Riflessione sulla diversità
Città della Spezia, 14 ottobre 2018 – Poco prima dell’alba, il 3 ottobre di cinque anni fa, un’imbarcazione proveniente dalla costa libica, con a bordo quasi 550 migranti per lo più eritrei, si capovolse al largo della costa di Lampedusa. Pescatori e soccorritori recuperarono 155 sopravvissuti, 368 i cadaveri. Le immagini dell’allineamento di centinaia di bare in un hangar dell’aeroporto commossero il mondo.
Oggi molte cose sono cambiate. La questione migratoria, scrive Giulio Albanese su “Città Nuova”, spinge a una riflessione sulla “diversità” che è oggi la sfida culturale e politica più importante.
LO SCARTO TRA I NUMERI REALI E LA PERCEZIONE
La paura del “diverso” fa parte della natura dell’uomo e delle società, da sempre. Oggi, anche perché è incentivata dagli “imprenditori politici della paura”, è molto diffusa in tutto il mondo. Facciamo un esempio che riguarda il nostro Paese: da noi gli immigrati sono il 7%, ma il 70% degli italiani crede siano circa il quadruplo (il 25%), come ha rivelato la recente ricerca dell’Istituto Cattaneo “Immigrazione in Italia: tra realtà e percezione”.
MA IL PROBLEMA ESISTE, ED E’ UN GRANDE PROBLEMA MONDIALE
Ma il problema esiste. Ci sono 60 milioni e passa di persone al mondo che si spostano in questo preciso istante per questioni legate alle guerre, alla fame e alla povertà, alla crisi climatica. E’ un grande problema mondiale: per questo è giusto invocare accordi politici sovranazionali. Fuori, in particolare, da una logica europea e da una corrispondente autorità comune, i problemi delle migrazioni non saranno governabili.
NON SERVONO I NAZIONALISMI
Il Governo italiano ha dunque ragione a chiedere un vero impegno europeo. Ma chiederlo partendo da un punto di vista sovranista o nazionalista che dir si voglia non solo non è giusto ma non è nemmeno sostenibile. Non porta cioè da nessuna parte: basti pensare al fatto che i sovranisti-nazionalisti italiani, tedeschi e austriaci, alleati tra loro in Europa, passano il tempo a minacciarsi reciprocamente il blocco delle frontiere terrestri e aeree!
NON SERVONO NEMMENO I “CANI DA GUARDIA”
Un grave errore compiuto dai nostri Governi, e da molti Governi europei, frutto del punto di vista sovranista-nazionalista, è l’aver fatto proprio il “modello della Turchia”: cioè il blocco militare delle rotte in cambio di finanziamenti. Io ti pago (sei miliardi di euro dell’Unione europea ad Ankara) e tu ti tieni i migranti, non importa come e dove. Dopo Minniti, anche Salvini punta ad allontanare i flussi migratori cercando nel Nord Africa e in Niger i “cani da guardia”. Lo facemmo già ai tempi di Gheddafi, e si è visto come è finita. Ciò che riusciamo a sapere sui lager libici è agghiacciante. Mentre è troppo debole una politica di cooperazione e partenariato che punti, in quei Paesi, a rafforzare la democrazia e la pace e a creare lavoro.
MUORE IN MARE UN MIGRANTE SU SETTE
Sul Mediterraneo qualcosa in più sappiamo, grazie all’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite. A giugno ci sono stati dieci naufragi, 557 vittime, quasi un terzo di tutte quelle del primo semestre dell’anno, che hanno superato quota 1400. Uno su sette dei migranti che hanno tentato la traversata del Mediterraneo non ce l’ha fatta, una percentuale altissima considerato che a giugno del 2017 il rapporto era uno su 38 e che la diminuzione dei flussi ha toccato l’80%. Ma su questo punto, come ha detto Papa Francesco nella messa celebrata davanti a una delegazione di migranti e delle Ong a cinque anni dalla sua visita a Lampedusa, ci sono “troppi silenzi”. Quello che raccontano i dati, però, è chiaro: l’aumento vertiginoso delle vittime delle traversate corrisponde allo stop forzato delle navi umanitarie a cui Italia e Malta hanno chiuso i porti.
UN DECRETO BOOMERANG CHE AUMENTERA’ GLI IRREGOLARI
Il decreto sicurezza del Governo avrà un effetto boomerang, perché aumenterà gli immigrati irregolari. Privare migliaia di persone della possibilità di vedersi riconosciuta una forma di protezione di fronte a seri motivi di carattere umanitario o sociale vuol dire condannare quelle stesse persone a rimanere nel nostro Paese senza nessuna possibilità di vivere e lavorare legalmente e senza che si riesca a rimpatriarle. “Ci vorrebbero ottant’anni”, ha dovuto ammettere il Ministro Salvini circa la possibilità di espellere i 500.000 cittadini stranieri presenti in Italia senza un titolo di soggiorno. I rimpatri, tra l’altro, costano troppo. La farsa dei tunisini liberati a Fiumicino e mandati a zonzo per l’Italia -causa guasto dell’aereo che doveva rimpatriarli- è solo l’ultima, grottesca prova di un sistema allo sbando. L’unica azione sensata e coerente sarebbe il ritiro del decreto. E invece si strangola l’esperienza di Riace: un paese spopolato e destinato a morire, trasformato in un posto nuovamente vitale grazie all’accoglienza. Un modello che funziona, e che smonta nei fatti tutte le asserzioni oggi egemoni. Per questo il modello di Riace fa impazzire i suoi nemici, che fanno di tutto per annientarlo.
UNA DISEGUAGLIANZA DI TIPO ETNICO
Ma la vera questione che pone il decreto è soprattutto questa: tutti gli immigrati che chiedono asilo politico hanno diritto a vedere vagliata la propria istanza. Vagliata, non accolta. Ma vagliata sì, come dicono le convenzioni internazionali, la Costituzione, i principi umanitari. Questo principio è stato eroso. Di questa gente bisognosa conosciamo solo i numeri, non i volti, i nomi e le storie. Andando avanti così la nostra democrazia cambierà natura: perché limitare il diritto di cittadinanza dei migranti è una esplicita dichiarazione che non tutti gli uomini hanno l’eguale diritto di avere diritti. Viene dichiarata per legge una diseguaglianza di tipo etnico, in una nazione basata sul sangue.
“PARTIGIANI DI UMANITA’”
Se pensiamo che i diritti umani siano alla base della nostra civiltà non possiamo erigere muri, chiudere porti, respingere gente che avrebbe diritto all’asilo, finanziare guerre e vendere armi a tutti. Ritorna il tema della “diversità”. La cultura oggi egemone annienta e riduce ogni alterità rispetto all’io, ogni “diversità”. E’ una cultura che nega il principio di umanità. E’ un nuovo egoismo che sgretola le culture dell’umanesimo: la solidarietà cristiana, la fraternità socialista, il buon senso compassionevole del liberalismo. Bisogna tornare a essere “partigiani di umanità”. Tutti possiamo fare qualcosa. Oggi, a Calice, ci sarà la trentacinquesima presentazione di “Sebben che siamo donne”, la storia della Resistenza al femminile nella nostra zona. La vicenda di un libro comincia dopo che è stato scritto. Il fatto che ogni volta ci si ritrovi in tante e in tanti a riflettere sulla lezione di umanesimo e di apertura alla “diversità” che ci hanno lasciato le donne partigiane e le contadine sostenitrici dei partigiani -donne semplici che seppero superare ogni egoismo, riconoscere la sofferenza degli altri e farsene carico- è un piccolo esempio che dimostra che le radici dell’umanesimo, nonostante tutto, sono forti. E che si possono recuperare le ragioni dell’umanità.
UNA STORIA MEDIORIENTALE
Sono appena tornato dal Medio Oriente. Un’antica storia racconta di un viandante che incontrò un mostro nel deserto. Inizialmente l’uomo ebbe paura, ma poi avvicinandosi si accorse che in realtà il mostro era un uomo anche lui. Lo vide ancora meglio e scoprì che non era così brutto come pensava. Alla fine, quando lo scorse negli occhi, riconobbe suo fratello.
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