Riflessioni sull’Italia giallo-verde
Città della Spezia, 3 giugno 2018 – La crisi politica, durata quasi tre mesi e finalmente conclusasi con la formazione del Governo Conte, ha appassionato gli italiani, quasi fosse un serial tv. Mi ha colpito ascoltare nei bar, negli autobus, nei treni,tante persone che discutevano dell’argomento. Un po’ mi ha meravigliato, perché lo “spettacolo” offerto dai protagonisti non mi è sembrato di grande livello politico e culturale. Però, mi sono detto riflettendo, anche la campagna elettorale, pur povera di spunti e priva di entusiasmo, aveva suscitato una grande partecipazione: 73% di votanti, percentuale praticamente identica al 2013 ma con mezza giornata in meno per votare, e crollo delle schede bianche e nulle, segno che gli elettori non hanno tentennato, si sono “schierati”.
Alla radice di questa attenzione popolare verso la politica ci sono, a mio parere, i temi economico-sociali: il lavoro per i giovani, l’abolizione della legge Fornero sulle pensioni, la flattax come strumento per dare più soldi a chi lavora (almeno secondo le promesse della Lega e del centrodestra) e il reddito di cittadinanza per chi non lavora. Il Nord chiede risposte (soldi) per chi lavora; Il Sud chiede risposte (soldi) per chi non lavora. Domande interpretate dalla Lega al Nord e dai Cinque Stelle al Sud.
Il “governo del cambiamento” presieduto da Giuseppe Conte è dunque frutto della svolta del voto del 4 marzo: il drastico ridimensionamento delle forze, Pd e Forza Italia, che per anni hanno rappresentato i pilastri del bipolarismo italiano e il successo delle forze cosiddette “populiste”, M5S e Lega. Il termine “populismo” viene usato da moltiin termine spregiativo: in realtà il fenomeno è una risposta al profondo malessere,democratico ed economico-sociale, né rilevato né rappresentato dai partiti tradizionali, ed è tutto interno alla democrazia. Se essere contro l’establishment significa essere “populisti”, allora “viva il populismo”: le responsabilità di questo malessere ricadono principalmente, infatti, proprio sull’establishment.Aggiungo che il voto al M5S ha rappresentato un sorta di “argine”: il malessere meridionale, senza i Cinque Stelle, avrebbe potuto esprimersi in altre maniere, come ci insegna la storia del Sud.
La svolta del 4 marzo non è arrivata inaspettata: è stata preparata dal voto del 4 dicembre 2016 sul referendum costituzionale, che fu anche un voto che esprimeva un malessere democratico ed economico-sociale su cui il Pd non ha minimamente riflettuto. Il fatto che Renziciti di continuo il referendum come “occasione perduta” è davvero segno di “senno perduto”.
Paolo Feltrin, studioso dei fenomeni politici, in un’intervista a “Una città” ha detto, a proposito delle elezioni del 4 marzo: “Il paradosso reale è che questo è un voto di sinistra che si esprime attraverso forze politiche non di sinistra. E’ un voto che dice: ‘Così non va bene’, e affido le mie preferenze elettorali a vantaggio di partiti che hanno fatto propri molti degli argomenti un tempo di sinistra: pensioni, bassi salari, precarietà, ecc.”. Per Feltrin l’argomento centrale è stato questo, più che quello contro gli immigrati. L’impegno a fianco dei migranti è per me il principale, ma concordo conFeltrin: “L’insicurezza legata al fenomeno migratorio è sempre figlia di un’insicurezza economica; se fossero stati risolti i problemi economici, si registrerebbe molta meno tensione sugli immigrati”.
Detto che M5S e Lega hanno saputo rappresentare la domanda di cambiamento, la questione principale, tanto più dopo la formazione di un governo di cui queste due forze costituiscono i pilastri, è questa: le loro due piattaforme sono coincidenti? No, in realtà sono collidenti. Ecco perché il governo non avrà vita facile.
LE PIATTAFORME DIFFERENTI DI M5S e LEGA E L’ERRORE DEL PD
Il compromesso di governo nasconde differenze sostanziali tra i contraenti principali: mentre la Lega è una forza di destra, il M5S ha interpretato un bisogno di lotta contro la povertà e contro i privilegi. Si può considerare discutibile, e lo è, il modo in cui lo fa. Ma non ce la possiamo cavare con il solito “dagli al populista”. Un pezzo grande dell’elettorato perduto dalla sinistra ha votato M5S, e non può essere guardato con disprezzo. Anche sull’Europa il M5S ha compiuto una maturazione, che lo ha portato ad abbandonare posizioni estremiste (poi magari riemerse dopo l’attacco a Paolo Savona e le inaccettabili interferenze della Germania nella nostra vicenda politica). Quindi, nonostante tutto, è sbagliato mettere sullo stesso piano il M5S, che non è né di destra né di sinistra ma un “magma”, una forza che ha “aderito come un guanto” alle molteplici e contraddittorie spinte emerse nella società italiana, e la Lega che è un partito di destra. Ed hasbagliato il Pd a spingere al “patto tra i populisti”, giocando al tanto peggio tanto meglio.
Il Pd è rimasto immobile, ibernato per tre mesi ripetendo che toccava ai “vincitori” governare. Ma in un sistema proporzionale (la nuova legge elettorale, il pasticciato e incostituzionale Rosatellum, ha un impianto proporzionale), a differenza che nel maggioritario, non esistono né “vincitori” né “vinti”. Esiste solo chi va male e chi va bene alle elezioni; ma nessuno è esentato in partenza dalla responsabilità di contribuire a un governo. Nel 1972, per fare un esempio, se ci fu un partito sconfitto alle elezioni fu il Partito Liberale: eppure tornò al governo, da cui era uscito molti anni prima. Nel sistema proporzionale tutti sono chiamati a mettersi in gioco. Il Pd, invece, ha rifiutato a priori il dialogo offerto dai Cinque Stelle, contribuendo a gettarli tra le braccia della Lega. Se il sistema politico italiano è basato su due poli principali -il centrodestra, o meglio la Lega di Salvini, e un movimento indeterminato, che non ha ancora scelto cosa essere, come il M5S- con il Pd diventato forza residuale, impossibilitato a essere la forza principale alternativa alla destra, è chiaro che il tema del rapporto Pd-M5S si poneva e si pone. Il confronto, quantomeno, andava fatto. Anche per incidere nella dialettica destra-sinistra presente nel M5S. Sarebbe emerso che tra le due forze una compatibilità programmatica si poteva trovare. O quantomeno sarebbe stato poi più difficile per i Cinque Stelle andare a destra.Ha scritto, su “Repubblica”, Virginio Rognoni, dirigente della Democrazia Cristiana più volte Ministro, molto vicino ad Aldo Moro:
“Il M5S sta cambiando pelle e sta diventando un partito. Nei suoi confronti potrebbe anche cadere il non possumus del Pd… No, il Pd non può stare fermo nell’attesa di beneficiare del fallimento dei ‘due vincitori’; più che un azzardo sarebbe una intollerabile abdicazione della politica”.
Nella sinistra italiana, dopo un’altra sconfitta epocale, quella degli anni ’20 del secolo scorso, arrivò la riflessione critica di Antonio Gramsci, basata sul concetto di egemonia. Il fatto che la sinistra sia morta è provato dal fatto che nessuno ha lavorato per l’egemonia, per “conquistare culturalmente” gli altri, per “istituzionalizzare” un movimento nato protestatario, per dividere e separare il fronte avversario: si è addirittura lavorato, al contrario, per saldare due forze che almeno in partenza sembravano molto diverse, il M5S e la Lega. Forse l’asse tra M5S e Pd de-renzizzato avrebbe potuto dare una risposta al malessere italiano: ma la presenza ingombrante del cadavere politico di Matteo Renziin campo ha reso impossibile il tentativo. E ora il Governo Conte non mi sembra un gran successo per il Pd. Né l’idea di fare il partito dell’establishment restando all’opposizione mi sembra una trovata brillantissima.
NO A “TUTTI INSIEME CONTRO I BARBARI”
E ora, che succederà? E’ difficile dirlo. Dipenderà anche dalle capacità di Conte. All’Economia e agli Esteri sono arrivati due Ministri espressione dell’establishment più che del cambiamento. Un intervento sulle tasse è certamente giusto per i salari e gli stipendi medio-bassi, ma la flattax premia i redditi alti, rovesciando il principio costituzionale della progressività.Luigi Di Maio, al Ministero dello Sviluppo Economico, del Lavoro e del Welfare, spingerà per affrontare la “questione sociale” e per il reddito di cittadinanza: ma avrà le risorse, se i ricchi pagheranno meno tasse? Così come si pone il tema delle risorse per un’altra scelta condivisibile del “contratto”: gli investimenti pubblici keynesiani, per dare lavoro.Certo è che non serve più un europeismo di maniera, e che la politica dell’austerity neoliberista voluta principalmente dai tedeschi va messa in discussione: anche su questo il “contratto” ha ragione.
Matteo Salvini, agli Interni, sarà alla testa di una crociata contro immigrati e profughi. Renderà la vita ancora più difficile per tanta povera gente ma non raggiungerà alcun risultato: la pressione dei profughi sull’Europa continuerà, perché continueranno a peggiorare le condizioni economiche e ambientali dei Paesi da cui centinaia di migliaia di esseri umani sono costretti a fuggire a causa del saccheggio delle loro risorse e dei cambiamenti climatici che colpiscono soprattutto i loro territori. E’ una politica che abbiamo già visto all’opera con il Ministro Minniti, che non ha fermato gli sbarchi e non li fermerà. Perché, anche se tutte le navi delle Ong solidali e delle Marine europee venissero messe nell’impossibilità di operare, l’obbligo di salvare chi è in pericolo in mare resterà in capo ai mercantili in transito, e il porto di sbarco non potrà essere che l’Italia. In compenso ci sono stati e ci saranno sempre più morti, non solo in mare ma soprattutto nel deserto: non si vedono e non si vedranno in tv, ma pesano e peseranno sulla coscienza di chi non fa niente per i vivi. Anche espellere i “clandestini” che sono in Italia è impossibile, perché costerebbe troppo. Resteranno qui, spinti purtroppo a delinquere.
Tutto fa pensare che la situazione politica oscillerà intorno a una lunga instabilità politica. Certo, la Lega ha il vento in poppa, e cercherà di trainare il governo a destra, facendo emergere le contraddizioni insite nella natura dei Cinque Stelle. In questa situazione ritorna il tema chiave: il Pd e la sinistra dovrebbero distinguere tra Lega e M5S, incalzare il movimento e ritessere un filo con il loro popolo perduto. Certamente questo filo si spezzerà definitivamente se passerà la linea del “fronte repubblicano” e della chiamata alle armi “tutti insieme contro i barbari”. Linea che mi vedrebbe, come tante altre persone di sinistra, “disertore”. Ma ancora prima c’è un altro tema chiave: il Pd e le forze di sinistra così come sono hanno un futuro? C’è chi ciancia di un’identità da ritrovare. Ma che identità può ritrovare chi mai l’ha avuta? La questione della sinistra si intreccia con la questione dell’Europa, che è la vera “mucca nel corridoio”: la caduta della sinistra è un tutt’uno con la caduta del progetto europeo in cui si è identificata. Si può sostenere che il ripiegamento nazionalistico non è una risposta adeguata. Ma certamente o l’Europa cambia radicalmente o l’ondata antieuropea trionferà.
Post scriptum:
Dedico l’articolo odierno all’amico Adriano Guidi, che ci ha lasciati nei giorni scorsi. Era uno degli ultimi deportati nei campi di concentramento nazisti ancora in vita. Migliarinese, del Marcantone, fu arrestato nel grande rastrellamento di Migliarina del 21 novembre 1944, torturato nel carcere di Marassi e deportato nel campo di Bolzano. Il bombardamento della ferrovia del Brennero impedì ai tedeschi di portarlo a Mauthausen. Adriano riuscì a tornare. Fece il tornitore per tutta la vita. Negli ultimi anni, finché la salute glielo ha consentito, non è mai mancato auna manifestazione antifascista. Le parole pronunciate dalla senatrice a vita Liliana Segre, deportata quando era ancora una bambina, alla cerimonia di consegna del Premio Exodus 2018, erano anche le parole di Adriano: “Ho iniziato a parlare dopo 45 anni di silenzio… Non parlo mai di odio, ma di vita e speranza”.
La testimonianza di Adriano Guidi è in questa rubrica: “Storia di Adriano, deportato a 17 anni”, 24 novembre 2013.
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