“Una persona viene dimenticata soltanto quando viene dimenticato il suo nome”
Città della Spezia, 4 febbraio 2024
Da lunedì 29 gennaio anche La Spezia ha le Pietre d’Inciampo.
Si tratta di un monumento alla memoria delle vittime dei campi di sterminio nazisti diffuso in tanti Paesi europei, costituito da blocchetti di pietra di piccole dimensioni, di ottone lucente, sui quali sono incisi nome, cognome, data di nascita, data e luogo di deportazione e data di morte nel campo. Le Pietre si collocano sul selciato stradale delle città davanti all’ultima abitazione, dove la vittima ha vissuto da persona libera oppure nel luogo dove fu fatta prigioniera o lavorava.
In piazza Garibaldi, dove è stata posata la prima Pietra, sono intervenuti il Sindaco e Doriana Ferrato, presidente dell’ANED spezzina, l’associazione degli ex deportati nei campi.
Doriana ha ricordato che la posa delle Pietre preso avvio nel 1992 da un’idea dell’artista tedesco Gunther Demnig, quando fu invitato a Colonia per un’installazione sulla deportazione di cittadini rom e sinti. Quel giorno una signora del quartiere lo fermò per dirgli che nessun rom o sinti aveva mai abitato in quelle case: la donna non conosceva o forse non ricordava la storia dei suoi vicini di casa. L’episodio fece capire l’importanza di impedire ogni forma di oblio, negazionismo e indifferenza di fronte alle vittime dello sterminio nazista. L’artista decise così di dedicare il suo lavoro alla ricerca e alla testimonianza dell’esistenza delle vittime.
E’ nato in questo modo il monumento alla memoria più grande del mondo, perché diffuso in tantissimi luoghi – in Italia dal 2010; e anche la più grande installazione artistica del mondo – più di 62 mila Pietre. L’inciampo a cui l’artista aspira è quello visivo, emotivo e mentale. Quando si inciampa si rallenta, ci si guarda attorno, si sta attenti. Questo è quanto vuol suscitare l’opera: riflessione e attenzione.
Le Pietre rappresentano le lapidi dei tanti morti che non hanno trovato sepoltura. Lunedì mattina i parenti delle vittime, commossi, hanno detto: “E’ come se fossero tornate a casa loro”.
Gunter Demnig ha ripreso l’idea forse da un passo della Bibbia e della Lettera di San Paolo ai Romani :“9.33 – Ecco io pongo nella città di Sion una pietra di inciampo un sasso che fa cadere. Ma chi crede in lui non sarà deluso”. Certamente – lo ha affermato lui stesso – da un passo del Talmud: “Una persona viene dimenticata soltanto quando viene dimenticato il suo nome”.
La Pietra lucida, grazie all’ottone, distoglie la nostra passeggiata, ci fa soffermare a leggere, a comprendere e, soprattutto, a ricordare. Una Pietra per non dimenticare e per dire “Mai più”, hanno detto il Sindaco e Doriana Ferrato. Per ricordare che i deportati hanno lottato e sacrificato la vita per la loro libertà e la nostra e che la libertà non è data una volta per sempre ma va custodita, coltivata e difesa.
585 DEPORTATI SPEZZINI
I deportati spezzini furono 585, i caduti 242. In gran parte erano deportati politici. Gli ebrei deportati furono 14, tutti caduti: costituivano, secondo una ricerca di Adolfo Aharon Croccolo, il 15% della comunità ebraica spezzina.
Molti deportati erano stati rastrellati a Migliarina, quartiere operaio teatro di diverse azioni partigiane, il 21 novembre 1944. Gli arrestati furono più di 250: operai, commercianti, professionisti, agenti di polizia, sacerdoti. Tutti sospettati di avere in vario modo favorito le formazioni ribelli. Qualcuno non c’entrava nulla con la Resistenza. Ma tutti furono incarcerati, costretti a firmare confessioni tramite tortura e poi avviati alla deportazione. Una sorta di “punizione collettiva”.
La morte fu per mano nazista, ma l’arresto, le torture e l’avvio alla deportazione furono per mano fascista. Ecco perché, alla Spezia, la memoria della deportazione è antifascista forse ancora più che antinazista.
LE PIETRE D’INCIAMPO ALLA SPEZIA
La cerimonia è iniziata in piazza Garibaldi 2, dove è stata dedicata una Pietra ad Alfredo Umberto Righetti (1892). Arrestato l’8 agosto 1944 insieme alla moglie Zita Calzetta da fascisti alla ricerca del figlio partigiano Giorgio – di Giustizia e Libertà – entrambi furono incarcerati a Villa Andreino, trasferiti al carcere genovese di Marassi e poi al campo di Bolzano. Zita fu trattenuta a Bolzano fino alla liberazione. Alfredo fu deportato a Mauthausen il 20 novembre 1944, quindi trasferito nel sottocampo di Gusen, dove morì il 6 gennaio 1945.
In via Roma 106 la Pietra ricorda Dario Derchi (1893). Commerciante, fu arrestato il 25 novembre 1944 con l’accusa di fornire generi alimentari ai partigiani. Imprigionato nella caserma XXI Reggimento Fanteria, divenuta dopo l’8 settembre 1943 carcere fascista e luogo di tortura della Repubblica Sociale italiana, fu trasferito a Marassi, a Bolzano e da lì, il primo febbraio 1945 a Mauthausen e poi a Gusen dove morì il 7 marzo 1945.
In via Raffaele De Nobili 79 due Pietre ricordano madre e figlio, Amelia Giardini Paganini (1882) e Alfredo Paganini (1918).
La mamma, presidente delle donne cattoliche e della Protezione della Giovane alla Spezia, non aderì mai al partito fascista. Dopo l’8 settembre 1943 offrì nella sua casa ospitalità e aiuto ai partigiani. La notte tra il 2 e il 3 luglio 1944 fu arrestata assieme alle figlie Bianca e Bice come conseguenza della cattura del figlio Alfredo, partigiano di Giustizia e Libertà. Incarcerata a Villa Andreino, trasferita a Bolzano, fu deportata, assieme alle figlie, nel campo femminile di Ravensbruck dove morì, probabilmente, il primo gennaio 1945.
Alfredo Paganini, laureando in medicina presso l’Università di Genova, aderì a Giustizia e Libertà e operò assieme al fratello maggiore Alberto nella IV Zona operativa al comando del colonnello Fontana. Sceso in città per procurare medicinali, fu accerchiato dai fascisti in piazza Garibaldi in seguito a una delazione e arrestato il 2 luglio 1944. Detenuto a Villa Andreino e poi a Genova nella Casa dello studente, dove venne torturato, fu trasportato al campo di Fossoli, quindi a Bolzano, a Dachau, a Flossenburg e infine nel sottocampo di Hersbruck, dove venne masacrato di botte e ucciso il 6 dicembre 1944.
In via dei Mille angolo corso Cavour una Pietra è dedicata a Elvira Finzi (1873). Di famiglia ebrea, durante la guerra aveva in gestione, in piazza del Mercato, un’edicola di giornali. Il 2 febbraio 1944 fu arrestata, inviata a Fossoli e da lì il 22 febbraio deportata ad Auschwitz, dove fu uccisa il 26 febbraio, giorno dell’arrivo nel campo.
Altre pietre sono state posate nelle vie del quartiere di Migliarina.
In corso Nazionale 348 la Pietra ricorda Fernando Beconcini (1902). Commerciante, il 21 novembre 1944 fu arrestato con l’accusa di fornire vettovaglie ai partigiani. Imprigionato a Marassi fu trasferito a Bolzano e quindi deportato il 14 dicembre 1944 a Mauthausen e poi nel sottocampo di Melk, dove morì il 2 marzo 1945.
In corso Nazionale angolo via Parma due Pietre sono dedicate ad Antonio Virdis e a Giotto Peschiera.
Antonio Virdis (1896), impiegato archivista che non aveva mai collaborato con i partigiani, fu arrestato il 22 novembre 1944, incarcerato nella caserma XXI Reggimento Fanteria, trasferito a Marassi e poi a Bolzano. Il primo febbraio 1945 fu deportato a Mauthausen, quindi a Gusen, dove morì il 17 marzo 1945.
Giotto Peschiera (1924), capostazione alla stazione di Migliarina, fu arrestato il 15 ottobre 1944, accusato falsamente di collaborazione con i partigiani. Incarcerato nella caserma XXI Reggimento Fanteria, trasferito prima a Marassi, poi a Bolzano, il 14 dicembre 1944 fu deportato a Mauthausen, quindi a Melk, dove morì l’8 marzo 1945.
In via Buonviaggio angolo via Sarzana una Pietra è stata dedicata a Vitruvio Ricciardi (1927), operaio dell’OTO Melara, che non aveva mai collaborato con i partigiani. Catturato il 24 novembre 1944, imprigionato e torturato alla caserma XXI Reggimento Fanteria, trasferito a Marassi, quindi a Bolzano, il primo febbraio 1945 fu deportato a Mauthausen e poi a Gusen 2, dove morì il 18 aprile 1945.
Presso l’ex sede della Questura, nel Palazzo della Provincia, quattro Pietre sono state collocate in ricordo di funzionari e guardie di Pubblica Sicurezza.
Nicola Amodio (1898), Commissario di Polizia, fu arrestato il 29 novembre 1944 nel suo ufficio in Questura, con l’accusa di fornire notizie e documenti alla Resistenza. Interrogato e torturato nella Caserma XXI Reggimento Fanteria, trasferito a Marassi e poi a Bolzano, fu deportato il primo febbraio 1945 a Mauthausen, dove morì il 4 marzo 1945 .
Lodovico Vigilante (1882), Commissario di Polizia, catturato il 23 novembre 1944 nella sua abitazione con l’accusa di fornire notizie e documenti alle forze della Resistenza, fu interrogato e percosso alla caserma XXI Reggimento Fanteria. In difficoltà per le precarie condizioni fisiche, venne brutalmente spintonato nella zattera diretta a Marassi e si fratturò le gambe. Trasferito a Bolzano, il primo febbraio 1945 fu deportato a Mauthausen, dove morì il 6 febbraio 1945.
Annibale Tonelli (1913), Guardia di P.S., fu arrestato il 26 novembre 1944 mentre si recava in ufficio, portato alla caserma XXI Reggimento Fanteria e torturato per estorcergli nomi di colleghi antifascisti. Trasferito a Marassi, quindi a Bolzano, il primo febbraio 1945 fu deportato a Mauthausen, dove morì il 31 marzo 1945.
Domenico Tosetti (1924), Guardia di P.S., fu arrestato il 15 ottobre 1944 e portato nella caserma Sergio Bronzi in via XX Settembre. Trasferito a Marassi e poi a Bolzano, il primo febbraio 1945 fu deportato a Mauthausen e quindi a Gusen fino alla liberazione. Sopravvisse grazie alla sua grande forza fisica.
BOLZANO E L’IMPUNITA’ DEGLI AGUZZINI
Ho già raccontato in qualche occasione che cosa fu il XXI Reggimento Fanteria alla Spezia: un terribile luogo di tortura.
Oggi racconterò che cosa fu il campo di Bolzano, citato in tutte le biografie dei deportati a cui sono state dedicate le Pietre d’Inciampo.
Il Polizeiliches Durchganslager Bozen raccolse sotto il controllo delle SS in Italia prigionieri politici, militari angloamericani, ebrei, zingari, persone arrestate per reati comuni, disertori e parenti di disertori. Il numero complessivo dei deportati oscillò attorno alle 11 mila persone. Il 24 ottobre 1944 partì da Bolzano il primo convoglio ferroviario per i campi di sterminio. Bozen fu una sorta di passaggio intermedio tra il carcere e il lager. A Bozen furono compiuti stragi ed eccidi. Le celle d’isolamento erano una zona franca, affidata ad aguzzini che angariavano i prigionieri, uccidendone molti. Il campo fu diretto, come quello di Fossoli, dal sottotenente Karl Titho, ma – spiegano Marcello Flores e Mimmo Franzinelli nella loro “Storia della Resistenza” – il vero padrone di Bozen e di Fossoli fu Hans Haage, fanatico hitleriano con forte ascendente sul diretto superiore.
Nel dopoguerra, gli accordi sottobanco tra i governi italiano e tedesco determinarono per oltre mezzo secolo l’occultamento dei fascicoli processuali. Haage morì indisturbato nel 1998, Titho fu prosciolto nel 1999.
Post scriptum:
Le fotografie delle Pietre d’Inciampo sono di Stefania Acquaviva, del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia.
Sulla famiglia Paganini rimando all’articolo di questa rubrica “La dolcezza e la serenità di Bianca”, 10 marzo 2013
Sulla deportazione dei poliziotti rimando all’articolo di questa rubrica “Storie della Resistenza civile dei poliziotti”, 15 maggio 2022
Sul XXI Reggimento Fanteria rimando all’articolo di questa rubrica “I ribelli della Lunigiana e Aurelio Gallo, il torturatore”, 22 aprile 2019, e alla Prefazione al libro di Luigi Leonardi “Umili e ribelli”, leggibile su www.associazioneculturalemediterraneo.com
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