Piazza Verdi, il waterfront e la politica come convivenza
Città della Spezia, 14 febbraio 2016 – Che il progetto della nuova piazza Verdi fosse ormai insostenibile era chiaro da tempo a (quasi) tutti. Anna Pucci, capo redattore della “Nazione”, così scriveva qualche settimana fa, prima della sentenza del Tar che ha segnato la debacle del Comune: “Chi ha voluto mettere mano a piazza Verdi desiderava, probabilmente, lasciare un segno in città: un’opera per la quale un’amministrazione comunale meritasse, nel tempo, d’essere ricordata. La battuta è facile: obbiettivo raggiunto. Sarà difficile, per Spezia, dimenticare una vicenda kafkiana di queste dimensioni. Roba da sospettare una stregoneria, un malocchio. Dal braccio di ferro con la Soprintendenza ai tempi di cantiere dilatati oltre misura, con danni alle attività commerciali e disagi per tutti; dalle corsie carrabili troppo strette alle ambulanze intrappolate tra gli autobus. Per arrivare al travertino: appena posato e già in briciole. Verrebbe da sorridere se non ci fosse, metaforicamente, da piangere. Ma su una cosa non si può scherzare: la possibilità che avvenga l’irreparabile. Come spiega il padre del bimbo che ha rischiato d’essere investiti da un bus. La piazza, così com’è, risulta pericolosa. Il buon senso lascia poco spazio alle opinioni: il progetto va cambiato” (“La Nazione”, 31 gennaio 2016).
Ciò che il Comune ha sottovalutato non è stato solamente l’opposizione di una parte -crescente- della città, ma anche e soprattutto il contrasto tra istituzioni. Di fronte all’opposizione di associazioni e comitati si può insistere, come ha sempre fatto il Sindaco in questi anni, sulla democrazia delle regole e dei numeri. Io non sono d’accordo, perché penso che la decisione abbia bisogno della partecipazione: più si invoca, ossessivamente, la presenza della decisione, più se ne constata l’assenza. Ma comprendo che ci sia chi insiste sulla democrazia delle regole e dei numeri. Tra le regole, quella preminente è il principio di maggioranza. Una volta che qualcuno abbia ottenuto una cosa che viene denominata maggioranza, è incontrastato e incontrastabile master&commander a bordo: niente storie! Anche se, in verità, raramente la maggioranza è tale: la maggioranza di chi va a votare non ha nulla a che fare con la maggioranza dei cittadini, e di questo bisognerebbe almeno ogni tanto tener conto. Ma nella vicenda di piazza Verdi c’era anche il contrasto con la Sovrintendenza: in questo caso non ci sono regole diverse a cui appigliarsi, c’è solo l’obbligo dell’intesa tra istituzioni. Quasi due anni fa scrivevo su questa rubrica: “Come si uscirà dal ‘pasticciaccio’ della nuova piazza Verdi? Il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Massimo Bray ha incontrato il Sindaco e gli ha richiesto ‘di procedere a un ulteriore approfondimento sul progetto, auspicando di raggiungere nel più breve tempo possibile una soluzione condivisa’. Che di una soluzione condivisa ci sia bisogno non ci sono dubbi. Sia perché il Comune non può contrapporsi al Ministero, ma solo collaborare con esso. Sia perché una ricomposizione del conflitto esistente in città tra punti di vista diversi è indispensabile: il bello della democrazia è proprio il raggiungimento di una sintesi dopo il conflitto.” (“Piazza Verdi e la democrazia malata”, “Città della Spezia”, 23 giugno 2013). E invece tutto è stato demandato al contenzioso giudiziario tra istituzioni, cioè alla “morte della politica” (si veda il mio successivo “Piazza Verdi e il ruolo della politica”, in “Il Secolo XIX”, 18 gennaio 2014, leggibile in www.associazioneculturalemediterraneo.com). Ora, dopo la sentenza del Tar, ha ragione Marco Ursano: “l’unica alternativa seria” è il completo abbandono della “strategia dell’accanimento terapeutico, rivelatasi poi un autogol clamoroso”, per fare “un passo indietro”, condiviso con la Sovrintendenza e con le associazioni e i comitati interessati (“Cronaca4”, 11 febbraio 2016).
Il contrasto tra istituzioni caratterizza anche la vicenda waterfront-Piano Regolatore del Porto (PRP): in questo caso protagonisti sono Comune e Autorità Portuale, Sindaco Federici e Presidente Forcieri in testa. Un po’ più distanti i cittadini, stanchi di una telenovela sulla materia che dura da troppo tempo. Per anni i due enti hanno marciato uniti: erano i tempi del “masterplan” del waterfront, molto criticato (giustamente) in città per il suo impatto ambientale e paesaggistico. Poi, nel 2014, tutto cambiò con la svolta di Forcieri. Che decise di non aspettare i tempi della stazione crocieristica prevista nel waterfront e fece una scelta: prima il mercato, poi le infrastrutture. Con “un’accelerazione impressa con qualche spregiudicatezza allo sviluppo del traffico crocieristico” (le parole sono dell’ex Presidente dell’Autorità Portuale e di Confindustria Giorgio Bucchioni sul “Secolo XIX” del 12 gennaio 2016) le navi da crociera cominciarono ad arrivare al molo Garibaldi, che secondo il PRP doveva essere ampliato per ospitare le attività portuali oggi in Calata Paita. Forcieri in seguito propose una modifica al PRP, accettata dal Comune: allungare il molo Garibaldi per un suo uso duale (container e crociere). Federici, a quel punto, cambiò pure lui radicalmente idea, ma in direzione molto diversa, fino alla sua recente proposta: realizzare la stazione crocieristica in Calata Malaspina, oltre agli approdi principali sul Garibaldi, e non realizzare più il molo di Calata Paita (si veda “Stazione crocieristica su Calata Malaspina soluzione perfetta”, “Città della Spezia”, 26 gennaio 2016). Si può discutere, l’idea ha un suo fondamento. Il no di Forcieri e del mondo del porto è stato però netto. Nell’intervista citata Bucchioni dice: “Se così fosse Calata Paita non dovrebbe essere trasformata per usi turistici ma restare a usi portuali”. Si può discutere, ma anche in questo caso c’è un fondamento. Il rischio vero, quindi, è che le attività portuali rimangano davvero a Calata Paita. La portualità può dire: con Calata Paita e Calata Malaspina al turismo e l’uso duale del Garibaldi, il porto è ridimensionato, quindi… Insomma, il rischio è quello di tornare al punto di partenza: non attuare, come si doveva e si dovrebbe finalmente fare, il PRP, ma rimettere mano al PRP, con tempi molto lunghi, e in un quadro di conflitto forte tra città e porto. O meglio tra Comune e porto, perché dopo questa lunga telenovela ho dubbi che il Comune abbia “dietro” la città…
In situazioni come queste, e come quella di piazza Verdi, in cui la controversia è allo stallo e nessuno sa come uscirne, non si può non cercare un compromesso. C’è bisogno della politica, che non è esibizione muscolare ma arte della convivenza, della ricerca della sintesi, della pacificazione del conflitto. A inizio Novecento Giovanni Giolitti si rifiutò di cannoneggiare le fabbriche quando gli imprenditori glielo chiesero. I cannoneggiatori, a Spezia, fanno invece a gomitate per dare fuoco alle micce. Mentre servirebbe capirci, parlarci, con un po’ di rispetto reciproco. Non resta che aspettare che un giorno o l’altro ritorni a visitarci l’illuminato fantasma dell’uomo di Dronero.
Post scriptum
Il 29 gennaio 2016, su invito del Propeller Club della Spezia, ho tenuto a Porto Lotti la relazione sul tema “Il PRP del Golfo della Spezia. Scelte, mediazioni, prospettive di sviluppo”.
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