Storia di una rivoluzione dal basso
Città della Spezia, 20 agosto 2023
Due settimane fa ho scritto su questa rubrica della crisi climatica (“Il clima, la scienza e la politica”). Di fronte a una crisi che è sempre più grave, si impone una riflessione: nonostante trent’anni di tentativi, le soluzioni globali, basate su regole uniformi e su obiettivi concordati a livello mondiale, non hanno funzionato. Il loro fallimento, sostiene lo studioso Charles F. Sabel, è la realtà da cui partire. Ciò che sta funzionando, invece, sono gli sforzi per raggiungere una transizione verde in settori specifici come i veicoli elettrici, il fotovoltaico o l’eliminazione delle sostanze che distruggono l’ozono, così come le sperimentazioni a livello di luoghi specifici. In altre parole, sostiene Sabel, “i tentativi di creare un (apparentemente) semplice sistema globale di regole e incentivi per indurre una transizione verde sono falliti, mentre gli sforzi concreti – a livello di filiera o di luogo – per affrontare i principali ostacoli alla transizione stanno avendo successo”.
Ciò certamente non significa rinunciare agli accordi globali “dall’alto”, ma avere la consapevolezza che vi si può giungere soprattutto attraverso sforzi concreti che partano “dal basso”, nei processi produttivi come nei comportamenti dei cittadini.
Circa questi ultimi, nella rubrica mi sono già soffermato sulle comunità energetiche (“Le comunità energetiche, il nuovo modello per produrre energia”, 2 gennaio 2022): nei condomini, nei quartieri, nei paesi possiamo associarci per produrre e scambiare energia, risparmiando in bolletta. Trasformarci cioè da semplici e passivi consumatori in produttori attivi, con una valorizzazione del territorio e delle sue risorse (vento, sole, biomassa, ecc.) che imponga una coincidenza geografica tra produzione e consumo, il che comporta ulteriore risparmio di energia.
Oggi racconterò di un’esperienza nel cuore dei processi produttivi, nata in una fabbrica di Campi Bisenzio, nei pressi di Firenze: l’ex Gkn, che produceva semiassi per le automotive di lusso.
Il 9 luglio 2021, con una mail, venivano licenziati tutti gli oltre 400 lavoratori. Sembrava l’ennesimo capitolo della crisi industriale italiana, è stato invece l’inizio di una rivoluzione dal basso, guidata dal collettivo di fabbrica: difesa del lavoro, controllo operaio dell’impianto per evitare che macchine e robot venissero trasferiti altrove, ricerca della partecipazione di tutto il territorio, coinvolgimento delle associazioni ambientaliste e delle competenze intellettuali, avvio della nascita di una nuova fabbrica “ecoconsapevole”. Una esperienza sfiancante – la più lunga mobilitazione operaia degli ultimi decenni in Italia – che ha lasciato a lungo i lavoratori senza reddito. Ora i 200 che sono rimasti hanno dato vita a una cooperativa, la Gff, che vuole far rinascere la fabbrica producendo pannelli fotovoltaici e pezzi di ricambio per bus elettrici. Ferdinando Cotugno su “Domani” ha scritto che in questo modo si darebbe vita a “un microcosmo industriale che rappresenterebbe in piccolo l’intera decarbonizzazione italiana”.
Gli operai dell’ex Gkn hanno avuto il coraggio di pensare e proporre un nuovo modello di sviluppo e di società. La loro esperienza ci dice che la riconversione ecologica dell’economia deve essere un fatto popolare: è l’unico modo per renderla possibile.
La sfida è difficile, ma dimostra che la fabbrica può essere non solo un centro di produzioni di merci ma anche di cultura. E che la coscienza di sé degli operai non è morta ma rinasce continuamente: gli operai dell’ex Gkn si sono trasformati in classe dirigente. Come nel tanto vituperato Novecento, gli operai pensano al posto di lavoro e al salario ma anche al “destino dell’uomo”. Il che significa, oggi, pensare anche al “destino della natura”.
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