demerito. Piero, indignato, fuggì verso Monza con un camion pieno d’armi, ma anche la caserma di Monza si arrese ai tedeschi senza opporre resistenza. Lui fuggì ancora, e per un mese trovò ospitalità presso una famiglia antifascista. Cercò contatti con i primi, troppo esigui, nuclei di resistenza a Bergamo, poi tornò a Monza e scrisse ad Antonio Ferrari, marito di una sua cugina di Vezzano. Ferrari era parte attiva, a Vezzano, del “gruppo Bottari”, guidato dal colonnello Giulio Bottari che, reduce dalla Russia, l’8 settembre si trovava in licenza. Piero decise di raggiungere Vezzano e di unirsi al gruppo.
A VEZZANO
Antonio Ferrari ha raccontato la storia di Piero e del gruppo, vicino al Partito socialista, poi a Giustizia e Libertà, in una testimonianza importante.
Borrotzu svolse un ruolo decisivo per rafforzare il gruppo. Mentre Bottari prendeva accordi a Follo con il parroco don Carlo Borelli, Giorgio Tonelli e Orazio Montefiori, Piero avvicinò a Sesta Godano i tre fratelli Bonanni, il direttore didattico Tincani, le tre sorelle Rossi e, ad Airola, l’ingegner Corna che, quando “Tenente Piero” salirà ai monti, gli fornirà le carte topografiche e soprattutto l’assistenza morale. Inoltre si recò a Parma, e a dicembre convinse il suo compagno di Accademia Franco Coni, cagliaritano, a raggiungere Vezzano, accolto anch’egli da Ferrari. Verso gennaio Coni costituì la Ia Compagnia, nella zona di Follo.
Piero, anche per emulare Coni, progettò un’azione al ponte ferroviario di Fornola: il 12 febbraio raggiunse un accordo con il gruppo santostefanese di Primo Battistini “Tullio” (allora “Tenente”), stanziato sopra Tresana. Battistini prima non si fidò, poi si lasciò convincere. Il piano era previsto per il 16 notte, ma saltò a causa di una spia infiltrata tra i partigiani, Paita. Piero riuscì però ad avvisare gli uomini già pronti ad agire, nascosti in una capanna, che si misero in salvo.
Il podestà Biagini parlò con Paita e avvertì il famigerato Aurelio Gallo, il più sadico tra i fascisti spezzini, che raggiunse Vezzano: riuscì ad arrestare Luigi Dallara ma non Piero. La cugina Maria Bonelli, moglie di Antonio Ferrari, nascose i documenti nel seno e ingannò Gallo. Quest’ultimo afferrò con le mani qualcosa di rotondo e si illuminò in viso: aveva trovato le prove! Fece grande attenzione per paura dello scoppio, ma poi si accorse che non erano bombe ma palle di Natale.
I fascisti se ne andarono scornati poco prima che arrivasse Piero. Vezzano fu seminato di spie, tra cui il parroco don Emilio Ambrosi. Una fotografia di Borrotzu fu esposta in una vetrina di corso Cavour a Spezia con sotto la dicitura “Il traditore”.
IN ALTA VAL DI VARA
Piero si nascose alla Spezia, poi si spostò in Alta Val di Vara. Cesare Godano “Gatto”, partigiano giellista, così lo ricordava nel libro “Paideia”:
“Piero alto, aitante, un ‘bel ragazzo’: le ragazze andavano pazze per il ‘Tenentino’, come lo chiamavano parlando fra di loro. Composto, corretto nei movimenti e nel vestire, sia pure nelle condizioni in cui vivevamo, ordinato; lo sguardo serio, profondo, traluceva la determinazione interiore che sorreggeva le parole e i comportamenti”.
La banda del “Tenente Piero” si insediò nella zona di Antessio, Airola e Chiusola. Qui si contraddistinse, il 25 marzo, per l’assalto alla caserma fascista di Carro, dove fece incetta di armi. Piero e i suoi si mossero verso Groppo, inseguiti dai fascisti. Una spia rivelò dove dormivano. Furono circondati. Borrotzu riuscì a fuggire e uccise un milite, ma in tre, il 26 marzo, trovarono la morte: il barese Stefano Giovannello, l’aretino Arrigo Scopecchi e Hans di Colonia, disertore tedesco.
C’è chi ha scritto: furono i primi partigiani uccisi in provincia. A Tresana (MS), il 30 gennaio, era stato ucciso un polacco del gruppo santostefanese di “Tullio”. Sul Monte Barca (MS) e a Valmozzola (PR), il 14 e il 17 marzo, erano morti in 11, tra cui tre russi. Il 18 marzo i fascisti avevano ucciso in un attentato a Sarzana il capo dei gappisti sarzanesi Arturo Bacinelli. C’erano stati, ancor prima, i due operai uccisi nella manifestazione del 29 luglio, i soldati e i civili uccisi dopo l’8 settembre, i due inglesi dell’operazione Speedwell caduti il 21 settembre. Poi i quindici americani dell’operazione Ginny trucidati lo stesso 26 marzo. Se si vuole parlare di partigiani caduti combattendo nel territorio provinciale, sì, i tre della banda del “Tenente Piero” furono i primi. Ma notiamo quanti furono già in quelle prime settimane: tanti, troppi. E notiamo quanti furono gli stranieri caduti: danno il senso di un movimento contro il nazifascismo che fu davvero internazionale.
L’arrivo della realtà della morte colpì Piero. Scrisse Godano:
“Piero era afflitto, prostrato da un sentimento di colpa. Si sentiva responsabile della fine di quelli che si erano affidati a lui come comandante, per i quali si era posto come esempio da imitare”.
Comprendiamo Piero. Ma il rischio della morte era implicito nella scelta partigiana. Non era di Piero la colpa. Può darsi che quello stato d’animo non lo abbia reso lucido. Forse commise qualche errore.
Il 3 aprile il comando tedesco spezzino decise un rastrellamento in Alta Val di Vara, a cui parteciparono i militi della X Mas. Dai documenti a firma Franz Turchi, prefetto repubblichino, capiamo quanto i fascisti spezzini – e anche massesi e carrarini – fossero coinvolti.
All’alba del 5 aprile i nazifascisti giunsero a Chiusola e radunarono la popolazione nel sagrato della chiesa per una rappresaglia.
Nel bel documentario “Una Storia due vite”, realizzato da Marina Moncelsi con l’associazione culturale Janas, dedicato a Borrotzu e all’amico partigiano sardo Antonio Mereu “Attila”, si può ascoltare il racconto di Pietro Greppi, che fu con “Tenente Piero” la sera prima:
“Eravamo nella cantina di mio padre, abbiamo bevuto un bicchiere di vino. Piero disse: ‘vado a dormire dalla signora Maria perché non mi sento troppo bene, non vado dai miei uomini’”.
Eppure Piero era stato informato del rastrellamento. I suoi uomini si salvarono, lui no. Perché le colonne che salivano da Zeri non furono avvistate? Anche se, ancora una volta, secondo Greppi, pesò una spiata.
Quando arrivarono i nazifascisti, Piero avrebbe potuto salvarsi:
“Ad un certo momento, dalla parte alta dell’abitato, vedo venir giù Piero, con indosso un impermeabile chiaro. Per salvare noi, lui aveva rinunciato a fuggire. Aveva scelto di consegnarsi ai carnefici”.
Fu portato via, pestato a sangue, poi ricondotto nel sagrato e fucilato dai fascisti, su ordine dell’ufficiale tedesco, che lo finì con un colpo alla nuca. Prima di morire Piero scattò sull’attenti e gridò “Viva l’Italia libera!”.
L’AMORE, LA VENDETTA, LA GIUSTIZIA
Sempre il 5 aprile altri tre uomini delle bande del “Tenente Piero” e di “Beretta” – il parmense Elio Pavesi, il ragusano Giovanni Salice e il cosentino Salvatore Icones – furono catturati dai tedeschi e fucilati in piazza a Sesta Godano. Altri due partigiani, furono uccisi dopo un feroce interrogatorio e i loro corpi abbandonati vicino al passo di Cento Croci. Ecco il ricordo di Paolo Acerbi sulla fucilazione a Sesta Godano:
“’Tutti in piazza! Fuciliamo tre banditi! Dovete assistere tutti!’. Così gridò a me e a mia mamma una delle Brigate Nere che, mitra in pugno, ordinava alla gente di partecipare allo “spettacolo”. […] Pare che uomini della Decima e repubblichini discutessero per far parte del plotone. Tutti volevano partecipare”.
La mamma Maria pianse per le mamme che non c’erano. In lei c’era l’amore che è di tutte le madri.
La Maria aveva aiutato Piero, come mi ha raccontato Tino, fratello di Paolo e partigiano con Franco Coni, in “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona operativa, tra La Spezia e Lunigiana”:
“Piero era stato accompagnato dalla mamma da Silvio Tosi, un ufficiale dei carabinieri antifascista… Lei gli diede coperte, indumenti e pagnotte… Ricordo che passava dietro casa, sui campi, per non farsi notare”.
Quando Laura Borrotzu, la sorella, nel 1945 venne a Chiusola a prendere la salma del fratello dormì dalla Maria.
Il “Tenente Piero” è ricordato, da allora, ogni anno. La salma fu esumata il 25 maggio 1945. Il 26 si tennero i funerali a Sesta Godano, il 27 a Vezzano, dove Piero fu sepolto. Laura portò la salma da Chiusola a Sesta Godano e a Vezzano. Le foto dei funerali a Vezzano – provenienti dall’archivio di Laura – dimostrano l’affetto di popolo verso il “cavaliere antico”, come Piero è definito nella lapide. Imponente fu anche la partecipazione popolare al corteo funebre a Sesta Godano.
Morto Piero, nuovo comandante del gruppo divenne Franco Coni.
Così, secondo la testimonianza di Aldo Farina, si espresse uno degli uomini della banda, Gabriele Sartelli:
“Una furia di vendetta, di pianto e rabbia, ma di fare qualcosa di nuovo, di valido, ci aveva preso, dopo l’uccisione del Tenente Piero. Le baracche erano state la sua morte, il suo errore per salvare la popolazione. Bisognava diventare veramente dei banditi, degli erranti: cambiare sempre”.
Da allora il nome di battaglia di Gabriele Sartelli fu “Vendetta”.
Il 27 giugno 1944 una squadra del Picelli al comando di Dante Castellucci “Facio” – la banda si era spostata in Val di Vara dal parmense, dopo l’eroica battaglia del Lago Santo del 18-19 marzo – catturò a Rio il podestà Tullio Bertoni e procedette alla sua fucilazione. Bertoni era stato il promotore più acceso dell’azione repressiva che aveva portato alla morte del “Tenente Piero”.
Guido Darello, l’ultimo pastore del Gottero, si emoziona ancora quando racconta che accompagnò il “Tenente Piero”, il 4 aprile 1944, a Chiusola da Canaverbone, mentre proveniva da Groppo.
Guido dà voce alla memoria popolare ancora viva:
“Piero ha salvato Chiusola. Facio ha fatto giustizia. Facio ci avrebbe difeso nel rastrellamento di agosto”.
“Facio” rappresenta la giustizia. Quando, a Sesta Godano, catturò “Pietrin” e stava per fucilarlo, la Maria si precipitò da lui: “Comandante, lei ha la fama di essere un uomo duro ma onesto. Non si macchi di un crimine. Non posso negare che quest’uomo è un fascista, ma non è una spia. Lei deve credere a me, e lasciarlo andare”.
“Facio” lo lasciò veramente andare. Anzi, lo consegnò alla Maria.
Post scriptum
Sul “Tenente Piero” rimando agli articoli di questa rubrica:
“Il Tenente Piero e le filandine Elvira e Dora”, 4 maggio 2014;
“La signora senza nome, il comandante, la madre”, 25 aprile 2021;
“Autunno 1943. L’arrivo di Piero Borrotzu e di Gordon Lett, le bombe e gli attentati a Vezzano e a Sarzana”, 30 ottobre 2023;
e agli articoli della rubrica “Diario dalle Terre Alte”:
“Arte, cibo, natura e memoria nei paesi del Gottero”, 13 settembre 2020;
“Storie di Guido, l’ultimo pastore”, 20 settembre 2020.
Questo il mio intervento alla manifestazione per il centenario della nascita:
https://www.associazioneculturalemediterraneo.com/sp/economia-societa-politica-anticorpi-alla-crisi/commemorazione-di-piero-borrotzu-sesta-godano-4-giugno-2021/
Su “Facio” rimando al mio ultimo articolo:
https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/anniversari/la-battaglia-del-lago-santo-tra-storia-e-leggenda/
Su tutte le altre persone e vicende citate rimando al Dizionario online sulla Resistenza spezzina e lunigianese:
https://www.associazioneculturalemediterraneo.com/sp/dizionario-online-della-resistenza-spezzina-e-lunigianese/
lucidellacitta2011@gmail.com
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