Senza l’università del mare non c’è futuro per la città
Città della Spezia – 19 Maggio 2013 – “Spezzini, vi chiediamo di scendere in piazza, con noi, al nostro fianco per difendere il fiore all’occhiello di questa città vecchia che anche grazie a noi può avere prospettive future giovani, marittime e spezzine. Noi non siamo contro l’Ateneo, neanche contro la Superba… siamo contro i provincialismi e l’ennesima dimostrazione che è meglio chiudere un occhio che scendere in piazza”. Dopo questo appello degli studenti universitari del Polo Marconi, c’è stata, giovedì scorso, la loro bella manifestazione, che ha sancito una svolta nel rapporto tra Università e città: un rapporto finora debole, e che ora è davvero molto più forte. Eravamo ancora troppo pochi a sfilare con loro sotto una pioggia torrenziale. Ma qualcosa di nuovo è accaduto, come dimostrano gli applausi di chi ha assistito al corteo e il fatto che 5.000 spezzini abbiano firmato l’appello. Dalle ragazze (le più impegnate nel movimento, Claudia e Alice in testa) e dai ragazzi è arrivata una lezione, una chiamata alla città che ha fatto riflettere e ha creato in clima di sostegno corale alla lotta per salvare la nostra Università.
I fatti sono noti (ne ho scritto nei giorni scorsi in tre articoli, leggibili su www.associazioneculturaloemediterraneo.com): a Spezia abbiamo i corsi di Ingegneria nautica e Design nautico, tutto era pronto per il trasferimento da Genova di Ingegneria navale, per dar vita a quello che il professor Massimo Musio-Sale, su Città della Spezia, ha definito “un centro di eccellenza nella ricerca e formazione nelle scienze navali a livello internazionale, e sicuramente mediterraneo, il degno alter ego di Delft in Olanda, il modello massimo a cui si può aspirare”. Ma ambienti accademici, politici ed economici genovesi hanno tirato il freno a mano. A rischio c’è quindi un disegno di prospettiva, ma anche l’esistenza stessa del Polo Marconi, perché la permanenza a Genova di Ingegneria navale si porterebbe dietro, prima o poi, l’accorpamento con Ingegneria nautica nella stessa sede. La risposta degli studenti è stata forte e ben impostata dal punto di vista politico, su una linea, come hanno spiegato Claudia e Vittorio alla Nazione, che insiste sul fatto che “il sistema attuale e futuro della ricerca che ruota su Spezia è un valore per l’Università di Genova, della Liguria, per l’Italia”. Come ha esclamato il Sindaco incontrando gli studenti dopo la manifestazione, “noi non vogliamo togliere o scippare nulla, ma dare!”. E’ profondamente vero: Ingegneria navale a Genova è in crisi, a rischio di chiusura, e solo Spezia può salvarla, perché la nostra offerta, di sedi, laboratori, sinergie con il Distretto delle tecnologie marine, con la Marina e con l’industria è davvero unica, e quindi vantaggiosa per tutti, anche per Genova. La sintonia con la linea delle istituzioni locali è piena. Leggiamo le parole di Dino Nascetti, Presidente di Promostudi, la fondazione che gestisce il Polo, e soprattutto costruttore infaticabile del progetto, su Città della Spezia: “Noi non siamo contro l’Università di Genova, noi siamo l’Università di Genova, e possiamo e vogliamo dare un contributo ad un corso in forte crisi. Abbiamo messo in campo un’idea innovativa, spinta dalla fortuna di avere sul territorio centri di ricerca e laboratori necessari per un corso così specializzante. Non si tratta di campanilismo, ma di un’opportunità che anche grazie alla Marina Militare può fruttare un grosso aiuto all’industria nautica e navale, ma l’Università di Genova ci deve credere”. E’ così: siamo parte integrante del sistema universitario ligure e ci mettiamo a disposizione. Ed è difficile motivare un diniego alla nostra proposta, perché noi offriamo laboratori e tecnici con un impiego minimo di risorse, che diventerebbe assai maggiore in altre ipotesi. Trasferire la Facoltà genovese di Ingegneria agli Erzelli è infatti molto costoso: se non fossero compresi i costi per i laboratori di Ingegneria navale l’operazione sarebbe alleggerita e diventerebbe più sostenibile. Ma anche l’ipotesi, affacciatasi nelle ultime settimane, di costruire i laboratori nello stabilimento di Fincantieri a Sestri Ponente non ha un gran senso, perché a Spezia ci sono già. Insomma: Genova ha l’interesse a essere il primo supporter dell’operazione, e se non lo facesse “sarebbe un clamoroso autogol” (sempre Nascetti sulla Nazione). E “dovendo scegliere tra due opzioni, La Spezia o Genova, ci sono tutti i presupposti per propendere per la prima” (Musio-Sale su Città della Spezia).
Federici ha aggiunto, a ragione, che “chi pensa che le resistenze o le incertezze ancora presenti e rinfocolatesi a Genova si risolvano digrignando i denti, alzando i toni contro i genovesi cattivi, in realtà non sta facendo un buon servizio alla causa”. Certo, ha ragione anche l’altro partner forte di Promostudi, il Presidente della Fondazione Carispe Matteo Melley, quando ricorda sulla Nazione che il Polo spezzino esiste perché è stato alimentato da risorse locali (14 milioni di euro dal 2002, più il campus di via dei Colli), e che da Genova sono arrivati soldi a Savona e a Imperia ma non a Spezia. Ma non credo che possiamo seguirlo in crociate contro la Regione Liguria, per “guardare altrove, in altre Regioni”. Sia perché la Regione Liguria sta dimostrando una maggiore attenzione all’equilibrio tra tutti i territori: semmai sfidiamola a fare di più. Sia perché il Polo Marconi dobbiamo salvarlo subito, non domani: e lo si può fare, dopo il provvedimento dell’allora Ministro Gelmini sulla regionalizzazione delle Università, solo in rapporto con l’Ateneo genovese. Il nostro Polo è nato collaborando anche con l’Università di Pisa e il Politecnico di Milano, ma questi rapporti sono andati purtroppo perduti, e in questa fase non esistono alternative a Genova. Il Presidente della Regione Burlando venne nella nostra città, visitò la caserma Duca degli Abruzzi, destinata a diventare la nuova sede del Polo, stanziò i fondi Fas per i lavori, e seguì il percorso che portò alla decisione di trasferire Ingegneria navale a Spezia, fino al placet dei Ministri dell’Università Profumo e della Difesa Di Paola, e all’assenso informale del Rettore di Genova: ora deve continuare a sostenerci, anche perché i fondi Fas devono essere spesi molto celermente, pena la loro perdita. In Regione ci sono tre assessori spezzini, che si sono schierati con la posizione della città e si sono detti pronti a impegnarsi: bene, è un buon viatico perché il Presidente e tutta la Giunta si schierino su una linea che fa l’interesse di tutta la Liguria. Ora abbiamo anche un Ministro spezzino, che potrà aiutarci a coinvolgere nuovamente i due Ministri più direttamente interessati.
Detto questo, precisiamo al meglio la nostra proposta e impegniamoci perché i maggiori costi per la didattica siano coperti dal Ministero ma anche dal Distretto e dalle grandi imprese spezzine, in questi anni troppo distratte su un tema così decisivo. Non possiamo dire a Genova di credere in noi se noi non lo facciamo ancora di più. Mi ha fatto piacere vedere i dirigenti sindacali partecipare al corteo, perfino saltare con gli studenti o addirittura correre con loro (quest’ultima performance è del solo Cimino della Cgil, il più giovane). Non era solo “movimentismo”, il loro, ma consapevolezza della centralità della formazione per l’industria. Consapevolezza che deve crescere anche tra gli imprenditori. Spezia deve fare un discorso chiaro su di sé: certamente ripensare il modello di sviluppo e puntare, come si sta facendo da tempo, su turismo, ambiente e cultura; ma anche non dimenticare la centralità della “vecchia” industria manifatturiera, quella navale a nautica innanzitutto. Che però regge solo se ci sono investimenti in ricerca e formazione e un alto numero di lavoratori sia laureati sia con diplomi professionali. Se non si realizza quello che è stato pensato in questi anni per la nostra Università, i comparti delle costruzioni navali e marittime spezzini, liguri e italiani non competeranno a livello mondiale, e la nostra industria sarà sopraffatta dalla concorrenza coreana, giapponese e cinese e non potrà guidare la ripresa della città, della regione e del Paese. Il grande merito delle ragazze e dei ragazzi del Polo è quello di averci fatto “rimettere le lampade” sui luoghi dove si crea lavoro e sulla cosa di cui hanno bisogno sopra di tutte: la scuola.
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