Spezia e la Liguria contro la guerra
Città della Spezia, 12 settembre 2021
DALLA PROTESTA DEI PORTUALI GENOVESI ALLA MOBILITAZIONE PER RICONVERTIRE “SEAFUTURE”
La storia dei movimenti sociali della Liguria ha una forte impronta pacifista. Iniziative importanti, tappe di questa storia, caratterizzano anche l’oggi.
Il pensiero non può che andare, innanzitutto, alle proteste dei lavoratori portuali contro i frequenti scali nel porto di Genova delle navi cargo della compagnia saudita Bahri, accusata di trasportare armamenti nello Yemen che, dal 2015, è teatro di una violenta guerra civile.
Il 22 luglio il Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali (CALP) e l’Unione Sindacale di Base (USB) di Genova hanno organizzato un presidio sotto Palazzo San Giorgio, sede dell’Autorità Portuale, per protestare contro l’arrivo di una di queste navi, la Bahri Jazan.
Lo scopo era quello di conoscere il carico della nave per verificare che fosse conforme alle norme di sicurezza dei lavoratori, nonché a quelle di diritto internazionale. Le due associazioni hanno consegnato due lettere di richiesta. La prima riguarda il fatto che le navi, sospette di trasportare esplosivo, potrebbero rappresentare un “serio problema per la sicurezza dei lavoratori”. Il contenuto della seconda lettera, invece, richiede “l’applicazione della legge 185 sul divieto di esportazione e vendita di armi”.
La legge 185, approvata nel 1990, regolamenta il controllo dell’esportazione, dell’importazione e del transito di materiali di armamento. Il primo articolo vieta l’esportazione di armi verso “Paesi in stato di conflitto armato”, come lo Yemen. Nell’articolo si vieta anche l’esportazione di materiale bellico nel caso in cui possa “entrare in contrasto con la Costituzione, con gli impegni internazionali dell’Italia e con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato”. E ancora, nel caso in cui non siano presenti “adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali”.
Weapon Watch, una ONG con sede a Genova che monitora le spedizioni di armi nei porti europei e del Mediterraneo, ha ricordato che il primo tentativo di impedire il carico di munizioni e armamenti destinato alla guerra in Yemen risale al maggio 2019. Da allora la lotta dei portuali genovesi -che ha comportato per cinque di loro la messa sotto inchiesta per associazione a delinquere- non si è mai fermata, fino al pieno sostegno ricevuto da Papa Francesco. Finora, però, il Governo italiano non ha fatto nulla per meglio regolamentare il traffico di armi, ma ha anzi allentato le restrizioni imposte alle esportazioni di materiale bellico verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, precedentemente sospese a causa del coinvolgimento di entrambi i Paesi nel conflitto in Yemen. In mancanza di ciò, non resta che la strada del boicottaggio e degli scioperi contro le “navi della morte”.
La protesta della Liguria contro la guerra si sta ampliando e sta coinvolgendo altri attori sociali e politici, anche alla Spezia. L’ occasione è la manifestazione “SeaFuture” 2021, che è diventata la nuova esibizione navale-militare in sostituzione della Mostra navale bellica che si teneva a Genova negli anni Ottanta: un evento promosso dal comparto navale militare e una piattaforma di affari per le aziende del settore “difesa e sicurezza” ammantato di sostenibilità ambientale e innovazione tecnologica. “SeaFuture” 2021 si terrà dal 28 settembre al 1° ottobre prossimi. Città della Spezia ha già dato ampio spazio alla mobilitazione promossa dal Comitato “Riconvertiamo SeaFuture” per “riconvertire” SeaFuture e perché la legge 185 sia pienamente attuata. In particolare, il Comitato chiede:
“SeaFuture sia riconvertito alla sua mission originaria: una fiera internazionale dell’area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo delle tecnologie civili inerenti al mare, per promuovere la sostenibilità ambientale e sociale.
Se necessario, alle esigenze del comparto militare-industriale sia dedicato uno specifico evento al di fuori di Seafuture, evento da riservarsi agli operatori professionali del settore, italiani ed esteri, in rigorosa osservanza delle restrizioni sulle esportazioni di sistemi e tecnologie militari ai sensi delle normative italiane e internazionali.
Come previsto dalla legge n. 185 del 1990 siano predisposte “misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa”, salvaguardando e incrementando l’occupazione, liberando così i lavoratori dal ricatto occupazionale che li costringe a cooperare con un sistema militare-industriale che alimenta i conflitti, produce nuove vittime, provoca migrazioni e nuove povertà, soprattutto fra i popoli del Sud del mondo”.
“NO WAR!”: LA STORIA DEL PACIFISMO LIGURE
Questa storia, come dicevo, viene da lontano, ed è molto ben raccontata nel libro “No war!”, curato da Francesca Dagnino e Paola De Ferrari dell’Associazione per un archivio dei movimenti: dalla partecipazione ligure alla prima marcia Perugia-Assisi (24 settembre 1961) alla protesta contro la Mostra navale bellica, dai progetti di riconversione industriale al boicottaggio contro le navi delle armi, dalla lotta contro i missili a Comiso a quella contro tutte le guerre all’inizio del millennio. Sessant’anni di iniziative pacifiste e nonviolente, frutto di un movimento variegato, dalle tante anime -cristiana, laica e radicale, femminista, socialista, comunista, ecologista- che non ha mai smarrito la strada del suo impegno. Tante sono state le difficoltà e le sconfitte, ma anche le conquiste: l’obiezione di coscienza al servizio militare (1972), da cui deriva il Servizio Civile Universale oggi scelto da oltre 50 mila giovani ogni anno; la citata legge 185; l’opposizione vincente ai missili a Comiso, all’origine del movimento per la messa a bando delle armi nucleari che ha ottenuto l’approvazione del Trattato ONU entrato in vigore nel gennaio 2021. Fu in quel contesto, all’insegna di un rifiuto generalizzato del ritorno al riarmo atomico (inizio degli anni Ottanta), che alcuni Comuni italiani si dichiararono “Comuni denuclearizzati”: tra essi il capoluogo, ed altri della nostra provincia.
E oggi? Sempre di più settori e mondi tradizionalmente non pacifisti stanno capendo che la questione del disarmo riguarda tutti: se si distraggono fondi dalle spese militari, si liberano risorse per lo Stato sociale, colpito da decenni di tagli e privatizzazioni ma ancora prezioso e insostituibile.
Certamente in Liguria, e a Spezia in particolare, il tema è controverso perché siamo sede di importanti industrie militari. Eppure c’è una ricca storia di impegno del movimento operaio per la conversione nel civile dell’industria militare che va conosciuta. In “No War!” lo fa Gianni Alioti, sindacalista genovese della FIM CISL, nel libro mio e di Maria Cristina Mirabello “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” lo fanno gli operai delle fabbriche spezzine nelle loro testimonianze. Negli anni Settanta si cercò di coniugare la carica etica con intuizioni di politica industriale, con alcuni risultati, come la nascita a Bari, voluta dai lavoratori dell’Oto Melara, della Oto Trasm, società operante nel settore civile: l’idea fu quella di sfruttare le competenze e le tecnologie sviluppate nel campo degli ingranaggi per auto blindati e carri armati per produrre cambi e trasmissioni meccaniche per il settore auto, veicoli industriali, macchine agricole. “SeaFuture” deve essere l’occasione per ricordare a tutti che l’utopia pacifista può e deve coniugarsi con la pratica del possibile, sulla strada della diversificazione/riconversione dell’industria militare. Anche perché di “monoculture” produttive a lungo non si vive.
Post scriptum:
Su questi temi rimando agli articoli su questa rubrica:
“Caro Giulio Regeni, SeaFuture ti ha dimenticato” (29 maggio 2016)
“Bombe made in Italy in Yemen, ecco perché SeaFuture deve cambiare” (22 luglio 2018)
Rimando inoltre all’articolo su MicroMega.net:
“Le mani del complesso militare-industriale sul Next Generation Eu” (12 aprile 2021)
lucidellacitta2011@gmail.com
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