Presentazione di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17 a Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
15 Dicembre 2024 – 19:29

Presentazione di
“Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”
di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello
Giovedì 19 dicembre 2024 ore 17
Porto Venere – Ristorante La Marina Calata Doria
I due …

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Renato Bertolini, dalla guerra di Spagna alla liberazione di Buchenwald

a cura di in data 27 Maggio 2017 – 08:44
Guernica, la città spagnola rasa al suolo dai fascisti e dai nazisti il 26 aprile 1937, Parco dei Popoli d'Europa, Monumento alla Pace di Eduardo Chillida    (2005)    (foto Giorgio Pagano)

Guernica, la città spagnola rasa al suolo dai fascisti e dai nazisti il 26 aprile 1937, Parco dei Popoli d’Europa, Monumento alla Pace di Eduardo Chillida
(2005) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 21 maggio 2017 – Renato Bertolini nacque a Fivizzano nel 1905 e visse nella frazione di Soliera fino all’età di 13 anni. Rimasto orfano di entrambi i genitori, si trasferì alla Spezia, dove vivevano le due sorelledel padre. Diventò falegname nella Scuola d’Arte e Mestieri dell’Arsenale, e sottufficiale di Marina dal 1926 al 1929. Si formò nell’associazionismo giovanile della religione protestante. L’episodio che cambierà la sua vita avvenne nel settembre del 1929: dalla finestra di casa, davanti all’ingresso della porta principale dell’Arsenale, vide un gruppo di fascisti pestare selvaggiamente un gruppo di operai ritenuti diffusori di volantini contro il regime. Uno di loro, in seguito, morirà. Bertolini intervenne per far cessare in qualche modo l’aggressione.Non fu arrestato subito per il suo ruolo di graduato della Marina, appena in tempo per decidere di lasciare la città e sfuggire alla cattura. Nel giugno del 1930 si imbarcò clandestinamente da Ventimiglia per la Francia. Da lì cominciò una vita di lotta e di dedizione totale a un’idea: combatté, con un ruolo di primo piano, nella guerra di Spagna contro il fascismo internazionale, fupoi rinchiuso nei campi di internamento francesi e infine nel lager nazista di Buchenwald, della cui liberazione fu uno dei capi. Quando alcuni lettori, dopo la pubblicazione nella rubrica dell’articolo su Bruno Rolla (“Bruno Rolla, partigiano in Spagna, in Etiopia e in Italia”, 7 maggio 2017), mi hanno scritto dicendomi di conoscere molto poco di quelle vicende e invitandomi a raccontare altre storie, ho subito pensato a Renato Bertolini, un altro spezzino protagonistaquasi dimenticato, come Rolla, del Novecento. Se il libro di Giorgio Neri ha contribuito a rinnovare il ricordo di Rolla, altrettanto farà, per Bertolini, un libro a più mani di prossima pubblicazione. Ne ho parlato con il figlio Claudio, che lo ha fortemente voluto: il racconto che potete leggere di seguito è il frutto dei suoi ricordi, già trasmessi anche a Giuseppe Chiappini, autore di un altrobel libro recente, “Antifascisti della Lunigiana nella guerra civile spagnola. 1936-1939”, dedicato anche alla figura di Bertolini.

Torniamo, con l’aiuto di Claudio, al giugno 1930, a Ventimiglia. Bertolini si imbarcò con Giuseppe Corradini, operaio socialista spezzino. Rubarono una barca a remi. Giunti in Francia, Renato fece avere al proprietario i soldi necessari a comprarne una nuova. Prima socialista poi comunista, Bertolini visse dal 1930 al 1933 a Nizza e dal 1933 al 1936 a Marsiglia, dove ricoprì la carica di segretario della sezione cittadina del Partito Comunista d’Italia. La notizia della sollevazione militare guidata dal generale Francospinse il giovane Renato a combattere per la Repubblica spagnola già nell’agosto 1936, prima ancora che l’Internazionale Comunista prendesse la decisione di creare le Brigate Internazionali. Si arruolò nella Centuria “Gastone Sozzi”, formata prevalentemente da comunisti italiani-c’erano anche gli arcolani Ugo Muccini e Domenico Bruno Rolla e il socialista santostefanese Vittorio Orlandini- e costituitasi formalmente a Barcellona, sotto il comando di Francesco Leone, il successivo 3 settembre, quasi contemporaneamente alla Sezione italiana della Colonna “Ascaso”, composta, invece, prevalentemente, da anarchici ed esponenti di Giustizia e Libertà. La Centuria “Sozzi” fu poi incorporata nel Battaglione “Garibaldi” della 12° Brigata Internazionale. Bertolini, con il nome di battaglia di Vittorio Sarpi, partecipò alla difesa di Madrid, alla battaglia del Jarama e a quella di Guadalajara. In quest’ultima località si scontrarono, dall’8 al 22 marzo 1937, i volontari fascisti e antifascisti italiani: l’esito fu favorevole agli antifascisti, e 310 volontari fascisti -tra i quali una trentina provenienti dalle province di Spezia e Massa- furono fatti prigionieri. Fu una vittoria esaltante: per la prima volta crollava il mito dell’invincibilità di Mussolini.

Madrid, i Giardini e il Palazzo Reale    (2005)    (foto Giorgio Pagano)

Madrid, i Giardini e il Palazzo Reale
(2005) (foto Giorgio Pagano)

Ma cosa fare dei prigionieri? Il dirigente comunista Luigi Longo dettò la linea: rieducare i prigionieri “en elsentido de la libertad y de la democracia”, proponendo che fosse qualche comunista italiano a farsene carico. Furono dapprima Giuseppe Alberganti, poi Renato Bertolini a occuparsi di questo lavoro. Bertolini lo fece a partire dal giugno 1937. A metà del mese egli aveva partecipato alle operazioni militari sul fronte di Huesca. I repubblicani furono sconfitti e Bartolini fu ferito alla testa da una granata e trasportato nell’ospedale di Benicasim, in provincia di Valencia, dove rimase per alcuni giorni. Fu lo stesso Longo, in occasione di una visita in ospedale, a chiedergli di trasferirsi a Valencia per il nuovo incarico. Bertolini lavorò per suddividere i prigionieri in tre categorie: i “fascisti convinti”, da mantenere in carcere; gli “indifferenti”, sui quali svolgere un lavoro politico separandoli dai fascisti attivi; e i “buoni”, favorevoli alla Repubblica, che potevano o lavorare o essere inquadrati nelle Brigate Internazionali, come in alcuni casi avvenne.

Assegnato ad altro incarico, Renato fu nuovamente ferito in Extremadura nel dicembre 1937, dovette assistere al progressivo ripiegamento delle forze repubblicane, fino a quando, nel febbraio 1939, dopo l’occupazione franchista della Catalogna, riparò in Francia, dove condivise con migliaia di combattenti e profughi la terribile sorte dell’internamento, prima ad Argeles e a Gurs, e poi , da ottobre, nel campo di Vernet d’Ariege, una gelida distesa di baracche abbandonate. Vi restò quattro anni, fino al luglio 1943, quando fu trasferito nel forte di Modane. Sopraggiunse l’8 settembre 1943, con l’armistizio: quella stessa notte i tedeschi circondarono il campo e condussero i prigionieri a Compiegnies. Il 19 gennaio 1944 Bertolini fu deportato in Germania nel campo di Buchenwald. Qui entrò a far parte del comitato clandestino che preparò e diresse l’insurrezione dell’11 aprile 1945. I deportati assaltarono, disarmati, le torri di guardia e presero prigionieri 800 SS. Due giorni dopo arrivarono gli alleati, ma il campo era già sotto il controllo della Resistenza.

Finita la seconda guerra mondiale, Bertolini fu dal 1946 al 1947 il segretario della Federazione spezzina del Pci, poi vicesegretario regionale del Pci fino al 1954. Nello stesso anno fu inviato a Vienna, come segretario della Federazione Internazionale della Resistenza. Rientrò a Roma nel 1964, per ricoprire incarichi dirigenti nelle associazioni dei partigiani (Anpi), dei deportati (Aned), dei volontari in Spagna (Aicvas). Ebbe amicizie profonde con Umberto Terracini, Luigi Longo, Giancarlo Pajetta e altri dirigenti di primo piano del Pci. Probabilmente qualcosa si ruppe nel suo rapporto con il gruppo dirigente spezzino del Pci. Ma questa è una storia ancora da scrivere.

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Un altro protagonista da non dimenticare è Leone Borrini. Anche lui lunigianese, di Merizzo di Villafranca, e legato alla nostra città. E’ doveroso ricordarlo a ottant’anni dalla morte, avvenuta in Spagna l’11 febbraio 1937, nella battaglia del Jarama, una delle più cruente della guerra civile. Leone nacque a Merizzo nel 1897. Muratore, comunista fin dal 1921, emigrò in Francia, sempre controllato dai fascisti. Fu espulso dal Paese per “attentato alla libertà del lavoro”, cioè per scioperi e picchettaggi. Andò in Lussemburgo, dopo un grave infortunio sul lavoro tornò nel 1934 a Merizzo, e da qui a Spezia, dove aprì un negozio a Migliarina, nella piazza della Chiesa. Poi prese la via del nord dell’Italia, fino all’espatrio clandestino nel dicembre 1936 a Marsiglia e l’arruolamento in Spagna nella compagnia italiana del Battaglione “Dimitrov”, il più internazionale di tutti. Le sue lettere alla moglie sono un esempio di adesione totale alla causa del comunismo: “Chi non è pronto a morire per la sua fede non è degno di professarla. Ebbene, cara moglie, vedrai che io ero e sono comunista e saprò morire con una palla al petto e non alla schiena”. L’ultima lettera è a pochi giorni dalla battaglia, una sorta di previsione: “Speriamo in una prossima vittoria e di riunirci ancora con le catene spezzate. Vivere così: la morte sia la benvenuta. Stai allegra e spera. Baci a te e alle bimbe”. Borrini morì nella battaglia del Jarama, ma il suo sacrificio, e quello di migliaia di altri volontari, non fu inutile: il tentativo fascista di conquistare Madrid fallì, e la capitale spagnola poté resistere per altri due anni.

A Leone Borrini fu intitolata una brigata garibaldina lunigianese. All’inizio fu la “banda di Giovanni”, dal nome di Ernesto Parducci “Giovanni”, uno dei due sopravvissuti dell’eccidio del monte Barca, nel marzo 1944. Parducci era un sarzanese, così chi lo sostituì dopo il ferimento, Piero Galantini “Federico”. L’anima del gruppo era Edoardo Bassignani “Ebio”, reduce dal confino, anch’egli di Merizzo. La banda prese il nome di Brigata “37 B”. Annientata con il rastrellamento del luglio 1944, la “37 B” rinacque con il nome di Brigata “Leone Borrini”.

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