Portovenere, difendiamo storia e memoria
Città della Spezia, 20 ottobre 2019 – Il 12 luglio 1921 una squadraccia di sedici fascisti spezzini si imbarcò su un vaporetto diretto a Portovenere, con l’obiettivo di una spedizione punitiva. Alle porte del carruggio incontrò tre giovani comunisti: Costanzo Filippini, fornaio, Giacomo Bastreri e Paolo Bastreri, operai. I fascisti spararono a Giacomo e lo ferirono, poi lo uccisero con i pugnali. I fascisti stavano preparando la spedizione a Sarzana del 21 luglio, che si concluse con la loro cacciata ad opera degli Arditi del popolo: uno degli ultimi eroici atti, in Italia, di difesa della democrazia prima dell’avvento della dittatura. Chi allora non si arrendeva era destinato alla sconfitta, ma salvava l’onore popolare e proletario e poneva le premesse per la lunga lotta antifascista, che cominciò nel ventennio della dittatura e culminò nella Resistenza.
Dopo la Liberazione dal fascismo l’Amministrazione Comunale di Portovenere intitolò a Giacomo Bastreri la piazza prospiciente il carruggio, mentre il PCI gli intitolò la Sezione, che proprio nel carruggio aveva la sede. Quella piccola targa in pietra diventò un monumento “civile” del paese, pubblica testimonianza della sua fede antifascista.
Quando il locale sede della Sezione divenne sala pubblica, questa fu intitolata al medico Renzo Mantero, e la targa a Bastreri fu affissa al suo interno, per preservare la memoria di quello che fu, per cinquant’anni, un importante presidio della vita democratica portovenerese.
Si può ovviamente discutere se fosse proprio necessario, nonostante il cambio di destinazione del locale, cambiarne anche l’intitolazione, che non era ad un nome di parte, ma al nome di un martire della democrazia, la cui eredità era ed è patrimonio comune. Il professor Mantero avrebbe comunque potuto avere un analogo riconoscimento in altro modo. E tuttavia il mantenimento della targa a Bastreri “salvava” e non dimenticava la storia.
La scelta dell’attuale Amministrazione di rimuovere la targa dalla sala distrugge invece la storia. Ho letto che la collocazione della targa è stata giudicata “inidonea”. Ma cosa vuol dire? Una motivazione vera non è stata ufficialmente data. Forse perché la targa era del PCI? Ma il PCI è stato un costruttore della democrazia ed un baluardo della sua difesa. Il PCI ha costruito e difeso la democrazia anche a Portovenere, esprimendo Sindaci ed amministratori locali di valore e dando vita, insieme ad altre forze democratiche, ad una robusta comunità civile e sociale.
Mi chiedo cosa possano comprendere della storia i ragazzi di oggi assistendo ad una scelta del genere.
Di più: mi chiedo come si possa travisare la storia nel modo in cui l’ha fatto, nelle scorse settimane, il Parlamento europeo. La sua risoluzione non ha ovviamente nulla a che fare con la scelta del Comune di Portovenere, ma il “brodo di cultura” è probabilmente lo stesso: l’equiparazione tra comunismo e nazismo. Se non, peggio ancora, l’attacco al comunismo, dimenticando o quasi il nazismo.
Io sono stato un “comunista italiano”. Lo sono stato quando il capo dei “comunisti italiani” era Enrico Berlinguer. Ero “comunista italiano” perché il PCI era uno strumento per l’emancipazione ed il riscatto dei più deboli, per migliorare ogni condizione umana sofferente. Ero “comunista italiano” perché in quegli anni il PCI era contro il terrorismo e non aveva ambiguità sulla lotta armata. Criticavo il mio partito perché non prendeva distanze più radicali dal socialismo reale, dai suoi errori ed orrori. Ma il PCI che pure gravemente sbagliava -segnando così il suo declino- era comunque tutt’altra cosa rispetto al socialismo reale. Non dimentichiamo che Antonio Gramsci, oggi tra gli autori più letti e studiati in tutto il mondo, morto per volontà del fascismo, era un dirigente e teorico “comunista italiano”.
Va aggiunta un’altra considerazione: è giusto lottare contro ogni totalitarismo, ma equiparare nazismo e comunismo, come ha fatto il Parlamento europeo, è un’autentica sciocchezza dal punto di vista storico e una infamia in generale, non solo se si guarda all’Italia. Si può pensare quello che si vuole del socialismo reale e delle sue tragedie -io ne sono stato e ne sono un critico radicale- ma non si può ignorare il ruolo dell’Unione Sovietica nella sconfitta del nazismo, dimenticando che ha avuto 25 milioni di morti nella Seconda Guerra Mondiale e che è stata l’Armata Rossa a liberare Auschwitz e a conquistare Berlino. Lo scrittore americano Ernest Hemingway ebbe a dire: “Ogni essere umano che ami la libertà deve più ringraziamenti alla Armata Rossa di quanti ne possa pronunciare in tutta la sua vita”.
Come hanno affermato nei giorni scorsi gli storici e gli uomini di cultura firmatari del documento “Per la difesa della memoria e della storia”, non si può “cancellare una differenza di fondo: mentre il nazifascismo, nel dare vita a una spietata dittatura e nel negare ogni spazio di democrazia, di libertà e persino di umanità, nel perseguitare fino allo sterminio proclamato e pianificato, le minoranze religiose, etniche, culturali, sessuali, cercò di realizzare i propri programmi, i regimi comunisti prima e dopo la guerra, allorquando si macchiarono di gravi e inaccettabili violazioni della democrazia e delle libertà tradirono gli ideali, i valori e le promesse che il comunismo aveva fatto”.
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