Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
14 Novembre 2024 – 21:22

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 22 novembre ore 17 al Palazzo Ducale di Massa
Massa, Palazzo Ducale – Sala della Resistenza
Il libro di Dino Grassi “Io …

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Siamo i ribelli della montagna

a cura di in data 14 Febbraio 2015 – 12:11
Alta via dei monti liguri, il monte Castellaro  (2009)   (foto Giorgio Pagano)

Alta via dei monti liguri, il monte Castellaro
(2009) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 8 febbraio 2015 – Giovanni Pagani, nome di battaglia “Giovanni”, era il comandante della IV Compagnia della Colonna “Giustizia e Libertà”. Il grande rastrellamento nazifascista del 20 gennaio 1945 lo colse su una linea abbastanza bassa. La resistenza a Cornice di Sesta Godano e a Serò di Zignago durò tutta la giornata, impegnando i reparti garibaldini dei Battaglioni “Vanni”, “Gramsci” e “Matteotti-Picelli” e la IV Compagnia di “G.L.” “Giovanni” non concordò con l’ordine del Comando della IV Zona operativa di sganciarsi verso il Gottero e Fontana Gilente, ma invitò i suoi uomini a scavare tane per nascondersi e nascondervi armi, munizioni e viveri. Questo orientamento si fondava soprattutto sul fatto che quasi tutti i patrioti giellisti erano gente del luogo, che aveva continuato ad abitare nelle proprie case. E poi sul fatto che, dopo aver combattuto tutta la giornata, la prima mattina del 21 le vie di accesso al Gottero erano ormai occupate dal nemico. “Giovanni” raggiunse Vezzola e si portò ai piedi del monte Dragnone con nove uomini, più tre civili che si erano uniti. Con lui c’erano, tra gli altri, due ufficiali di “G.L.”, Ezio Grandis “Ezio II”, e Giuseppe Da Pozzo, e il caposquadra Vittorio Brosini “Bambin”. Il rifugio era una grotta alle falde del Dragnone. Il 22 il numero dei rifugiati salì a 15, con altri tre civili. Secondo il racconto di uno dei protagonisti sopravvissuti, la staffetta Virginio Lovera “Leone”, la notte del 22 i patrioti si destarono all’improvviso e si accorsero che il civile di guardia era ferito. Cominciò la sparatoria, poi “Giovanni” impose la resa ai suoi, per salvare i civili, a costo della vita. I 9 partigiani si diedero prigionieri ed ebbero la garanzia verbale che sarebbero stati trattati come prigionieri di guerra e che i civili sarebbero stati lasciati liberi. In realtà i partigiani furono portati al XXI Reggimento di Fanteria e poi trucidati nei pressi delle loro abitazioni, perché tutti potessero vedere. Pagani e Grandis furono uccisi alla Chiappa, Da Pozzo a Monterosso, Brosini a Stagnedo di Beverino. Il loro sacrificio non fu vano: i civili furono risparmiati. Il conferimento della Medaglia d’oro per Giovanni Pagani è davvero un gesto doveroso (si veda, in questo giornale, l’articolo di Fabio Lugarini del 3 febbraio, che riporta le motivazioni fornite da Paolo Galantini).

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La storia di “Giovanni” e dei suoi compagni ci spinge a una riflessione sull’esperienza di “Giustizia e Libertà” e sulla sua importanza nella Resistenza italiana. Il movimento nacque nel 1930, il suo fondamento ideologico era il saggio “Socialismo liberale” di Carlo Rosselli. “G.L.” rivalutava i valori morali e dell’iniziativa individuale al servizio della comunità, sosteneva la possibilità di un passaggio pacifico al socialismo e la sussistenza di un’economia mista, pubblica e privata, si batteva in modo intransigente contro il fascismo. Il suo contributo alla Resistenza fu decisivo: 35.000 uomini in molte zone del Nord Italia, 1.800 caduti. Le formazioni gielliste furono seconde per numero solo alle formazioni garibaldine comuniste e di gran lunga prevalenti rispetto alla formazioni di altro colore politico. Da “Giustizia e Libertà” era nato, nel 1942, il Partito d’Azione. Ma le formazioni gielliste rifiutarono forme di indottrinamento, ed ebbero aderenti, a volte anche comandanti, di orientamento politico diverso, oppure senza collocazioni politiche.

Il Partito d’Azione nacque a Spezia da un gruppo composto da Vero Del Carpio, Mario Foce, Mario Da Pozzo, Alfredo Contri, Lorenzino Tornabuoni, Cesare Godano, Vinicio Manfrini, e sostenuto da Giulio Bertonelli, un dirigente nazionale e ligure, che era nativo di Zignago. Un gruppo caratterizzato da uno straordinario attivismo, a cui va riconosciuto il merito di aver dato vita a una formazione partigiana che ebbe, nella Resistenza spezzina, un grande ruolo: occupò una vasta area tra Magra e Vara, con una consistente forza numerica e una efficiente organizzazione, e sopportò buona parte del peso della lotta. A Spezia va anche citata l’autodenominatasi “organizzazione clandestina militare patriottica”, che si trasformerà poi in SAP (Squadra di Azione Patriottica) e aderirà a “G.L.”: fu costituita, nella dirigenza, da elementi della Marina Militare. Il capo riconosciuto era il capitano Renato Mazzolani: catturato dalle brigate nere, seviziato e torturato al fine di estorcergli notizie e confessioni, per non parlare si tagliò le vene e si impiccò in cella. Gli fu concessa la Medaglia d’oro. Per ciò che riguarda, invece, le bande ai monti, “G.L.” ebbe la primogenitura in Val di Vara, insieme ai cattolici della “Beretta”, mentre contemporaneamente, nelle colline sarzanesi e santostefanesi, nascevano i gruppi garibaldini. All’origine ci fu l’attività del “Gruppo Bottari” a Vezzano, con il colonnello Giulio Bottari e i tenenti sardi Piero Borrotzu e Franco Coni. Il gruppo si spostò poi a Torpiana di Zignago. La base principale della futura formazione la si coglie già qui: ex militari sbandati, studenti o giovani diplomati, molti contadini. Pochi impiegati e operai. Lo stretto legame tra la formazione e il territorio costituì un elemento di forza, perché favorì il rapporto e l’intesa con la popolazione e sostenne psicologicamente i combattenti. Fu l’elemento che mancò in parte ai garibaldini in Val di Vara, per la forte presenza di operai spezzini (diversa fu la composizione delle bande garibaldine della Val di Magra). A fine 1943 era già operante a Torpiana una banda di “Giustizia e Libertà” di circa 50 uomini, comandati da Vero Del Carpio “il Boia”, che diventò “Brigata d’Assalto Lunigiana” tra il febbraio e il marzo 1944: vi ritroviamo, oltre a Bottari, Borrotzu e Coni, anche lo spezzino Tonino Celle (“Tonino I”), Amelio Guerrieri (“Amelio”) di Valeriano, Ezio Grandis e Giovanni Pagani, Prospero Castelletto (“Baciccia”) di Camogli, il calicese Daniele Bucchioni (“Dany”), Ermanno Gindoli (“Ermanno”) di San Benedetto, e tanti altri che furono poi tutti protagonisti della Colonna di “G.L.” C’era chi aderiva esplicitamente al PdA, come Celle, Grandis e Castelletto, chi no: ma tutti, da Borrotzu a Coni, da Guerrieri a Bucchioni, aderivano pienamente al piano militare di una guerra di liberazione antifascista. “Amelio” e “Dany”, per esempio, erano di formazione cattolica, ma rifiutarono l’invito di don Carlo Borelli, sacerdote resistente, di lasciare “G.L.” per dar vita a un’autonoma formazione di ispirazione cattolica.

Rocchetta Vara, Beverone, la chiesa di San Giovanni  (2007)   (foto Giorgio Pagano)

Rocchetta Vara, Beverone, la chiesa di San Giovanni
(2007) (foto Giorgio Pagano)

Il libro di Giulivo Ricci “La Colonna Giustizia e Libertà” è la narrazione molto ben documentata di tutti gli episodi salienti della storia di “G.L.” nella IV Zona operativa: dal tragico rastrellamento dell’aprile’44, in cui morì eroicamente Borrotzu, alla riorganizzazione successiva, con la formazione, nel giugno ’44, di quattro compagnie della Brigata: la prima nel calicese comandata da “Dany”, la seconda nel madrignanese comandata da Gino Paita “Yanez”, la terza tra i Casoni e Beverone, al comando di “Amelio”, la quarta a Brugnato al comando di “Giovanni”. Poi l’altro tragico rastrellamento, quello dell’agosto ’44, in cui, scrisse il colonnello Mario Fontana, comandante della IV Zona, “solo la Brigata Cento Croci offrì nei giorni 2,3,4 una resistenza organizzata battendosi valorosamente al passo delle Cento Croci e al monte Scassella; anche un reparto della Colonna Giustizia e Libertà resistette eroicamente ai Casoni contro forti colonne avversarie”: al comando c’era “Dany”. I nazifascisti subirono il primo insuccesso nel rastrellamento dell’8 ottobre ’44, che non scompaginò il dispositivo partigiano: il peso fu sostenuto dal Battaglione “Vanni”, garibaldino, e dal Battaglione “Val di Vara” di “Giustizia e Libertà”, al comando di “Dany”. Purtroppo nel combattimento cadde Gerolamo Spezia “Piero”, che meritò la Medaglia d’oro. Nel frattempo si era costituita la Colonna, comandata da Del Carpio, mentre Godano (“Gatto”) era il commissario politico; sopra le Compagnie, diventate sei, stavano due Battaglioni: quello “Val di Vara” al comando di Orazio Montefiori (“Martini”), con “Dany” vicecomandante e Ezio Giovannoni (“Ezio I”) commissario politico; e il Battaglione “Zignago” al comando di Gindoli, con Giovanni Ceragioli (“Vas”) commissario politico. La Colonna diede vita a numerose azioni, in cui si distinse, come miglior sabotatore di ponti, e poi come protagonista della difesa di Brugnato, “Giovanni”. Anche “Dany” e “Amelio” erano due ottimi ufficiali, spesso in contrasto tra loro: “di fronte -scrive Ricci- a un temperamento più riflessivo, più fermo nelle determinazioni adottate, più incline ad attribuire importanza anche ai lati formali dell’organizzazione, quale quello di ‘Dany’, stava un ‘Amelio’ molto coraggioso, estroso, ma anche insofferente di una troppo stretta disciplina e talora incurante delle forme”. Non a caso, nel dopoguerra, “Dany” divenne generale, mentre “Amelio” fu semplicemente Amelio: entrambi grandi uomini e comandanti, ma di temperamento molto diverso. Nel rastrellamento del gennaio ’45 abbiamo già visto, scrivendo di “Giovanni”, quale fu il contributo di “G.L.”. Ma va ricordato anche il sacrificio, a Frandalini di Adelano, di dodici patrioti giellisti, quasi tutti di Vernazza. Un’intera generazione di quel paese venne cancellata: erano tutti giovanissimi, tranne uno, Renato Perini, che era il padre di due degli uccisi, fratelli gemelli. Compattezza e resistenza offrirono anche le brigate garibaldine, che nell’agosto ’44 erano crollate per prime; mentre la “Cento Croci”, che ad agosto fu decisiva nell’impedire il disastro totale, a gennaio ebbe una condotta impacciata e incerta, e i suoi dirigenti furono fatti prigionieri. I rapporti tra brigate, insomma, si erano rovesciati. Tornando a “G.L.”, nel rastrellamento di gennaio morì anche “Baciccia” (la lapide è in piazza Colombo, di fronte al mare di Camogli, che si domina dalla calata a lui dedicata): “eccezionale e singolare personaggio, camoglino dallo stupefacente coraggio, ribelle e antifascista da sempre, staffetta, informatore, guida, combattente, partigiano, intendente di brigata, camminatore infaticabile tra Genova e il Picchiara, sempre allegro, pronto a ogni fatica” (così lo descrive il Ricci). Fu catturato dai tedeschi, riuscì come altre volte a fuggire, ma cadde sul ghiaccio e gli si spezzò una gamba: l’urlo di dolore attrasse i tedeschi che lo uccisero mentre stava per sollevarsi. Dopo gennaio i partigiani erano all’attacco e colpivano in continuazione, scendendo in pianura. Durante una di queste azioni, il 12 aprile, dopo aver fatto esplodere la rupe della curva della Rocchetta mentre transitava una colonna tedesca, vennero uccisi dai tedeschi superstiti Ermanno Gindoli, comandante del Battaglione “Zignago”, Alfredo Oldoini (“Alfredo”), comandante della VI Compagnia, e Oronzo Chimenti (“Miro”), comandante di plotone. Lo scopo era stato raggiunto, ma a quale prezzo! Fu un dolore incontenibile. Anche se la vittoria di aprile era ormai vicina. Nel momento in cui la VI Compagnia si metteva in marcia per andare a liberare la città, il canto dei partigiani riferiva al nome dei caduti l’attesa della prossima definitiva avventura:

“E’ la Compagnia d’Alfredo
è d’Ermanno il Battaglion
è Miro che comanda
si va giù si va giù si va giù”

“Dany” fu incaricato di liberare Aulla. Alla liberazione di Spezia contribuì il Battaglione “Gindoli”, già “Zignago”, al comando di “Amelio”, che sconfisse i residui nazifascisti a Montalbano.

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Ma la vicenda spezzina di “G.L.” si comprende pienamente solo se ne rinveniamo il filo conduttore in Cesare Godano “Gatto”: per la sua formazione culturale e politica, per il suo ruolo nel PdA e nella Colonna egli fu forse la personalità più rappresentativa del giellismo. Lo dimostra molto bene il suo bel libro “Paideia ‘44”, il racconto della sua vita da ragazzo, fino all’esperienza di commissario politico della Colonna. Cesare si formò al liceo Costa, dove lasciò un segno profondo su di lui il docente di storia e filosofia Aldo Ferrari: antifascista, si suicidò quando i fascisti vennero a prelevarlo a casa. Come Mazzolani, non voleva rischiare di tradire i compagni in seguito alle torture. All’Università Cesare fu allievo di Guido Calogero, filosofo, esponente del liberalsocialismo. Poi fu ufficiale di artiglieria in Jugoslavia. Esperienze che lo portarono alla maturazione, innanzitutto morale: “Cosa ci vuole dunque? Una rivoluzione forse, e prima una rivolta. Anzitutto nella propria interiorità… Bisognava andare a cercare il fondo delle cose, a frugare nel nucleo stesso dell’umanità, per estrarne una visione della vita totalmente opposta a quella del fascismo e del nazismo. La rottura con il passato doveva essere assolutamente radicale… Da tutto nasceva un’ansia, il bisogno di fare qualcosa, di capire sì, ma appena capito, se si credeva di aver capito, di passare all’azione”. Cioè “opporsi in ogni modo, anche con la violenza, alla guerra e al fascismo”. Aderì al PdA e scelse, nel marzo ’44, la via dei monti, a Torpiana: “C’era da inventare una nuova guerra, non un gioco da ragazzi”. Fu tra i primi a capire che alle bande occorrevano “comando, ordine, disciplina” e le regole fondamentali della guerriglia: le basi su cui, nel luglio ’44, si costituì il Comando Unico delle formazioni della IV Zona. “Gatto” divenne, dopo il rastrellamento di agosto, commissario politico della Colonna, incarico che ricoprì fino a pochi giorni prima della Liberazione, quando fu nominato segretario provinciale del PdA. Il partito non resse alle prove della democrazia, raccolse pochi voti alle elezioni e si sciolse. Gli ex partigiani giellisti votarono in buona parte Dc, Pci, Psi… Ma la Colonna, senza la quale la Resistenza spezzina sarebbe stata più debole e anche meno plurale, nacque, non va mai dimenticato, grazie al grande attivismo dei capi del PdA. Che poi portarono in altri partiti democratici la loro preziosa eredità: Godano, per esempio, divenne dirigente del Psi e vicesindaco della Spezia.

Concludo con le parole con cui ho concluso, il 3 febbraio, il ricordo di “Giovanni” e di “Ezio II”, e che dedico sempre a ogni partigiano della Colonna “Giustizia e Libertà”. Sono i versi del canto della Colonna, ripresi da una canzone creata nel marzo ‘44 da alcuni partigiani garibaldini dell’Appennino ligure-piemontese nella zona del monte Tobbio. Ha per titolo “Siamo i ribelli della montagna”:

“Di giustizia è la nostra disciplina
libertà è l’idea che si avvicina…
Siamo i ribelli della montagna
viviam di stenti e di patimenti
ma quella fede che ci accompagna
sarà la legge dell’avvenir”

Si sente vibrare, in questi versi, la tensione utopica e la grande carica di idealità civile e politica che animò la stagione partigiana. Qualche settimana dopo la composizione di questo inno, sull’altopiano del Tobbio si abbatté un uragano di ferro e di fuoco e molti di quei coraggiosi “ribelli della montagna” furono fucilati alla Benedicta o al passo del Turchino. Con i sopravvissuti sopravvisse anche il canto, che accompagnò il movimento di liberazione ligure fino alla vittoria finale. “Gatto” lo ricorda cantato dai compagni della Terza Compagnia, quella di “Amelio”, come sottofondo ottimistico ai suoi pensieri dubbiosi di allora sul futuro dell’Italia dopo la Resistenza. I fatti gli daranno ragione. Eppure, in questi tempi di passioni tristi, non si può che tornare ai valori di allora. Tutto deve ripartire da lì: dalla giustizia, dalla libertà, dalla fede come speranza.

Post scriptum
Sulle vicende della Colonna “Giustizia e Libertà” si vedano:
“La lezione politica di Nello e Amelio”, Il Secolo XIX, 26 aprile 2011, ora in www.associazioneculturalemediterraneo.com
In questa rubrica:
“La battaglia del Gottero e l’eroismo di Amelio”, 22 gennaio 2012
“Il comandante Dany e il rastrellamento del 3 giugno 1944”, 29 luglio 2012
“Come Spezia fu liberata dai nazifascisti. Il testamento civile di Amelio”, 17 novembre 2013
“Dal Gottero a Valeriano vince la guerriglia della montagna”, 2 febbraio 2014
“Il tenente Piero e le filandine Elvira e Dora”, 4 maggio 2014
“Richetto, Tino e la santa pattona”, 18 gennaio 2015

lucidellacitta2011@gmail.com

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