Utoya, piazza Verdi e la città davvero intelligente
Città della Spezia, 23 ottobre 2016 – Una smart grid, una rete dell’illuminazione pubblica intelligente, un piano di telecamere multitasking, un piano per il wi-fi gratuito nei parchi pubblici, un‘app per i parcheggi: prese da sole sono certamente buone pratiche da realizzare, utili a innalzare il livello di qualità della vita dei cittadini. Ma una città è smart (intelligente) non solo e non soprattutto se usa queste tecnologie. Sono considerazioni che faccio da qualche tempo, e che mi sono tornate in mente leggendo i dati di ICityrate 2016, la classifica nazionale delle città smart redatta da Forum PA. Spezia ha un’onorevole 39° posto su 106 capoluoghi, un risultato dovuto soprattutto alle tecnologie nel campo della mobilità e della misurazione della qualità ambientale. Non sottovaluto tutto ciò: anch’io, lavorando a redigere in questi anni i Piani strategici di tante città e “aree vaste” italiane -ma anche palestinesi e africane-, ne ho tenuto conto, e ho inserito dentro i Piani strategici anche i “Piani regolatori dell’innovazione e della connettività” o le “Agende digitali” (si veda, in questa rubrica, “La scommessa delle città intelligenti”, 1° aprile 2012). Ma progressivamente sono diventato un po’ scettico, perché ho visto che la “moda” delle città smart aggirava il nodo reale: una città è davvero intelligente quando è trasparente e partecipata.
Mi ha fatto piacere leggere considerazioni analoghe in un recente articolo su “Italianieuropei” di Matteo Lepore, bravo assessore del Comune di Bologna, che conobbi qualche anno fa -io ero segretario della Rete delle Città Strategiche, diventata in seguito Dipartimento Pianificazione Strategica urbana dell’Anci, l’Associazione dei Comuni- quando la città emiliana cominciava il lavoro per il suo Piano strategico. Ecco le sue parole: “La stagione dell’entusiasmo per il tema ‘smart’ si sta esaurendo anche in Italia, mentre player tecnologici e grandi piattaforme digitali private rimangono fortemente interessati a monopolizzare mercati, aggregare grandi quantitativi di dati, acquisire commesse pubbliche e, in alcuni casi, condizionare assetti geopolitici. Da un lato le istituzioni pubbliche hanno perso il contatto con la comunità, dall’altro i driver tecnologici dello sviluppo basano sulla conquista delle comunità il loro oligopolio. A quando una visione dove le reti e le tecnologie siano messe effettivamente a servizio esclusivo del bene comune e dei cittadini? Dovendo dare una definizione di ‘intelligenza’, definirei tale l’immaginazione di un futuro per le nostre comunità fondata sulla sostenibilità durevole, la resilienza, la creazione di valore aggiunto e la promozione dei diritti umani. Negli ultimi cinque anni in Italia, se vogliamo essere franchi, quando abbiamo trattato il tema smart city abbiamo girato attorno al problema… Se ci riflettiamo, la dotazione tecnologica e le reti infrastrutturali rappresentano un elemento necessario ma non sufficiente per definire ‘intelligente’ un’idea di governo territoriale. Al contrario, una visione politica ‘intelligente’ dovrebbe essere in grado di fermare o riconvertire, ad esempio, scelte infrastrutturali sbagliate o non più attuali. Di proporre un nuovo metodo di gestione delle scelte, trasparente e realmente partecipato quando parliamo di opere indispensabili per le generazioni che verranno… L’intelligenza civica non può più essere esclusa dai processi decisionali e gestionali. Per intelligenza civica intendo il combinato disposto di due elementi fondamentali nella mia esperienza di amministratore e osservatore. Penso al valore intrinseco rappresentato dalla comunità locale e al valore trattenuto nei beni comuni attorno ai quali essa vive e si alimenta. Alle istituzioni pubbliche spetta il compito di dare forza a questa prospettiva, di indirizzare le scelte di governo e rafforzare le aree proprio come piattaforme abilitanti per gli individui e le comunità… Certe tecnologie, spesso già superate nel tempo che intercorre tra la programmazione e la realizzazione, rischiano di rimanere ‘investimenti bandiera’ o miraggio per le piccole comunità, generando sperequazioni e sprechi, rischiano di allargare la forbice tra chi può e chi non può. Di più ancora, tali interventi rischiano di rispondere maggiormente a una strategia commerciale finanziata con risorse pubbliche, piuttosto che alle vere esigenze della comunità. Una spinta alla standardizzazione a scapito dell’autenticità”. Poi Lepore cita Londra, smart city per eccellenza ma anche, con Boris Johnson Sindaco, capitale delle speculazioni immobiliari e dell’aumento delle diseguaglianze sociali, e conclude così: “Anche nel caso delle smart city, fermiamoci e cambiamo direzione prima che sia troppo tardi”.
Non c’è dubbio: quel che serve è soprattutto l’intelligenza civica. Forse un altro bravo assessore, lo spezzino Alessandro Pollio, con delega sia alla smart city che alla partecipazione, si è dimesso dalla Giunta e poi anche dal Pd proprio perché si è accorto che era impossibile “cambiare direzione”.
Mentre leggevo la classifica di ICityrate mi è capitata tra le mani un’altra notizia. Ricorderete che il 22 luglio 2011 la Norvegia subì una serie di gravi atti terroristici. L’allora trentaduenne Anders Breivik piazzò una bomba davanti alla sede del Governo a Oslo; quello stesso giorno sparò tra gli ospiti di un campo estivo organizzato dal Partito laburista norvegese, colpendo a morte 69 giovani sulla vicina isola di Utoya. Alla fine, furono 77 le vittime. Pochi mesi dopo la strage, il Governo norvegese decise che sui luoghi degli attacchi sarebbe sorto un monumento nazionale. Continue polemiche però hanno ritardato l’inizio dei lavori e adesso minacciano la realizzazione stessa del memorial. Nel 2013 otto finalisti, selezionati tra i partecipanti al concorso internazionale di idee bandito dal Governo, presentarono le loro proposte, e nel febbraio dell’anno successivo l’artista Jonas Dahlberg venne scelto per creare tre monumenti commemorativi, il primo dei quali destinato alla penisola di Sorbraten, di fronte all’isola di Utoya. La proposta di Dahlberg per il monumento rievoca la ferita inferta dagli attacchi terroristici attraverso una fenditura incisa nel paesaggio. Il suo progetto, infatti, prevede un percorso di circa dieci minuti nel bosco. La fine del sentiero conduce a un tunnel che si affaccia su un canale d’acqua: un promontorio creato artificialmente dalla fenditura, da cui è possibile leggere i nomi dei caduti, incisi nella pietra. Secondo il progetto, la pietra scavata a Sorbraten per realizzare l’apertura nella roccia sarà esposta a Oslo. Ma i residenti di Sorbraten si sono detti contrari alla realizzazione del monumento perché l’opera deturperebbe il paesaggio naturale.
Naturalmente non entro nel merito della qualità del progetto: qui mi interessa rilevare, come ho fatto in più occasioni a proposito della nuova piazza Verdi, quanto sia problematico procedere con i concorsi di idee ed evitare la procedura partecipativa. Gli artisti e gli amministratori -nel nostro caso Daniel Buren e la Giunta spezzina- sono avvertiti: quando un’opera è consegnata in questo modo al suo pubblico, è quest’ultimo che ne determina il destino. La accetta, o, come in Norvegia, la rifiuta definitivamente. Il dibattito pubblico e il coinvolgimento dell’intelligenza civica sono sempre necessari.
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