Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

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Un berretto pieno di speranze

a cura di in data 10 Agosto 2014 – 11:55
Vanda Bianchi, Mostra del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia

Vanda Bianchi, Mostra del Gruppo Fotografico
Obiettivo Spezia “Vedere la memoria”,
Centro Allende, 20 Aprile – 4 Maggio 2013
(foto Alessandro Fiorentini)

Città della Spezia, 3 agosto 2014 – Se ne è andata anche Vanda Bianchi, la partigiana “Sonia”, per tutti la Vandina. Era una donna davvero speciale. Dalla seconda metà degli anni Settanta si dedicò al “lavoro della memoria”: è stata una testimone instancabile della Resistenza e della lotta dei diritti delle donne. Giovedì scorso, il giorno della scomparsa, l’ho ricordata introducendo il film “Ana Arabia”, proiettato alla Pinetina dal Comitato Dialoghi di Pace in Medio Oriente: quando ho citato il suo nome ho notato che qualcuno, lì per lì, sembrava non conoscerla, ma quando ho parlato di lei come della partigiana che era stata invitata da Fazio e Saviano in tv a parlare della Resistenza, hanno subito capito tutti, ed è scattato un applauso ancora più forte. In due minuti aveva raccontato se stessa e la sua generazione: era stata bravissima, come sempre. Glielo dissi il giorno dopo, lei ne fu felice. Anche se si lamentò un po’ del poco tempo a disposizione. In realtà aveva il dono del saper usare le parole. Quando parlava, nelle manifestazioni o ai ragazzi nelle scuole, era sempre sia breve che efficace. Così quando scriveva.

Leggiamo insieme la sua testimonianza nel libro “Io sono l’ultimo”:
“Nella Resistenza posso dire di esserci nata. La politica la mangiavo da sempre, in casa mia. Io sono figlia di un sovversivo. All’epoca non sapevo neanche che cosa volesse dire quella parola, e ne avevo paura. Quando mi è toccato lasciare gli studi, da bambina, mi sono messa a piangere. Perché volevo capire, già allora, come girava il mondo. Non c’è bisogno di avere un granché di istruzione, comunque, in certi frangenti. Il mondo gira in un verso che è chiaro per tutti, se abbiamo un po’ di buon senso. Mio padre diceva: ’Mi piego ma non mi spezzo’. Mio padre era un sovversivo. Ma non era una brutta parola. Voleva dire che non poteva spezzarsi… I mesi passati a combattere sono stati lunghi e brutti. L’importante è che non tornino più. Ma la lotta di Liberazione è stata anche la cosa più bella che ci potesse capitare. Noi eravamo puliti. Credevamo che, finita la guerra, tutto sarebbe cambiato. Che il mondo sarebbe cambiato e non ci sarebbero state più differenze. Io dicevo: ‘Stare con voi è come stare a casa mia’. Eravamo fratelli. Ci univa quello spirito di libertà, e non c’entrava nient’altro. Si mangiava insieme e si divideva, magari, un paio di castagne e un pugno di farina. Era un vivere comune. In eguaglianza. E dignità. Tutto quello che non dovevamo prendere per non morire di fame lo abbiamo ripagato. Quelli che ne hanno approfittato erano gente che si dichiaravano partigiani e che partigiani non erano. Non ho mai cercato la vendetta. All’inizio sembrava un’avventura. Ma poi un’avventura non era. Ci credevamo davvero. Anche dopo la guerra, nelle altre lotte, non ci è mai scappata la voglia. Questa l’abbiamo superata, avanti con l’altra. Noi, eravamo puliti. Dopo la guerra non tutto è cambiato. Ma qualche cosa sì. Adesso non sono soltanto i figli dei signori che possono andare a scuola. E anche io, a scuola, ci sono tornata. Ho fatto la bidella per trent’anni. E’ stato bellissimo stare con i ragazzi e con le maestre, a chiedere il significato delle parole. Anche adesso ci torno, a parlare con i bambini e con i ragazzi e i ragazzi vengono a prendermi a casa per trasportarmi alle riunioni dove io, se non ci fossero loro, non potrei più andare. Quando mi guardo intorno vedo così tanti giovani. Continueremo la lotta. Grazie a loro. Tra di noi siamo ancora pieni di speranza. E di certezza. Non siamo ancora morti”.

Speranza: la parola ritorna nel titolo del diario di Vanda, ben restituito dallo storico castelnovese Pino Marchini, “Un berretto pieno di speranze”. Il berretto è quello con la stella rossa della Brigata Garibaldi Ugo Muccini, cucito da lei stessa: “Quando ne feci uno per me, in quel copricapo avevo messo tutto il mio entusiasmo, i miei sogni di donna e le mie speranze per il futuro, che avrebbe dovuto essere sicuramente migliore del passato. Era un berretto pieno di sogni e di grandi speranze”. Il diario è un bel libro di memoria civile, che ho avuto l’onore di presentare, grazie a Vanda e a Pino, sia a Spezia che a Ortonovo. Dovrebbe essere un testo da far leggere e studiare nelle scuole, perché dalla “microstoria” di una ragazza nata nel 1926 si arriva a capire che cosa furono la miseria e l’emarginazione sotto il giogo della dittatura e che cosa fu, e da quali ideali fu mossa, la lotta di Liberazione dal fascismo. Centrale, nella vicenda di Vanda, fu la figura del padre. Non a caso lei si definiva “figlia di un sovversivo e staffetta partigiana”. Il padre Gustavo, “Scipioneto”, era una testa calda, un comunista che cantava in piazza gli stornelli antifascisti e veniva sempre randellato e incarcerato prima di ogni manifestazione fascista. Tra le pagine più belle del diario ci sono quelle che riportano l’intervento che Vanda fece nella sezione del Pci di Castelnuovo nel 1981, sessantesimo anniversario della fondazione del partito, in ricordo del padre: lesse due pagine di un quaderno che ha sempre custodito gelosamente. Fu nel contesto di quella famiglia, e dell’isolamento che essere la figlia di “Scipioneto” comportava, che Vanda maturò le sue convinzioni ideali e politiche fino alla scelta di diventare staffetta: trasportava armi ai gruppi di partigiani dislocati sulle colline intorno a Vallecchia e a Caprignano, riferiva ordini e comunicati da un raggruppamento all’altro, diffondeva la stampa clandestina. E costituì la prima e unica squadra partigiana femminile della zona, che entrò ufficialmente a far parte della gloriosa Brigata Garibaldi Ugo Muccini, comandata prima da Piero Galantini “Federico”, poi, dopo il rastrellamento del 29 novembre 1944, da Flavio Bertone “Walter”. Fu una guerriglia intensa, in grado di controllare per lunghi periodi porzioni di territorio sui monti e di indebolire l’autorità fascista nei centri, con attacchi anche a Castelnuovo.

Gaza (2014) (foto archivio GVC)

Gaza (2014)
(foto archivio GVC)

Non mancarono, in un movimento clandestino così vasto, momenti di difficoltà, come quello che la Brigata Muccini conobbe dopo il 29 novembre, quando Vanda fu tra i pochi a rimanere nelle colline di Castelnuovo (sulle vicende della Muccini si veda, su questa rubrica, “Dai monti di Sarzana”, 12 dicembre 2012). E tuttavia l’insegnamento morale dei partigiani resta, e sopravanza per importanza lo stesso risultato militare: perché la loro lotta ha testimoniato al mondo che in Italia c’era chi si batteva contro il fascismo e l’occupante tedesco. Proprio per questo mi sono indignato per il titolo che ho letto su “La Nazione” di sabato sui “delitti dei partigiani” nel dopoguerra. Vanda, su questo punto, ha già detto tutto quello che c’è da dire nel suo diario: “Certe volte mi chiedo: ma è giusto continuare a rivangare i mali e le atrocità del passato, quando sono stati sconfitti da una causa giusta come la nostra Resistenza? Sì, se servirà a insegnare ai giovani a non ricadere negli errori degli autoritarismi politici, delle dittature e a vivere in democrazia, in pace e serenità volendosi bene e rispettandosi l’uno con l’altro. No, se ha lo scopo di riportare alla luce le profonde spaccature ideologiche tra le opposte fazioni di un tempo tanto lontano o, ancora peggio, di far rinascere l’odio e i rancori sopiti da decenni, frutti avvelenati di una tragica guerra civile. Alla fine della guerra avrei potuto vendicarmi nei confronti di chi aveva picchiato mio padre o di chi aveva fatto patire la mia famiglia, non lo ho fatto allora, e men che meno lo farei oggi. Gli insegnamenti di mio padre e la mia coscienza me lo vietavano. Anzi, ho aiutato quando e come ho potuto molti paesani; più di una volta, con un semplice timbro e una mia firma su un foglio di carta ho attestato che alcuni non erano mai stati fascisti. Era povera gente, come ero io, che aveva aderito al fascismo per paura o per necessità, però non si era macchiata di alcuna colpa”. Certo, ci furono anche, dopo la Liberazione, episodi sanguinosi: ma la comprensione storica degli avvenimenti ci porta a dire, cito lo storico Santo Peli, che “questi episodi avevano radici profonde in quello che fu nei precedenti venti anni il regime, colpevole di aver condotto il Paese nel baratro della guerra, da cui discese il cumulo di violenze e orrori le cui conseguenze si riversarono anche sul dopoguerra”. Se non si dice questo, si fa propaganda, non storia.

La Vandina ci mancherà davvero. E mi mancherà. Ho bellissimi ricordi dei tanti momenti trascorsi insieme: il pellegrinaggio, nel 2006, in tutti i campi di concentramento nazisti, da Bolzano fino ad Auschwitz-Birkenau, le “pastasciutte antifasciste” il 25 luglio e le serate al festival “Fino al cuore della rivolta” alle Prade di Fosdinovo, le “polentate” a Canepari nelle camminate di aprile, gli incontri nelle scuole, le tante manifestazioni, fino a quella del 24 aprile 2013 a Migliarina, quando il discorso di Vanda emozionò i partecipanti alla fiaccolata… Mi mancheranno, ci mancheranno i suoi racconti, la sua volontà di combattere ancora e di non arrendersi mai. E anche la sua aspirazione per l’unità della sinistra. Leggiamo ancora dal suo diario: “La mia grande aspirazione è sempre stata di vedere tutte le anime della sinistra unite in un’unica formazione: una mia speranza che purtroppo, data l’età, non vedrò realizzarsi prima di morire”. Aveva drammaticamente ragione. Anche per questo obbiettivo Vanda ci chiama in causa. La sua vita è un esempio di idealismo e di coerenza dal quale si deve ripartire per costruire un’Italia migliore di quella in cui viviamo.

Post scriptum:
Vanda invitava ad amare la Patria , ma ricordava sempre che la Patria vera è il mondo. E che ovunque vi sono nostri simili che soffrono, questi sono i nostri fratelli, che vanno aiutati.
Ecco perché il modo migliore per onorare la sua memoria è invitare tutti i cittadini alla mobilitazione per soccorrere la popolazione civile di Gaza. Potete leggere qui il documento della Ong GVC, con la quale collaboro, “CAMPAGNA DI RACCOLTA FONDI SOS GAZA”. La raccolta è finalizzata a migliorare le disastrose condizioni igieniche nella Striscia e a garantire alla popolazione e alle strutture sociali e sanitarie l’accesso all’acqua.

E’ possibile scaricare il comunicato in .pdf al seguente link:
icona-pdfGVC Liguria SOS GAZA

 

 

lucidellacitta2011@gmail.com

 

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