Spezia sotto le bombe
Città della Spezia – 12 Maggio 2013 – Poche iniziative culturali si sono trasformate in un evento così importante e profondamente sentito dalla comunità come la mostra “Ricoveri antiaerei”, organizzata nel tunnel Quintino Sella dall’associazione “Dalla parte dei forti” insieme al Comune e ad altre istituzioni. Non poteva essere che così: ricordare in una città tra le più colpite d’Italia, e in un luogo di grande potenza rievocativa, i bombardamenti della seconda guerra mondiale significa fare non solo opera di ricostruzione storica ma anche di “rigenerazione della memoria del più sconvolgente evento della storia cittadina”, come ha rilevato il Sindaco. Il suono della sirena, le fotografie, i reperti storici fanno rivivere l’incubo di settant’anni fa, proprio nel più grande rifugio cittadino (da via Prione arriva in via Manzoni e in piazza S.Agostino). La mostra, insieme all’altra “Aprile di fuoco”, allestita dall’Istituzione per i Servizi culturali nella Palazzina delle Arti, e al libro di Stefano Danese e Roberto De Bernardi “Incursioni aeree sul golfo della Spezia”, fa parte di un corpo unitario di documenti e immagini che commuove e fa riflettere.
Questa pagina terribile di storia si spiega con il fatto che Spezia era una piazzaforte marittima in posizione strategica, che ospitava l’Arsenale Militare e le grandi fabbriche che, durante il regime fascista, producevano armi per la guerra a fianco dei tedeschi. I bombardamenti dell’alleanza antinazista iniziarono, come spiega il libro di Danese e De Bernardi, nel settembre 1941, ma si concentrarono soprattutto nel 1943: il 4 febbraio, il 14 -15 febbraio (con la prima vittima) e poi, in modo ben più pesante, il 13 – 14 aprile e il 18 -19 aprile. Quest’ultima incursione provocò la distruzione del Municipio di piazza Beverini, chiamato dagli spezzini “Palazzo Cenere”, e l’affondamento del cacciatorpediniere Ardito, ormeggiato al molo Italia, dove oggi è ricordato da un monumento. Furono colpiti anche l’Ospedale civile e la Cattedrale di Santa Maria. La città tutta fu distrutta, non solo l’Arsenale, il porto e le fabbriche: “si può dire che non c’è alcuna casa della città che sa rimasta indenne”, scrisse il 23 aprile il Prefetto al Ministro dell’Interno. Le immagini delle mostre e del libro sono agghiaccianti. Fino a pochi anni fa le distruzioni erano ancora visibili al Poggio, nel cuore della città, che fu risanato grazie al ruolo del Comune: ora vi sorge un albergo. Seguirono i bombardamenti del 6 giugno e del 23 – 24 giugno, fino alla caduta di Mussolini il 25 luglio del 1943, e all’armistizio chiesto dal Governo Badoglio l’8 settembre: la guerra insensata contro gli alleati era finita, ma i nazisti e i fascisti repubblichini occuparono l’Italia del Nord. Nacque la Resistenza, fino alla cacciata degli invasori da parte dei partigiani e degli alleati il 25 aprile del 1945. I bombardamenti continuarono fino alla Liberazione, con il triste bilancio di 182 vittime. Tante, ma poche rispetto alla potenza delle bombe, grazie all’allestimento dei ricoveri in galleria, che evitarono maggiori vittime tra i civili. E grazie anche al fatto che gran parte della popolazione era sfollata nei paesini della provincia, e veniva in città solo per lavorare.
Come vissero gli spezzini quei giorni drammatici? Ricorda Giuseppe Ricci, 87 anni, presidente provinciale dell’Associazione Nazionali Vittime Civili e di Guerra, intervistato dal Secolo XIX: “Odiavamo i nemici, i piloti anglo-americani. Eravamo intrisi di anni di propaganda. Eravamo plagiati. Poi capimmo chi era il nemico. Quello che ci mandò in guerra. Velocemente maturò il dissenso. Nei rifugi a denti stretti si maledivano Mussolini e Hitler per dove ci avevano cacciato. Spezia era in prima linea. All’inizio era un orgoglio poi fu una maledizione. Venne distrutta e martirizzata. Ma fummo anche l’inizio del riscatto nazionale con la partenza della nostra flotta verso Malta. Lì iniziò la Resistenza”. Un libro del 1975, ancora oggi fondamentale, “Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana” di Antonio Bianchi, ci aiuta a capire la situazione in città con la pubblicazione della corrispondenza tra i soldati spezzini e i loro familiari, nei brani censurati dalla polizia politica, leggibili negli archivi. Lettere amare, un coro tragico che sale da tutti i fronti contro una guerra di aggressione, che fa morire gli italiani come le popolazioni delle zone occupate. Emergono sempre più le responsabilità del fascismo, e crescono quella sorda collera contro il regime e quell’esigenza di punirlo e di arrivare alla pace ricordate da Ricci. Sempre gli archivi ci testimoniano le prime spontanee esplosioni di opposizione al fascismo: il 16 gennaio alla Chiappa i carabinieri arrestano l’operaio sugheraio Tullio Correggi, che ai militari si dichiara comunista; il 10 febbraio è il turno, alla Stazione ferroviaria, di Quintilio Vaghetti, lucidatore di mobili, perché ha esclamato: “Popolo, sentite: questa guerra non ci voleva. Mussolini ha messo tutti alla fame, è un vigliacco”. Il clima cambia nelle fabbriche: il 10 luglio decine di scritte contro la guerra appaiono sui muri dell’Oto Melara, del Muggiano, dell’Arsenale, della Termomeccanica. E cambia nei quartieri distrutti dai bombardamenti, dove si comincia ad inveire contro il duce e la guerra davanti ai fascisti che non reagiscono. “Dopo venti anni di silenzio -scrive Bianchi- rientrano in scena le masse popolari”. La situazione a Spezia peggiorò dopo l’8 settembre: continuavano i bombardamenti (pesantissimi furono quelli del maggio 1944), cresceva la miseria, l’atmosfera dell’occupazione nazifascista pesava sempre più sulla superstite popolazione impossibilitata a sfollare, mentre iniziavano i rastrellamenti dei nazisti, volti a deportare in Germania uomini e donne per sostenere la produzione bellica. Come Bianca Paganini, scomparsa pochi giorni fa: una delle ultime testimoni, grande donna e infaticabile custode della memoria (a lei ho dedicato la rubrica del 10 marzo). Sempre più cittadini capirono che cos’era il fascismo. I partigiani delle SAP e dei GAP cominciarono ad attaccare ovunque nella notte. I tedeschi, separatamente e disinteressandosi degli alleati repubblichini, proposero al CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) compromessi ed armistizi, chiedendo la garanzia del traffico lungo le statali, in cambio dell’assoluta neutralità nei combattimenti contro i fascisti. Ma ogni compromesso fu respinto. Il comandante Luciano Scotti, “Vittorio”, rispose a nome del CLN al colonnello delle SS suo interlocutore che i tedeschi, dopo tanti anni di lotte e rovine, dovevano pagare fino in fondo: “arrendersi o perire”. I tedeschi iniziarono dal 10 marzo l’opera di distruzione dei moli, delle banchine del porto e della passeggiata a mare. Era tutto predisposto perché anche Lerici e Portovenere saltassero in aria. Ma non fecero in tempo. Ai primi di aprile iniziò l’offensiva alleata e partigiana, che portò al tracollo finale delle armate tedesche sul fronte italiano e alla conquista della libertà. Il 25 aprile i 2500 partigiani della IV zona operativa scesero incolonnati su Spezia, sfilando per le vie della città abbracciati da una marea di popolo commosso e entusiasta. In Prefettura si insediò il CLN, che fece subito affiggere sui muri della città il proclama che annunciava lo storico avvenimento. Colpisce questa frase: “La Spezia è stata la città d’Italia più vessata dalla sanguinosa oppressione del fascismo, ma appunto per questo è necessario dimostrare subito la vostra civiltà nei confronti della bestialità fascista”. Nessuna giustizia sommaria, pur nella consapevolezza delle enormi sofferenze patite. Tra queste, certamente quelle dei bombardamenti, causati dalla guerra voluta dal fascismo. Ora, dopo averli così degnamente ricordati nel ricovero Quintino Sella, questo luogo così simbolico della nostra storia deve rimanere aperto e visitabile. Come monumento alla memoria, come vaccino forte contro la guerra e la dittatura, come spinta alla pace, alla democrazia, alla giustizia sociale. Dobbiamo farlo, perché dimenticare ci rende più poveri e più fragili.
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