S.O.S. Sanità pubblica
Città della Spezia, 14 novembre 2021 – Il coordinamento SOS Salute Pubblica Liguria, che raduna molte realtà associative della regione, ha convocato una manifestazione nelle prossime settimane a Genova. E’ un’iniziativa sacrosanta. Mentre discutiamo giustamente di green pass e di terza dose del vaccino per combattere la quarta ondata del virus, non va dimenticata la questione fondamentale che dovrebbe occupare l’agenda politica: lo stato di salute del nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn), cioè dello strumento che dovrebbe garantire a tutte e a tutti, indistintamente, la tutela della salute, a partire dall’assistenza territoriale e dalla prevenzione, volto a perseguire gli obiettivi di eguaglianza, universalismo, omogeneità territoriale, globalità delle cure.
Il degrado del Ssn è strettamente connesso al modello liberista dominante da anni, che punta a depauperare i beni comuni e i servizi pubblici, a tutto vantaggio di interessi privati.
In Liguria questo processo è molto evidente, e alla Spezia ancor di più: tagli alle risorse, riduzione dei posti letto e del personale, privatizzazioni di funzioni -la Regione governata da Toti si è posta, fin dal suo insediamento, l’obiettivo di privatizzare il 15% dei posti letto liguri-, mobilità sanitaria in uscita, allungamento dei tempi di attesa per gli esami e gli interventi di piccola/media complessità, distruzione della sanità territoriale, decisionismo che esclude la partecipazione.
Sugli ospedali la Regione è stata costretta a disonorevoli retromarce per ciò che riguarda la privatizzazione di quelli del Ponente, ma insiste nella sua sciagurata proposta per l’ospedale di Spezia: realizzarlo con risorse in parte pubbliche e in parte private, queste ultime stanziate in cambio di quindici milioni annui di canone per la locazione e la gestione, a carico dei bilanci dell’Asl 5. Un fardello insostenibile che le impedirà ogni investimento e che porterà al collasso la nostra sanità. La struttura finanziaria del progetto è all’esame del Comitato istituzionale di gestione e attuazione degli accordi Stato-Regione, che -auspichiamolo e battiamoci per questo- non potrà che chiedere alla Regione un cambiamento radicale. In questa fase le risorse pubbliche statali non mancano: infatti la Regione sostiene che, quando arriveranno, sostituiranno quelle già da essa stanziate! Come dire: nel nuovo ospedale non voglio metterci un euro! Mentre invece l’obiettivo di un finanziamento interamente pubblico è del tutto realistico.
Anche tutti gli altri obiettivi della manifestazione, per ciò che riguarda Spezia, sono pienamente condivisibili: due ospedali pubblici, nuovo Felettino e San Bartolomeo; assunzioni a tempo indeterminato che sanino il gap rispetto agli altri territori liguri; posti letto dovuti in base alla popolazione; nessun taglio o riduzione dei reparti ospedalieri, con copertura dei primariati; progettazione e avvio delle Case di Comunità sul territorio; ripresa immediata degli interventi chirurgici arretrati e degli screening oncologici.
E’ importante che obiettivi analoghi siano posti anche dai movimenti sorti negli altri territori liguri: è ormai matura la proposta di convocare una Conferenza strategica regionale sulla sanità che affronti questi temi e faccia buongoverno delle risorse del PNRR, riorientandole a questi fini e non destinandole ai privati.
Ed è importante che si sviluppi un’iniziativa nazionale. Come ha evidenziato un recente documento dell’Associazione salute diritto fondamentale è all’ordine del giorno un disegno di privatizzazione della sanità italiana e non si interrompe il processo di riduzione della spesa sanitaria pubblica, anche dal 2022 al 2024, secondo i documenti del governo. Il risultato è che, mentre va indebolendosi l’offerta pubblica, aumenta il potere di mercato di molti soggetti privati e avanza il modello sanitario lombardo, che da anni ha cancellato la rete dei servizi territoriali e ha messo in campo una concorrenza tra pubblico e privato sleale e squilibrata a favore di quest’ultimo.
Dopo la riforma del 1978 e la privatizzazione degli anni Ottanta è andato avanti, nonostante gli interventi correttivi della ministra Bindi nel 1999, il modello neoliberista. E’ l’ora di rimettere al centro il diritto alla salute e di batterci per un nuovo modello condiviso di sanità pubblica.
Post scriptum:
Dedico l’articolo odierno a Giuliano Cozzani partigiano “Pellegro”, scomparso nei giorni scorsi.
Pochi mesi fa, su questo giornale, gli avevo fatto gli auguri per il suo centenario:
https://www.cittadellaspezia.com/?p=340881
“Ero un trovatello, orfano a dieci anni. Volevano che facessi il missionario, ma rifiutai perché non me la sentivo”, raccontava. Andò a San Benedetto, da una zia che “aveva una lira al giorno”. Finalmente trovò un lavoro come tipografo. Era molto capace, diventò operaio di prima categoria. Chiamato militare, dopo l’8 settembre tornò a San Benedetto, dove si nascose per non farsi trovare dai fascisti. “Ero di famiglia antifascista, dopo qualche settimana in una capanna nei boschi andammo ai monti, con Giustizia e Libertà”. Prima al comando di Vero Del Carpio “il Boia”, poi di Ermanno Gindoli “Ermanno”. Fece un’azione armata a Padivarma, poi passò al campo di lancio del monte Picchiara, al comando di Argilio Bertella “Argì”, comunista della Serra di Lerici. Distribuiva le armi e i materiali dei lanci alleati ai partigiani. “Nello Zignago comandavamo noi, era un territorio libero. I contadini ci aiutavano e noi aiutavamo loro quando potevamo. Andavamo a ballare a Debbio, pieni di pidocchi. Anche le ragazze, che si mettevano il petrolio in testa per farli fuori. Ma non c’era niente da fare, rispuntavano sempre”. Durante il rastrellamento del 20 gennaio 1945 “Pellegro” e i suoi compagni, dopo aver sotterrato le armi, si nascosero cinque giorni e cinque notti in un canalone, senza mangiare o quasi. Il 25 aprile “Pellegro” scese dalla Foce, partecipò al corteo partigiano da piazza Brin al Comune, “con la gente che lanciava i fiori di campo dalle finestre”. Nel dopoguerra andò in Argentina a lavorare -a bordo di una nave piena di fascisti che scappavano-, tornò dopo qualche anno, rifece l’operaio, poi mise su una tipografia per conto proprio. Diceva: “Ho dovuto sempre lottare nella vita. Le Brigate Nere erano degli avanzi di galera, dei vigliacchi che bruciavano le case. Ma non ho mai ammazzato nessuno. Ho la stessa mentalità di allora, non sono cambiato, rifarei tutto”.
Ciao “Pellegro”, o meglio “Pelegro”, perché la doppia non si pronunciava mai. Ci mancheranno le storie che raccontavi in dialetto spezzino. Quando eri in Argentina agognavi Spezia: “abbiamo il mare, i fiumi, la montagna, un posto così non c’è”. Ci mancheranno la tua bonomia, la tua generosità, il tuo impegno antifascista. Voglio ricordarti con questa foto (“Pelegro” è appoggiato alla prima colonna a sinistra, con il berretto in testa). Eravamo nella tua piazza Brin, il 25 aprile 2017. Conservo per me una foto scattata subito dopo, con noi due abbracciati, tu hai il tuo sorriso di sempre, così contagioso. Mi ricordo ancora cosa ci siamo detti in dialetto. Eri l’ultimo, ormai, o quasi. Ma i tuoi ideali non moriranno mai, saranno la bussola del nostro futuro.
lucidellacitta2011@gmail.com
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