Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 29 novembre ore 16.30 a Pontremoli
24 Novembre 2024 – 21:44

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 29 novembre ore 16.30
Pontremoli – Centro ricreativo comunale
Il libro di Dino Grassi “Io sono un operaio. Memoria di un maestro …

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Più forti della guerra e del Grande Torino

a cura di in data 29 Luglio 2013 – 09:19

La targa all’Arena Civica di Milano in ricordo della vittoria dei Vigili del Fuoco – Spezia contro il Grande Torino, il 16 luglio 1944 (2013)(foto Ezio Tassone)

Città della Spezia – 21 Luglio 2013 – Da martedì 16 luglio l’Arena Civica “Gianni Brera” di Milano onora, con una targa commemorativa, la leggendaria partita che spianò la strada alla conquista dello scudetto 1944 da parte dello Spezia Calcio, allora Vigili del Fuoco: quella contro il Grande Torino di Valentino Mazzola, giocata il 16 luglio di 69 anni fa proprio all’Arena, conclusasi con la vittoria dei Vigili per 2 a 1. Leggiamo il Corriere della Sera del 17 luglio 1944: “Sovvertendo tutti i pronostici e causando un notevole stupore nei tecnici e negli appassionati, la squadra di Ottavio Barbieri ha battuto i campioni d’Italia… Il successo è meritato, premia il sacrificio di undici buoni giocatori e del non meno bravo allenatore”. Barbieri fu uno degli inventori di un nuovo sistema di gioco, quello con il “libero” in difesa e l’”ala tornante” sulla fascia destra: “Giuro che il Torino non ci capì nulla, per questo lo battemmo”, diceva sempre uno degli undici, Mario Tommaseo, quando lo chiamavamo a ricordare quella mitica giornata.

Eppure lo Scudetto, per decenni, fu negato a quei campioni e alla città. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 l’Italia era divisa in due tronconi segnati dalla linea gotica: al di là, nel centro sud, gli alleati, al di qua, nel nord, i tedeschi. Era impossibile organizzare un campionato nazionale, per questo la Federazione Gioco Calcio organizzò nel ’43-44 il “Torneo Alta Italia”, definito “campionato nazionale”. Ma, il giorno dopo l’assegnazione del titolo, la Federazione non lo omologò come Scudetto, forse anche perché troppo forte era l’influenza del Torino, che infatti rimase campione in carica per aver vinto nel ’42-43. Eppure i giornali parlarono in termini chiari di un torneo valido a tutti gli effetti: “Lo Spezia ha vinto il campionato italiano di calcio” titolarono.
Quando il Secolo XIX, nell’inserto “Aquilotti in volo”, ricordò la vittoria del 1944-era il febbraio 2000- pensai che fosse il momento giusto per riproporre il riconoscimento di un’impresa sportiva senza precedenti, non solo legata a fattori agonistici ma con connotazioni anche storiche, sociali, umane. Perché disputare quelle partite nel pieno della guerra mondiale significava rischiare in prima persona la vita, sia affrontando insidiose trasferte lungo strade deserte dove tedeschi e fascisti rastrellavano e deportavano nei lager, sia rimanendo tra le mura amiche, soggette a continui bombardamenti. Non tutti, forse, ricordano che la squadra di calcio dello Spezia venne “imprestata” ai Vigili del Fuoco per iniziativa del suo presidente Perioli, che poi morì in un campo di concentramento tedesco. Si trattò di una vera e propria scappatoia: arruolati come pompieri, i calciatori sfuggirono alla chiamata alle armi della Repubblica di Salò, e poterono fare i ritiri nelle caserme e affrontare le trasferte in un’autobotte, scomoda ma al sicuro da posti di blocco e rastrellamenti. Un mezzo dove caricavano preziosi sacchi di sale ottenuti bollendo l’acqua marina, scambiati in altre zone del nord con farina, olio e pasta che scarseggiavano a Spezia, per la gioia di familiari ed amici. La vittoria di quella squadra, tra un allarme aereo e un bombardamento, era stata davvero un’impresa epica, e doveva essere onorata.
Un momento emozionante fu l’incontro, nel marzo 2000, con i protagonisti superstiti al Centro Allende. Ascoltare le loro parole appassionate, leggere nei loro sguardi l’emozione e il rimpianto per quell’impresa mai riconosciuta mi commosse davvero e mi spronò ad andare fino in fondo: non dimenticherò mai Mario Tommaseo mentre difendeva il “suo” Scudetto con l’irruenza di un ventenne: “Devono darcelo! Perché lo abbiamo vinto! Abbiamo battuto il Grande Torino, una squadra immensa, la più forte del mondo, mica il Biassa o il Canaletto!”. Poi ancora Bruno Gramaglia, presentatosi con un ritaglio di giornale che raccontava la partita, quindi Paolo Rostagno, Sergio Persia, e Sergio Bicchielli, che da allora divenne un caro amico, che passava periodicamente a trovarmi in Comune… La domenica successiva, al Picco, la curva dello Spezia salutò l’ingresso in campo delle aquile con una scenografia straordinaria: la gradinata aveva assunto i colori di migliaia di bandierine bianche, rosse e verdi a comporre un unico, gigantesco, tricolore. Ora tutta l’Italia sapeva. Costituimmo un Comitato per lo Scudetto, che oltre a me comprendeva il presidente dello Spezia Angelo Zanoli, l’assessore provinciale allo sport Paolo Garbini, il dirigente dello Spezia Alberto Pandullo (colui che ha voluto fortissimamente la targa all’Arena) e i veri animatori, i giornalisti Armando Napoletano e Paolo Rabajoli. Napoletano aveva scritto, già nel 1991, il libro “Un giorno di allarmi aerei”, frutto di anni di ricerche, poi ripubblicato, ampliato, nel 2002. Rabajoli scrisse, sempre nel 2002, con Fabrizio Calzia, “Lo scudetto per sempre”. In questi lavori c’era la documentazione essenziale. Nel maggio completammo il dossier da presentare alla Federazione. Era un momento delicato, la Federazione viveva un momento di passaggio, il mandato del presidente Nizzola stava per scadere. Alla fine però le nostre istanze furono accolte e la Figc riaprì il caso: fu istituita una commissione presieduta dall’avvocato Mario Valitutti, un galantuomo e un esperto, che dimostrò grande attenzione e sensibilità. Ricordo il suo commento entusiasta: “Ma questi non sono calciatori, qui si tratta di eroi!”. Le premesse sembravano ottime, ma Nizzola lasciò. Iniziò l’interregno di Petrucci, fino alla nomina, a inizio 2002, di Franco Carraro. Lo incontrai il 15 gennaio, mi promise che avrebbe preso in mano il dossier e analizzato l’indagine. Una settimana dopo, il 22 gennaio, grazie allo “Scudetto d’onore”, eravamo Campioni d’Italia 1944: ci consegnarono una medaglia d’oro, una targa ricordo e l’autorizzazione allo Spezia a sistemare sulla maglia l’emblema della Coppa vinta nel campionato di guerra. Fu il risultato di un impegno collettivo, di una perfetta miscela tra istituzioni, società, tifoseria e “studiosi-tifosi”.
Festeggiammo il 26 marzo al Civico. “Quasi non ci speravo più, dopo quasi sessant’anni. Non ci aspettavamo questo Scudetto, giusto prezzo ai tanti sacrifici. Viaggiavamo in trasferta in autobotte…” raccontò Paolo Rostagno, il primo “tornante” del calcio. Mentre Mario Tommaseo, il difensore che marcò, annullandolo, Valentino Mazzola (“non mi è mai capitato di incontrare un marcatore come te”, gli disse a fine partita) ci deliziò con la sua voce da tenore cantandoci l’Ave Maria di Schubert. Come disse Franco Carraro, “il titolo rappresenta la forza morale del calcio italiano, che non si è lasciato piegare nemmeno dalla guerra”. Fu quello, non solo il Grande Torino, l’avversario vero che sconfiggemmo allora. Ecco perché dobbiamo essere orgogliosi di uno straordinario titolo che non è solo sportivo ma anche morale, e che dà lustro alla squadra e alla città.

Spettacolo “KLOP da Majakovskij” Compagnia degli Scarti /Liceo Artistico Cardarelli (18 maggio 2013 Auditorium Dialma Ruggiero – stagione “Fuori Luogo – percorsi teatrali nel presente”)(foto Ilaria Zappelli)

Ancora martedì 16 luglio, ancora una targa: finalmente l’auditorium del Centro culturale giovanile e multimediale Dialma Ruggiero, intitolato a Lucio Battisti, ha visibile la sua dedica. Merito dell’assessore alla cultura Diego Del Prato e dei tanti ammiratori del cantante-compositore presenti in città. Proposi l’intitolazione quando Lucio Battisti ci lasciò, nel settembre 1998, e il Dialma era ancora un’idea, poi diventata realtà nel marzo 2002. La scomparsa di Battisti fu un momento di grande e profondo dispiacere popolare: molti milioni di italiani di ogni ceto sociale e di almeno due generazioni avevano cantato le sue canzoni. I giovani, per trent’anni, erano cresciuti con lui: la sua musica rappresentava il ricordo di un amore, dei compagni di scuola, della prima automobile, della chitarra, di una vacanza… Era un tutt’uno con le emozioni della loro vita. Intitolare l’auditorium del Dialma a Lucio Battisti voleva dire che dovevamo dar vita a un luogo della cultura che fosse “di popolo” e soprattutto “dei giovani”. Oggi che il Dialma è ricchissimo di corsi di musica, teatro, danza, fotografia, di eventi partecipati, con tante associazioni giovanili impegnate, possiamo dire di avercela fatta.

La prima foto della rubrica di oggi è di Ezio Tassone: è un’immagine della targa dell’Arena di Milano. La seconda foto è di Ilaria Zappelli: è un’immagine di uno spettacolo teatrale rappresentato all’auditorium del Dialma nell’ambito della rassegna “Fuori luogo”, uno dei simboli della grande vitalità della struttura.

lucidellacitta2011@gmailcom

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